Capitolo 28

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Mi scuso in anticipo per il tremendo ritardo ma questo capitolo mi ha rubato più tempo del previsto! Perciò bando alle ciande ed ecco a voi il capitolo 28.

Levi.

Duncan mi solleva le gambe, spingendole con forza contro il mio petto.

Artiglio le lenzuola, gemendo appena, ma non cerco in nessun modo di contrastarlo.

Lo sento grugnire e quando si china su di me, mi limito a voltare il capo di lato.

Mi colpisce alla guancia, con forza, preso dalla furia e io incasso docilmente.

<<Maledizione!>> grida esasperato. Esce da me e il dolore per quelle ferite mai rimarginate, mi oscura per un attimo la vista. 

<<Non è divertente se non cerchi neanche di reagire>>

Non rispondo. Resto fermo, riverso nel letto sfatto come mi ha lasciato. Mi azzardo a chiudere gli occhi solo quando sento la porta sbattere e il rumore dei passi affrettati di Duncan svanire nel corridoio.

Ricomincio a respirare.
Mi fa male ogni singolo brandello di corpo, ma nonostante la sofferenza e quella fastidiosa letargia che mi colpisce sempre più spesso, mi costringo ad alzarmi.

Muoviti, mi ordino.

Il pavimento è gelido e, quando i miei piedi entrano in contatto con quella superficie fredda, vengo attraversato da una lunga serie di brividi.

In piedi, forza.

Indosso la tunica grigia, con lentezza, gemendo a causa dei muscoli atrofizzati. Sono in piedi.

Cammino un poco per la stanza, cercando di riabituare le gambe al mio peso. Tremano un poco, ma sembrano reggermi piuttosto bene.

Non ho fame, nonostante non mangi da giorni.

Sono apatico.

Voglio solo distendermi e...
Dormire.

Ma una piccola voce dentro di me mi avverte che se lo facessi rischierei di non svegliarmi più.

Forse sarebbe meglio.

Scuoto la testa.
Non è il momento di deprimersi. Non sono il tipo.
Eppure...
Eppure sento un gran vuoto nel petto. Lo stesso provato dopo la morte di mia madre.

Eren mi manca.
Forse più della mia perduta libertà. Ma lui non vuole più saperne di me. L'ho perduto. Per sempre.

Sussulto un poco nell'udire il familiare scricchiolio della porta. Non so dove trovo la forza per costringermi a rimanere fermo. Prima sento le mani artigliarmi  i fianchi, poi il petto premere contro la mia schiena e la nuca rasata. Infine, quell'odore disgustoso che mi arriccia le narici.

<<Cosa hai fatto per fare infuriare tanto il tuo padrone, angioletto?>>
La lingua viscida si insinua nel mio orecchio, per stuzzicarmelo piano. Rabbrividisco, disgustato, ma riesco a mantenere una sorta di calma apparente.

<<Che sei venuto a fare, Kev?>> chiedo gelido.

<<Sei freddo oggi, Angel. Che c'è, ti manca Eren?>>

Un lieve sussulto tradisce il subbuglio che si annida nel mio petto; posso sentire le labbra di Kev incurvarsi all'insù contro la mia nuca. Lo allontano, lanciandogli un'occhiata storta: <<Non osare pronunciare il suo nome>> scandisco piano, serrando con forza la mascella.

Kev non pare turbato da quella minaccia; continua a sorridermi, divertito come un gatto che gioca con il povero topo. Come se pregustasse già il momento in cui mi divorerà. Stringo i pugni.

Apocalipse EreriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora