Trentanove.

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«E qui ci sono le bozze per le decorazioni alle pareti...» -mi informa Jessica, poggiando una cartellina trasparente sul marmo scuro del bancone; allungo la mano per dare loro un'occhiata, e nel farlo incontro il suo sguardo asettico ed esitante.

«Ma, quindi, che hai deciso di fare a settembre?».

Sospiro, accasciandomi allo sgabello in pelle nera. «Non credo di poter venire.» -mormoro, dando suono ai mille pensieri che si sono accumulati nella mia testa durante quest'estate. «Vorrei continuare gli studi.».

Annuisce, convinta. Ed è in questo momento che, nel mio cervello, si attua uno strano meccanismo che, da quando ho fatto quello strambo giuramento a Michelangelo, mi porta a riferire tutto ciò che penso, senza alcun timore. «Però mi piacerebbe sapere se è maschio o femmina.» -dichiaro, rivolgendole un gran sorriso. «Quando dovrebbe nascere?».

Abbassa lo sguardo in direzione del suo ventre e sorride, imbarazzata. «Aprìle.».

«Capito.» -ribatto, annuendo felice. «Allora... Vediamo un po' qui.» -aggiungo distrattamente, aprendo la cartellina. Ne estraggo i fogli e li studio con diligenza: sono delle foto scattate alle varie pareti dello Shine, con inchiostro blu, alcune frasi e disegni accennati sono riportati su esse.

Scorro con un dito le parole che dovrei tracciare sulle mura, e soffoco una risata per le bizzarre frasi scelte. Faccio su e giù con la testa, decisa. «Okay, tutto chiaro.» -mormoro. «Quindi, se oggi è sabato 30...».

«Ci vediamo lunedì: non questo, ma il prossimo.».

Giusto. Le faccio segno col pollice in su e richiudo con zelo la cartellina, incastrandola fra il palmo e le dita. «Allora a lunedì!» -dichiaro allegra, lasciandole un bacio sulla guancia. Le rivolgo uno sguardo carico di contentezza e mi volto, per uscire dal locale.

Apro la porta di casa, con uno strambo sorriso che non mi ha lasciata per tutto il tragitto. Ferie. Vacanze. Estate!

Aggrotto le sopracciglia, quando vedo che c'è uno strano silenzio nell'aria. «Perla?» -urlo, richiudendo la porta d'ingresso col tallone.

«Sono qui!» - ribatte annoiata; la voce proveniente dalla sua camera mi fa sobbalzare e placare allo stesso tempo. 

Appoggio la schiena alla parete, chiudo gli occhi e faccio un gran respiro; un senso di gioia e spensieratezza mi appaga, elargendomi un'autorevole quantità di adrenalina, che mi entra nel sangue e rende le mie gambe più leggere, forti e desiderose di fare qualsiasi cosa.

A passi lenti raggiungo il tavolo del salone, illuminato dai raggi vigorosi delle dodici e trenta; ripongo la cartellina su di esso, e raggiungo Perla nella sua stanza.

Mi reggo allo stipite della porta ed incrocio le braccia, perplessa. «Che cosa stai facendo, di preciso?» -chiedo sarcastica, fissando lo sguardo sulla mia coinquilina. E' stesa sul letto, il computer -collegato alla presa- è davanti alle sue gambe; ha in mano una bottiglia di crema verde chiaro, che riconosco essere quel liquore al pistacchio che portò dalla Sicilia.

Solleva la bottiglia, solenne. «Che bello! Guarda quanto sono felice!» -esclama con una malcelata ironia nel tono. Passa poi a guardarmi, l'espressione che solo io ho il piacere di tradurre e riconoscere: Perla è triste, ma come al solito non esterna il suo dolore o il suo problema.

Inclina il viso e arriccia le labbra, per poi scrollare le spalle e fissare il suo sguardo nel mio.

Alzo un sopracciglio, entrando nella stanza per avvicinarmi. Mi siedo con le gambe incrociate, ai piedi del letto, afferro il computer e lo giro nella mia direzione.

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