Capitolo 11

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<<Ed ecco qui il nostro angelo!>>

Levi si riscosse di colpo, avvertendo le dita di Duncan scivolargli sulla schiena nuda, fino a piantarsi nel fianco. Sollevò lo sguardo e lo fissó sul viso dell'uomo: Duncan era raggiante e il suo sadico sorriso era aperto in uno più gentile, persino i suoi modi si erano, come dire?
Ingentiliti.

Sfiorò la guancia di Levi e gli scostó un ciuffo dagli occhi, pettinandoglielo dietro l'orecchio in una carezza gentile; poi lo strinse maggiormente a sé: <<Angel ti ricordi del nostro amico Kev?>>

Kev.
Levi sentì l'intero corpo irrigidirsi; si morse il labbro e per trattenere la rabbia fu costretto a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
Cosa credeva Duncan? Che davvero potesse dimenticare l'uomo che lo aveva condannato a quella vita di stupri? Che avesse dimenticato l'uomo che lo aveva drogato e fatto sí che Duncan approfittasse di lui davanti a tutti?

Kev sorrise e si inchinò di fronte a Levi, stringendo la mano del ragazzo fra le sue per porvi sopra un delicato bacio.

<<Felice di rivederti, dolce Angel>>

Levi scostó la mano di scatto, fulminandolo con i suoi occhi di ghiaccio.

<<Indomabile come ricordavo...vedo che il tuo addestramento non l'ha cambiato poi molto>>

Duncan sorrise e si strinse il ragazzo al petto, facendogli scivolare una mano sotto il mento e l'altra sulla natica, che strinse con tanta forza da far sfuggire un grugnito a quelle labbra contratte.

<<Il mio angioletto sa bene di essere merce privata, Kev...- mormorò Duncan, con una punta di fierezza -E si lascia toccare solamente da me>>

Un'ombra scura attraversò lo sguardo di Kev, per un attimo tanto fugace che Levi credette di esserselo solo immaginato.

<<Capisco...- borbottó solo, prima che un nuovo sorriso andasse a cancellare quello sguardo cupo -Hai già conosciuto mio figlio?>>
Kev indicò il ragazzo alle sue spalle, un giovane alto, dal fisico asciutto e allenato, avvolto in un prezioso kimono ramato,  dai delicati ricami dorati, che faceva risaltare la sua pelle bruciata dal sole e i capelli castano chiari. Aveva un viso lungo, forse un po' troppo, guance glabre, labbra sottili e occhi bruni.

Come il padre era seguito da un grosso Chain, identificabile dal collare che gli serrava il collo.

<<Jean giusto?>> mormorò Duncan, stringendo la mano del ragazzo.
Il giovane annuì e lanciò un'occhiata torva a Levi, ancora stretto nella morsa del suo padrone.

Questi non si scompose: Isabel lo aveva avvertito che Jean, al contrario del padre, che prediligeva particolarmente la compagnia maschile, frequentava solo tesori femmine e mal tollerava i maschi.

<<Vogliamo accomodarci?>> propose Duncan, guidando gli ospiti fino al tavolo che aveva riservato per loro.

Quella sera,infatti, non vi erano altri clienti. Duncan aveva deciso di riservare l'intero palazzo e i suoi adorati tesori al suo più caro amico, per festeggiare la crescita sostanziale del loro successo.

Si sedettero, sprofondando nei morbidi cuscini di piuma e subito, un paio di tesori si accostarono al tavolo, per posarvi sopra vassoi colmi di deliziosi manicaretti e un colorato narghilé.

<<Vieni Angel>>
Levi si voltò verso Duncan, seduto a gambe incrociate accanto al suo importante ospite, intento a sollevare il braccio nella sua direzione;  il ragazzo storse la bocca e gli si sedette in braccio.

Subito, la mano viscida dell'uomo, prese ad accarezzargli i capelli, mentre l'altra gli sfiorava il torso magro. Levi ricacciò a fatica il proprio disgusto: detestava quella vicinanza costretta, quei contatti lascivi e si vergognava del proprio aspetto; piedi scalzi, pantaloni stretti che risaltavano le gambe magre, petto nudo e degli odiosi bracciali da cui partivano spesse catene che si allacciavano al suo collare.

Conciato in quel modo si sentiva un animale da compagnia.

<<Angel?>>
Duncan gli avvicinò un dolcetto alla bocca, spronando a morderlo; Levi voltò il capo di scatto, furioso come non mai.

<<Avanti...>> Le dita di Duncan gli accarezzarono il petto, seguendone ogni curva, ogni avvallamento, fino  a posarsi sul capezzolo roseo. Lo sfiorarono appena, facendo inturgidire quella perla di carne, prima di strizzarlo con forza.

Levi gemette e si morse il labbro. Tornò a voltarsi verso Duncan e con rabbia aprì la bocca, lasciandosi imboccare.
Il suo padrone sorrise trionfante.

<<Disgustoso>>commentò Jean.
<<Perdonami ragazzo mio- mormorò Duncan comprensivo -Non riesco a trattenermi quando vedo questo visino così angelico...>> depose un bacio sulla clavicola di Angel e tornò a guardare Jean, di fronte a lui con un'espressione accigliata dipinta sul viso.

<<Chiedigli scusa Angel>>

Levi schioccò la lingua, digrignando i denti con forza.

<<Io...>> iniziò.
<<No no no- lo bloccó Duncan divertito -Non così. Voglio che tu lo dica in francese>>

Le guance di Levi, già candide di natura, si fecero ceree. La fronte gli si riempì di goccioline e il cuore gli si arrestò di colpo.
Ormai quella lingua non esisteva più, come faceva Duncan a sapere che lui la conosceva?

<<Ogni tanto parli in francese quando gemi>> Lo stuzzicó ancora questo.

Levi si sentì mancare l'aria; lo stava facendo di nuovo, Duncan stava di nuovo rubando un piccolo pezzo di lui per distruggerlo e farlo suo.

Non poteva permetterglielo.
Non doveva.

<<Avanti Angel>> Duncan gli strinse il capezzolo con più forza tanto da fargli sfuggire un guaito.

Levi chiuse gli occhi.

E sentì quello sguardo su di sé.

Li riaprí e puntò lo sguardo oltre il viso di Duncan, appena dietro la maestosa figura di Marco.

Su Eren.

Lo stava guardando.
Come quel lontano giorno nella mensa.
Come quella volta durante lo stupro.
Come pochi giorni prima, nella sua stanza, nascosti dietro al letto.

Quelle pozze di smeraldo lo avvolsero come in un abbraccio gentile facendogli fremere l'animo come mai prima di allora.

Pensò a Furlan.
Pensò a Petra.
E pensò a Eren.
Alla sua espressione contrita mentre Levi scappava in tutta fretta dalla sua stanza, senza dare nessuna spiegazione.

Sono un idiota, fu il fugace pensiero che gli attraversò la mente.

Eren lo stava ancora fissando.
Levi prese un respiro, dopo di che sibiló un flebile:
<<Je suis désolé>>

Quelle scuse non erano per Jean, ma a parte lui nessuno lo avrebbe mai saputo. Chinò il capo, lasciandosi coccolare dall'abbraccio del padrone, mentre, sulle labbra sottili si disegnava un sorriso fugace.













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