Capitolo 6

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-'Buongiorno.' Sussurro ad una Bree improvvisamente buffa e bambina di primo mattino. Mi mette a fuoco per un decimo di secondo, prima di dedicarmi un sorriso timido. Sorrido a mia volta.
-'Da quanto sei qui?' Chiede, stropicciandosi gli occhi con le mani. Adorabile.
-'Da stanotte. Non ricordo l'ora. Hai dormito bene?' Chiedo, avvicinandomi al suo letto e passando una mano tra i suoi capelli, così ricci ma così morbidi.
-'Si. Con te vicino dormo sempre bene. Anche quando sono priva di coscienza, ti sento. Ti rendi conto di che potere hai su di me?' Chiede con orrore, come se si vergognasse di se stessa. Scuote la testa prima di tornare a guardarmi.
-'Perchè non mi hai svegliata?' Chiede, scostando le coperte e sedendosi sulle mie gambe. Affondo il naso nei suoi capelli mentre la stringo a me. Sa di buono.
-'Mi piace guardarti mentre dormi. Mi tranquillizza, mi fa sentire in pace con me stesso.' Sussurro. Lei si gira a guardarmi. I suoi occhi si bagnano.
-No, Bree. Cazzo, non voglio che tu pianga.' Dico, sentendomi improvvisamente colpevole. Certe volte era così fragile.
-'Solo tu mi fai venir voglia di non arrendermi.' Dice, gettandomi le braccia al collo e incollando la sua bocca alla mia. Non sono io a baciarla, è lei che comanda, che mi comanda, che mi prende e mi fa suo. Ah, bambina.

-'Devo andare, piccola.' Le sussurro mentre le bacio una guancia. Lei sorride appena, con gli occhi ancora chiusi, con i capelli ancora arruffati.
-'Ti amo. Dio, se ti amo.' Dice e mi sembra quasi il paradiso.

Sono appena le sei del pomeriggio e sono terribilmente annoiato. In ufficio non c'è molto da fare e perfino Gaston se ne sta buono alla sua scrivania con lo sguardo rivolto al computer, probabilmente a navigare in qualche sito di sciocchezze romantiche per la sua bella biondina. Avevo da poco scoperto, che era un vero sentimentale. Alzo gli occhi al cielo dinanzi alle mie congetture, per poi recuperare la mia giacca e la mia valigetta. Ne ho abbastanza per oggi.
-'Gaston io vado a casa. Tra mezz'ora chiudi tutto e vai via anche tu. Ci vediamo lunedì.' Dico, fermandomi alla sua scrivania. Alza gli occhi verso di me, ma non mi guarda davvero, sembra stia pensando ad altro.
-'Certo. Buon weekend capo.' Dice in fretta, per poi ritornare allo schermo. Me ne vado irritato, sbattendo la porta. Scendo in strada e c'è poco movimento, non mi va di tornare a casa. Per un attimo valuto le mie possibilità per poi optare per quella più semplice: Grace. Mi fermo dal fioraio e le prendo un mazzo di tulipani bianchi, che lei adora, prima di andare a casa sua. Non abita molto distante dal centro, eppure il suo quartiere è calmo e tranquillo, quasi rilassante. Il palazzo è aperto, così mi dirigo dritto alla sua porta. Busso un paio di volte al campanello, poi alla porta mentre la sento affannarsi per sbrigarsi ad aprire. Mi apre una Grace in pigiama e con gli occhi rossi.
-'Oddio no! Non guardarmi mentre sono in queste condizioni!' dice, portandosi le mani sul viso per coprirsi. Scoppio a ridere.
-'Ah, Grace, sei adorabile in ogni caso.' Dico avvicinandola a me e baciando la sua fronte.
-'Sei troppo buono, ho un aspetto orribile. Non è il tuo solito orario, non sei in ufficio a quest'ora di solito?' Nota, guardando con attenzione l'orologio affisso alla sue spalle.
-'Si, ma tu sei più importante.' Mormoro con fare civettuolo. Lei arrossisce per un attimo per poi scuotere la testa.
-'Posso offrirti qualcosa?' Chiede poi come se si fosse appena ricordata delle buone maniere. E' buffa, mi fa venire voglia di ridere.
-'No Grace, grazie. Non ho sete.' Rispondo, accomodandomi sul suo piccolo divano di pelle viola. Ho sempre trovato bizzarro questo colore, ma a lei piaceva. D'altronde Grace, non smetteva mai di stupirmi. Si accomoda accanto me, recuperando un plaid con dei gattini prima di sedersi. Trema dal freddo. Le stringo una mano.
-'Non ti facevo tipo da gatti.' Dico sorridendo. Lei sorride a sua volta.
-'E' di mia nipote. Ha voluto che lo tenessi. Ci tengo.' Dice semplicemente alzando le spalle. Poggia la testa sulla mia di spalla. Sembra così piccola oggi. La stringo appena, mentre si rilassa, mentre prende calore. Sembra stia per addormentarsi ma poi mi spiazza con una delle sue domande.
-'Come sta la tua bionda?' Chiede, senza guardarmi. Mi stupisco.
-'Credo bene. Perché?' Chiedo incuriosito. Lei esita per un secondo. Mi incupisco.
-'L'altro giorno l'ho incontrata in clinica. Ero lì per degli esami del sangue, sai che li faccio ogni tre mesi, e lei era lì per lo stesso motivo.' Dice d'un fiato. La guardo senza capire e costringendo anche lei a guardarmi. Alza mal volentieri lo sguardo. Si morde un labbro.
-'E quindi? Erano esami di controllo no?' Chiedo. Lei esita ancora.
-'Lei è incinta. Ha fatto gli esami del sangue per esserne sicura.' Dice tutto d'un colpo, come se ad un tratto, si fosse liberata di un peso enorme. Sospira, mentre il mio di respiro si è bloccato. Tutto si è bloccato dinanzi alla parola incinta. Non poteva essere vero. Non era possibile.
-'Te lo ha detto lei?' Ormai vacillo, fatico a controllare la voce.
-'Si, non voleva che te lo dicessi. Ma mi sembrava giusto dirtelo.' Risponde annuendo con la testa, come a convincersi di aver fatto la cosa giusta.
-'Io vado. Guarisci presto.' Le dico in fretta, senza darle il tempo di rispondere.
Le risposte le voglio da Blondie.

Un bambino, un figlio. Un piccolo essere che potrebbe avere i tuoi occhi, il tuo naso, le tue espressioni quando qualcosa non ti piace, o un piccolo ometto uguale a me eppure così diverso da me. Ma chi ci ha mai pensato?
Io mica lo so se sono pronto.
Aspetta, ma se poi non è mio, come la mettiamo? Eppure tu sei mia.
Tu sei sempre stata mia.

Rehab. Non ti amerò mai come meriti.Where stories live. Discover now