Trentacinque.

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N/A: Ebbene sì! Sono tornata a scrivere! Vi anticipo che questo capitolo sarà molto breve, diciamo un capitolo 'di passaggio', mentre il trentasei sarà lunghissimo; dunque, preparatevi psicologicamente u.u

A TUTTI COLORO CHE ASPETTAVANO CON ANSIA LA FINE DELLA REVISIONE: Ragazzi, per capire questo capitolo dovete rileggere il capitolo DICIASSETTE, dal p.o.v. di Perla. (Non so quante volte l'ho detto, ma ci tengo!).

Per quanto riguarda il resto, non è cambiato nulla. Voglio precisare una cosa, a voi che adesso andrete a leggere il 17: il succo della trama è sempre stato quello, ma come ricordate l'avevo accennato solo nel capitolo 26, quando Perla deve partire, e mi sembrava troppo tardi; per questo, l'ho anticipato nel capitolo 17. QUINDI, TORNATE A LEGGERLO!

Grazie a tutti per aver aspettato. Sul serio. Spero che la storia vi stia piacendo. In tal caso, lasciate un commento!

SHANA.

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«Ali...» -mormora; con un movimento rapido posa la chitarra sul letto.

Tiro su col naso. Non ce la faccio. Mi copro il volto con le mani, cercando di sopprimere i singhiozzi. Un ragazzo di quattordici anni, che muore in questo modo; con una vita davanti, obiettivi da raggiungere e sogni da realizzare. E' inaccettabile.

Mi sposta le mani con delicatezza; avverto i suoi palmi posarsi sulle mie guance. «Alisya, perché stai piangendo?» -chiede, guardandomi negli occhi, accigliato.

Una parte di me vorrebbe alzare il sopracciglio e rispondergli ironicamente; ma non riesco a parlare o, comunque, se lo facessi, ne uscirebbe un lamento funebre.

Deglutisco. Non so cosa dire, ed essere guardata in questo modo mi mette soggezione. «E' che mi dispiace così tanto...» - mormoro, scostando le sue mani e guardando verso il basso.

Sospira. «Non piangere, dai.» - dice, poggiando un braccio sulle mie spalle.

«Mi sento inutile in questo momento.».

Ed è la verità. Non mi sono mai sentita così insignificante, così inservibile prima d'ora. Vorrei fare qualcosa per lui, ma, effettivamente, io non potrei fare nulla in modo da rendere giustizia alla sua famiglia. A suo fratello.

«Non ha senso sentirsi inutile, lo sai, no?» - mormora. «Nessuno può farci niente, né io, né tu. Doveva andare così e basta.» -aggiunge, guardandomi serio.

Sbarro gli occhi. «Come fai a dire una cosa del genere?» -chiedo, scuotendo la testa.

«Guarda, è più o meno lo stesso motivo per cui tu non avverti la mancanza di genitori. Ci si abitua.» -dice, scrollando le spalle. «Anche a me sembra incredibile, ma non posso capire quello che provi. Lo sai meglio di me, Alisya...».

«Che cosa?» -chiedo, invitandolo a continuare.

Fa un lungo sospiro, sedendosi a gambe incrociate sul letto. «Che col tempo il dolore si allevia, e noi possiamo solo abituarci alle ferite che abbiamo sul cuore. Che l'unica cosa che ci resta da fare, è sopprimere la rabbia.».

Annuisco, sorridendo. «Non bisogna convivere col dolore, ma superarlo. Perché sopravvivere non significa vivere.» -dico, continuando il suo pensiero.

«Siamo così simili...» -mormoro, sorpresa.

Ora capisco. Michelangelo è stato costretto ad andare avanti con la sua vita. Un po' come ho fatto io, quando mi sono resa conto della mia situazione. Cosa credo, che sono l'unica ad avere problemi e ad ignorarli? Anche Michelangelo ha sofferto così tanto, ma poi è andato avanti e ha accettato quello che gli è successo. Come ho fatto io.

Heart of CourageWhere stories live. Discover now