Ventotto.

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  Quando tu ed io stavamo
Salendo in alto come lo spazio cosmico, non ho
Mai pensato che saresti scivolato via.
Suppongo che io fossi solo un po' troppo in ritardo.

(The Crow and the Butterfly -Shinedown)

Stamattina sono più stanca del solito. Andare al mare è tanto piacevole quanto stressante e, per l'appunto, le spalle bruciano.

Fortunatamente, essendo abbronzata, posso anche non truccarmi, perché sono meno cadaverica.

Ho deciso di andare allo Shine a piedi: una bella passeggiata per sgranchirmi- e anche per pensare-. Sono ancora le sette; cammino al lato meno soleggiato della strada, dove è più fresco.

Ripenso alle ricerche eseguite ieri sera. Dio,che idiota, mi rimbecca Sybil, scuotendo la testa. Ti sei davvero ridotta a cercare qualcosa sul tuo trauma, tramite un computer?

Sbuffo. Detto così, però, sembro una psicopatica. E' un trauma, certo. Bisogna dire, comunque, che non ho sofferto molto da bambina.

Forse era destino, che io cavassi questa consapevolezza dal mio cuore, proprio ora. Proprio adesso, che sono cresciuta, e comincio a rapportarmi con gli altri.

Almeno, adesso, ne so la causa. E' stata colpa dei miei genitori. Non mi hanno mai voluta, mai accettata, mai amata

Non mi hanno neanche dato il tempo, la possibilità di farmi amare. Perché!? Perché sono stati così cattivi, con una neonata di appena poche ore?

Sbuffo. Non mi interessa, non voglio neanche saperlo. Adoro la mia vita, così com'è stata. 

Mi scaravento sul divano beige del salone, con il volto schiacciato nel cuscino.

Stamattina il lavoro mi ha stancata ulteriormente. 

Allo Shine svolgo qualsiasi compito: lavo i piatti, il pavimento, preparo le bevande, porto le ordinazioni ai tavolini. Jessica fa lo stesso. E' una vera fortuna che il bar si trovi al centro, perché è quasi sempre affollato.

La mia 'collega', talvolta, mi prende in giro, dato che alcuni clienti mi lasciano anche un po' di mancia.

Non sei una maid!, mi rimprovera Sybil, ferita profondamente nell'ego.

Nonostante non abbia indosso la divisa da cameriera vittoriana, credo di essere cortese quando lavoro. Ma, accogliere i clienti con la frase: 'Okaerinasai, goshujin-sama!' (*), manderebbe all'aria anni e anni di lotte contro il femminismo. 

Ridacchio contro la federa, mentre immagino me stessa con quella ridicola divisa.

«Perchè ridi?» -chiede Perla.

Alzo lo sguardo, poggiando la guancia sul cuscino. L'immagine di me, con le codine e la cuffietta in testa, si smaterializza; ora osservo divertita la mia migliore amica, intenta a mettere lo smalto sulle unghie dei piedi, in una posizione alquanto scomoda.

«Niente di divertente, immaginavo me stessa al posto di Misaki. La ricordi?»- chiedo, sdraiandomi di lato.

Ridacchia:«Saresti davvero carina; e poi, ce lo vedo Michelangelo nei panni di Takumi Usui.».

Soffoco una risata. No, non lo immagino per niente.

Si mette in piedi e, con una mano sul petto e l'altro braccio teso, cita teatralmente:«Cosa ne pensi di diventare la mia cameriera personale per un giorno, Alisya?».

Heart of CourageWhere stories live. Discover now