Capitolo 17

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-'Mamma avanti, dì qualcosa.' Ripeto per l'ennesima volta. Non so cosa diavolo mi è preso. Mi ha chiamato per invitarmi alla festa di compleanno di papà e istintivamente le ho detto che Blondie è incinta. Mi passo una mano tra i capelli impaziente.
-'Mamma.' Dico ammonendola. Sento il suo respiro cambiare.
-'E' tuo?' Dice semplicemente. Per poco non scoppio a ridere.
-'Certo che è mio mà.' Dico ancora. Lei trattiene un brivido. Lo avverto.
-'Ti aspetto alla festa di tuo padre, sabato. Porta Blondie con te.' Dice appena, prima di chiudere la conversazione senza aspettare una risposta. Merda.

In serata sono agitato. Cammino avanti e indietro da più di un'ora su questo maledetto terrazzo. La bottiglia di vino è vuota ma questo non mi fa sentire più leggero. Cerco di pensare lucidamente a questa storia, ma non ci riesco. Sapevo quello che pensava mia madre. Pur essendo una donna giovane e moderna, la sua anima era antica, così come il suo modo di pensare. Per mia madre, un figlio equivaleva ad un impegno, un impegno ad una promessa duratura che inevitabilmente portava ad un matrimonio nel bene e nel male. Deglutisco a fatica. Sono pronto a tutto questo? Sono pronto a rinunciare a tutte le altre, a me stesso, per un esserino che porta il mio cognome e il mio sangue velenoso? Per un attimo ripenso alle parole di Bree, che riecheggiano forti come non mai nella mia testa: 'so che alla fine di questa storia, tu sceglierai lei. Ma ti prego, non farlo solo per il bambino, altrimenti so che sarai infelice per sempre.' Per sempre. Che grande parola eh? Che gran puttanata.

Quando mi sveglio, mi sento stordito. Guardo l'orologio e la sveglia segna le otto passate. Mi alzo con calma, anche se in ufficio ci sono parecchie incombenze che richiedono la mia attenzione. Scelgo il mio completo blu con strana lentezza. La barba la lascio, perché oggi va così e scendo in strada. Mi fermo al bar all'angolo a fare colazione e c'è Blondie seduta accanto al bancone. Trattengo il fiato. Indossa un abito rosa pallido, con vertiginosi tacchi a spillo. Le sue spalle leggere sono coperte da un leggero trench coordinato. Il collo è scoperto e mi fa venir voglia di cose che non posso dire. Passo un dito sul suo collo, lei rabbrividisce.
Non ha bisogno di girarsi.
-'Buongiorno.' Dice con voce melodiosa. Mi fa sorridere, mentre mi accomodo. Lei si gira a guardarmi e mi incatena con il suo sguardo.
-'Come sei bella.' Mi vien da dirle, mentre con le dita sfioro una sua guancia.
-'Tu sei molto bello.' Mi dice, lasciandosi toccare. Dio, sono pazzo di questa donna.
-'Come stai.' Chiedo, ordinando un cappuccino. Lei parla, parla e non smette di sorridere. Mentre la osservo, catturo i suoi dettagli, come se fosse la prima volta che la guardo: il naso piccolo e leggermente all'insù, la bocca piena lasciata naturale da un rossetto chiaro, le guance, la fronte oggi così liscia e senza pensieri, gli occhi, cazzo, sui suoi occhi potrei scrivere un'intera trilogia. Ti intrappolano e ti scagionano nello stesso momento. Lei se ne accorge.
-'Perché mi guardi così?' Dice, finendo il suo caffè. Scuoto la testa, mentre prendo una sua mano tra le mie.
-'Non so in che altro modo guardarti.' Rispondo, baciando le sue dita. Lei sospira.
-'Sabato è il compleanno di mio padre. Voglio che tu venga con me.' Dico, alzando gli occhi per guardarla. Lei mi sorride. Dolce.
-'Lo so che ti ha chiamato tua madre. Ha chiamato anche me.' Dice senza smettere di sorridere. Cazzo. La guardo a lungo cercando di capire le sue emozioni, senza però riuscirci.
Continua ad essere rilassata.
-'Devo andare a lavorare.' Dice distraendomi. Sbatto le palpebre. Lei mi passa una mano tra i capelli e mi lascia un bacio sulla guancia.
-'A presto piccolo.' Sussurra ed io sono incapace di trattenerla. Vorrei dirle di restare, che tutta sta storia è tutta sbagliata, è tutta giusta. Vorrei dirle che questo non era il nostro destino, che non avevo scritto tutto questo, ma quel Signore lassù che gioca a fare Dio ha cambiato i piani. Ed io non lo so come mi sento, come mi dovrei sentire. Sento solo un cazzotto allo stomaco ogni volta che mi guardi, ogni volta che poggi la mia mano su quel tuo ventre che mi piace chiamare casa.

In serata, Bree mi telefona. Lascio squillare il telefono un paio di volte prima di rispondere. La mia voce è stanca, flebile. Se ne accorge.
-'Odio sentirti così triste. Perché non vieni qui?' Dice affettuosa, ma stasera, non mi va di farle del male. Non sarebbe giusto farmi consolare da lei, anche se vorrei solo questo. Non lo merita.
-'Per stasera va bene così piccola. Grazie lo stesso.' Dico senza pensarci. Lei si altera improvvisamente e mi prende alla sprovvista.
-'Perché cazzo mi ringrazi? Non l'ho detto per farti piacere.' Mi sorprende.
-'Perché ti scaldi tanto?' Chiedo appena. Lei aspetta un attimo prima di rispondere.
-'Non ci sei mai quando ho bisogno. Ecco perché.' Dice stizzita prima di chiudermi il telefono in faccia.

Sono complicate le donne. Un tempo avrei detto che quello difficile ero io, che ero bravo a capirle, ad averle tra le mie mani. Ma il tempo passa e mi rendo conto, che con i sentimenti non è facile ragionare. Le donne sono complicate perché ci mettono sempre troppo cuore, senza paura di farsi male.
Vorrei essere anch'io così coraggioso.

Rehab. Non ti amerò mai come meriti.Where stories live. Discover now