Capitolo 4

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Levi

Fatico a tenere gli occhi aperti e la testa mi vortica come in un valzer senza fine.
I suoni mi raggiungono le orecchie ovattati, avvolti da un martellante ronzio.
Strascico le gambe che faticano a reggere il mio peso.

Scivolo a terra ma subito, due braccia muscolose mi trattengono dal cadere.

Mi sollevano.

Mi spingono in avanti.

Mi sorreggono.

L'ambiente è così colorato che a stento ne distinguo i contorni.

La luce si riflette nelle mie pupille sfocate.

Mi fanno sedere... o sono io che sono caduto su quel divanetto morbido?

La testa ciondola in avanti, pesante.

Fatico a respirare.

Fatico a pensare.

Tutto è così luminoso e confuso da stordirmi.

Vengo circondato. Circondato da visi sconosciuti. Da figure grottesche.
Vorrei scappare ma il mio corpo è paralizzato. Bloccato. Riverso sulla poltrona di velluto.
Sento delle voci, ma non riesco a capire le parole.

<<...chiama Angel...>>

Mani lascive mi sfiorano il petto, mi accarezzano.

<<...il tuo regalo...>>

Cerco di sottrarmi ma non ho le forze per reagire.

<<È il tuo regalo...>>

Scorgo una figura chinarsi su di me ma non riesco a metterla a fuoco; il suo alito mi sfiora le guance.

<<...quello che vuoi...>>

Gemo quando percepisco le sue labbra lambirmi la pelle con foga.

<<Puoi farci quello che vuoi>>

D'improvviso un dolore atroce mi spezza a metà, soffocandomi. La sofferenza mi inarca la schiena in uno spasmo atroce.
Mi manca l'aria.

<<...Angel...>>

Non chiamarmi così...
Quello non è il mio nome...
Io non sono Angel.

Mani feroci mi premono a terra, costringendomi all'immobilitá.
Non posso muovermi.
Ed ogni spinta è peggio di una coltellata.

Grido, ma un coro di risate copre le mie urla.

<<È tuo ora>>

Fatelo smettere.
Fate smettere questo dolore.
Per favore.
Fatelo smettere.

Percepisco un liquido caldo sporcarmi le cosce e perdo i sensi.

Nelle orecchie solo il suono di quel maledetto nome: Angel.

Angel.
Angel.
Angel...

Angel...
Ang...
A...
L...
Lev...
Levi...
Levi.

Levi.

<<Levi>>
Sento una mano scuotermi con dolcezza la spalla.
<<Avanti Levi svegliati>>
Apro gli occhi e intravedo i contorni di qualcuno coprire il sole.
Sbatto le palpebre, socchiudendo gli occhi in due fessure.

<<Fu - Furlan?>> balbetto, riconoscendo quella zazzera bionda.

<<E chi altri?>> scoppia a ridere, assestandomi uno scapellotto affettuoso.

Ma poi, forse scorgendo la mia espressione smarrita, vedo la preoccupazione stagliarsi sul suo viso bruciato dal sole.

<<Ehi amico, va tutto bene? Sembri...>>

<<Sei davvero tu?>>

Il cuore mi batte all'impazzata.
Sono nella brughiera.
Sono con Furlan.
Sono...
Sono libero.

Scoppio a ridere.
Una risata nervosa, isterica quasi.
Devo sembrare proprio matto.

Furlan mi scruta in silenzio, accennando un sorriso:

<<Sei proprio strano>> borbotta mentre mi aiuta ad alzarmi.

Ci troviamo nell'accampamento, nella zona sicura. Avverto il corpo e la testa farsi leggeri, liberi dall'incubo.

<<Sei pallido- mi richiama Furlan, fissandomi con la coda dell'occhio mentre mi guardo intorno -Certo di stare bene?>>

Lo ignoro.
Non ho voglia di rivivere quelle immagini.
Sono libero.
E questo mi basta.

<<Vieni- Furlan mi strattona per un braccio -voglio presentarti una persona>>

Sì fa largo tra i membri della comunità, trascinandomi con forza.
Un terribile presentimento mi serra il petto.

Poi la vedo.

Petra.

E sento il cuore arrestare la sua corsa.

<<Petra...>>

Indossa quei semplici pezzi di stoffa bianchi che la coprono a stento. La sua pelle è livida dal freddo.

<<Petra>>

Mi fissa con i suoi occhi vuoti in una velata accusa: mi hai lasciato sola, mi hai abbandonato.

Sudo freddo.
Il fiato mi si accorcia.
Il corpo mi duole come se mi dovessi spezzare.
Urlo.
Ma dalle mie labbra non esce alcun suono.

Annaspo in cerca d'aria.
Affogo.

<<Che ti prende Angel?>>
La voce di Furlan.

No no...tu non conosci quel nome...tu non mi chiami così...

<<Angel?>>

Angel.
Angel.
Angel.

Le tenebre mi circondano.

***

Quando riaprí gli occhi era mattina inoltrata.
Si trovava in una grande stanza elegante, disteso su un letto a baldacchino.

La luce filtrava dalle tende smosse dal vento, illuminando una figura femminile seduta su una sedia al lato del letto.

Teneva i capelli bruni raccolti in una coda alta, che metteva in luce il viso delicato su cui spiccavano un paio di occhiali sbilenchi, che celava i suoi occhi bruni.

Se ne stava china su un libro con la fronte aggrottata in una smorfia severa che subito si distese non appena si accorse di Levi.

<<Ben svegliato- sussurrò gentile -come ti senti?>>

<<Che...>> la voce gli uscì roca.
La gola gli bruciava come l'inferno e ogni parola era una tortura.

<<Che mi è successo?>>

Non rispose.
E quella esitazione, sommato al cocente dolore che provava fu una risposta sufficiente.

Socchiuse gli occhi grigi, soffocando un gemito. La testa gli mandava fitte terribili.

<<È un effetto collaterale delle droghe che hai ingerito- gli disse la donna, intuendo i suoi pensieri -Ti passerà in un paio d'ore>>

Levi assentí con un cenno del capo.
Non aveva voglia di parlare.
Non di quello che era successo.
Non di quello che gli avevano fatto.

<<Chi sei tu?>> la voce gli uscì tanto flebile da fargli temere che lei non lo avesse udito; ma la donna gli regalò un sorriso prima di mormorare:

<<Puoi chiamarmi Hanji. E sono colei che si prende cura dei tesori di Duncan>>

Apocalipse EreriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora