Trentotto.

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Sono così emozionata, che potrei seriamente scoppiare a piangere; ma, alla fine, era come se lo sapessi già: Michelangelo mi ama, ed io amo lui. Questa dichiarazione arriva come un soffio di aria fresca, in grado di spolverare il mio cuore e renderlo più leggero.

Si allontana per guardarmi negli occhi, come a voler cogliere anche un solo cenno in grado di fargli capire le mie emozioni. Il problema, però, è che mi sento vuota e riempita. Privata di tutte le preoccupazioni, colma della speranza che tutto andrà bene e che niente sarà in grado di distruggere il nostro amore. Non vi è la paura di essere abbandonata; al contrario, so di non essere più sola.

Schiudo le labbra, provando a dire qualcosa; non so nemmeno io cosa, in realtà. Non c'è molto da riferire. Michelangelo soffoca una risata, come ad alleviare la tensione, e si adagia al sediolino. Mi passo una mano fra i capelli, in imbarazzo, e con l'altra cerco la sua, trovandola sul cambio.

«Andiamo a cenare?» -mormora, il sorriso sulle labbra. «Ho fame.».

Annuisco, mordendomi l'interno della guancia. «Piadina?».

«Vada per la pida.».

Sospira, inserendo la cintura; faccio lo stesso.

Mette in moto, illuminando la strada buia e deserta in cui ci troviamo.

«Scusa, ma...» -comincio, cercando di trovare le parole giuste. «Tu che fai in quel gruppo? Nel senso, che ruolo hai?».

La sua espressione cambia, si fa più seria. «Faccio il palo. In pratica, nella piazza di spaccio controllo che non ci siano 'guardie'.».

Come se il mio cervello fosse un grande computer, assimilo tutte le informazioni e creo nuove cartelle: palo, piazza di spaccio, guardie.

«E ti sei mai...».

«Non provarci neanche a dirlo.» -sbotta, interrompendomi. «Mio fratello è morto per quello, ti pare che io mi droghi?».

Resto interdetta per qualche attimo. «Sì, ma stai calmo.» -mormoro, incrociando le braccia. «Che ne posso sapere io? Non so mai niente, qui. E' una situazione che mi riguarda in prima persona, eppure sono l'ultima a sapere le cose. Bah.» -aggiungo, girando intorno all'argomento, sperando che possa dirmi qualcosa in più.

Emette uno sbuffo, come a calmarsi. «Mi duole darti ragione.».

«Oh, che onore» -alzo un sopracciglio, sarcastica- «e, dimmi, da quanto fai parte di questo gruppo?».

«Da un anno; più o meno, dall'estate scorsa.».

Un anno.

«Ma è tutto così strano... Non sanno che sei il fratello di Gabriele?».

Scrolla le spalle, mentre gira il volante e ci ritroviamo sul lungomare. «Non dovrebbero. All'inizio mi sono infiltrato davvero a caso in quel gruppo, sapendo della sua esistenza grazie alle voci che circolano; da qualche parte dovevo iniziare, no? Poi, poco più di un mese fa i carabinieri ci dissero che il caso era stato riaperto e che l'assassino si trovava proprio in quel clan.».

Assassino. Clan.

«E tu che hai detto?».

«Che ne facevo parte.».

Sbatto le palpebre, mentre tutte le sue risposte spargono luce e chiarezza nella mia mente. «E come l'hanno presa?».

«Mi hanno detto che ero un coglione.».

Soffoco una risata. «Ti hanno detto proprio così?!».

«Davvero!» -afferma, sollevando una mano. «Chiedi a Perla se non mi credi.».

Heart of CourageWhere stories live. Discover now