Ventisei - Pearl.

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DUE SETTIMANE PRIMA.

«Simone, Giulia, venite a tavola!» -urlo.

Mi sento davvero una vecchietta, a volte. Ti eserciti per quando sarai mamma, Perla!

Giulia, con una treccia dorata e spettinata, entra in cucina. Ha ancora gli occhi assonnati, mentre si sporge cercando di mettere a fuoco ciò che bolle in pentola.

Ha dieci anni! Dieci anni e mi arriva al seno. E' lei ad essere troppo alta, vero?

Ha l'espressione corrucciata, e le labbra schiuse.«Che si mangia?»- chiede, curiosa. 

Arriccio le labbra. «Pasta col sugo.» -sussurro, con voce demenziale.

«Buona.» -risponde, allungando le 'o'. Mi mordo il labbro. Quanto è tenera.

«Che schifo, a me non piace pasta col sugo.» -dice Simone. «Vaffanculo, Perla!» -sbotta, lanciando il telefono sul divano.

Se avessi le forze, lo manderei a quel paese anch'io. Ma decido di osservarlo, per acciuffare ogni dettaglio possibile. Mi mancheranno, devo ammetterlo.

Lo osservo, mentre mi guarda a braccia incrociate. Anche lui è abbastanza alto; la luce che proviene dal balcone si riflette nei suoi occhiali, dietro cui si nascondono gli occhi celesti, propri della stirpe Frisoni.

Sbuffo. «Fattela piacere. Siediti.» -ordino, fredda. In realtà a lui piace la pasta col sugo, deve semplicemente rompere le palle.

Fa solo questo, in estate: computer e rompere le palle.

La mia sorellina,  mi passa i piatti di ceramica bianca, con le decorazioni floreali. «Questo a Giulia...» -mormoro, con voce tenera. «Questo a Simone.» - dico, con un tono di voce più normale.

Giulia poggia i due piatti sul tavolo, e torna al mio fianco, volendo prendere anche il mio. «Vai, non preoccuparti, siediti.» -dico, congedandola con un gesto della mano. Le lancio un'occhiata, mentre torna a sedersi. 

Mia sorella, invece, è più gentile negli ultimi giorni: credo sia per il fatto che domani partiamo.

Sospiro. Domani si parte. Domani, a quest'ora, sarò in viaggio.

Comincio a respirare a lungo, rumorosamente. Ho bisogno di ossigeno. L'ansia si sta impossessando del mio corpo.

Poggio il piatto sul piano di cucina, e gli occhi cominciano a farsi lucidi, minacciosi. Di nuovo. Esco dalla stanza, per andare nel bagno; entro, e chiudo la porta a chiave.

Poggio la schiena al legno e, lentamente, scivolo sedendomi sul pavimento freddo.

Un altro trasferimento, un'altra vita.

La prima volta, per smascherare quei bastardi, e per scoprire la verità su Alisya.

La seconda pure.

La rivedrò, dopo tre anni. Chissà se è cambiata. Io credo di esserlo, almeno in parte. Mi sento più responsabile, più coraggiosa. Non sono più una bambina.

Sono certa che, in tre anni, Alisya non sia cambiata. Spero.

Oh Dio. Mi mordo un labbro. E se è cambiata!? Non so neanche se ha un fidanzato, se ha degli amici. E' da tanto tempo che non parliamo. L'ultima volta, mi ha detto di essersi trasferita in un monolocale. Quindi, significa che non è più con Lorena. 

Vive da sola e, proprio da sola, adesso non può stare.

Non credo abbia fatto molte conoscenze, comunque. E' triste da dire, ma non è mai stata incline alle amicizie. Credo sia una specie di trauma, dovuto al fatto di essere stata abbandonata da piccola.

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