Quarantadue.

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La prima cosa che avverto, quando il mio cervello si sveglia, è un masso legato al piede che lentamente cerca di tirarmi giù. Mi sento come se un fantasma mi stesse martellando la testa e prendendo a calci lo stomaco. E, soprattutto, penso ci sia qualcuno accanto a me. C'è il rumore di un respiro che non è il mio.

Muovo lentamente le gambe, tenendo ancora gli occhi ben chiusi, e scopro di non avere i pantaloni del pigiama. Aggrotto le sopracciglia, muovendo i piedi più velocemente e, sì, in effetti sono priva di pantaloni, ma sono coperta da un lenzuolo e ho indosso una vestaglia. Una vestaglia? Ma io non ho mai dormito con una vestaglia. Cosa ho fatto ieri sera?

Ci penso su.

Un cipiglio prende forma sul mio volto.

Non me lo ricordo.

Corrugo di nuovo la fronte, più confusa, e avverto una strana sensazione all'altezza dell'attaccatura dei capelli. Piego un braccio e passo le dita su quello che mi sembra un cerotto. Un cerotto molto grande.

Socchiudo gli occhi, dando il tempo alla luce di illuminare quello che mi è attorno, per farlo giungere al cervello, e per poco non mi viene un infarto. Ma dove sono?, penso retoricamente, mentre la mia attenzione adesso è rivolta a Michelangelo, dormiente, che ha una mia mano stretta fra le sue e la fronte contro il mio fianco.

Lo guardo a dir poco sconcertata. Sono morta?

A destra c'è un balcone che lascia entrare la luce nella stanza, oltre ad un leggero venticello. La luce mi fa venire il mal di testa. Il letto su cui sono stesa è molto alto, di fronte ce ne sono altri due, accanto al mio ce n'è un altro. Una stanza con quattro letti, delle aste portaflebo con cestini bianchi, rotondi. Non ci vuole una laurea per capire che sono in ospedale. Mi soffermo nuovamente su Michelangelo. Perché è vestito in maniera così elegante? Che giorno è oggi?

«Michelangelo?» - sussurro, cercando con lentezza di sfilare la mia mano dalle sue, per picchiettare con un dito la sua spalla.

Spalanca gli occhi, sussultando, in un attimo solleva il busto, si guarda intorno spaesato, con una velocità che mi lascia perplessa. «Cavolacci, mi son addormentato di nuovo... Amore mio!» - un sussurro misto ad un singhiozzo. Ed io sono sempre più confusa, mentre lui si alza e mi circonda le spalle con le braccia, la testa nell'incavo del mio collo.

«Perché stai piangendo?» - sussurro, esitante e dubbiosa, poiché non riesco a parlare bene; una forte fitta alla testa trasforma la mia espressione in sofferente.

Si distanzia per guardarmi negli occhi, sconcertato e preoccupato. Ha l'aria visibilmente stanca, due barche nere si aggrappano alle sue palpebre, invano, ma è pur sempre bellissimo. «Non ti ricordi niente?» - risponde in questo modo alla mia domanda, retoricamente.

«Se te lo chiedo è perché, evidentemente, nulla ricordo. No?» - ribatto con una punta di acidità, quasi di fastidio, mentre cerco di scrollarmelo da dosso, volendo fare lo stesso con il resto del malessere fisico.

«Vado a chiamare gli altri.» - mi informa, lasciandomi una carezza sulla guancia, prima di tornare a guardarmi velocemente negli occhi, voltarsi e sparire dietro una porta di plastica, opaca.

A fatica mi metto in piedi, sistemando il cuscino dietro la schiena e poggiandomi ad esso. Mi porto la testa fra le mani, cercando invano di alleviare il dolore, e chiudo gli occhi. Cosa ho fatto ieri sera?

«Buongiorno!».

«Oh mio Dio, Alisya!».

Sollevo lo sguardo, lasciando le mani a mezz'aria, e mi ritrovo a pochi metri dalle figure di Perla e Lucia. «Ragazze.» - rispondo, sorridendo, pensando che non ci sto capendo un fico secco.

Heart of CourageWhere stories live. Discover now