Capitolo 11

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Non riesco a dormire. Mi giro e mi rigiro in questo dannato letto, ma il sonno proprio non vuole collaborare. Mi alzo, guardo l'orologio e sono le quattro del mattino. Troppo tardi per chiamare qualcuno, troppo presto per chiamare qualcuno. Sono passate quasi due settimane dall'ultima volta che ho visto Bree. Dopo quel suo messaggio non mi ha più cercato. Sorrido a mezza bocca ripensandoci. Mi ha sorpreso. M'aspettavo che mi chiamasse dopo un paio di giorni o che venisse direttamente fuori casa mia dopo la prima settimana e invece no, invece è rimasta nel silenzio. Nemmeno io l'ho cercata, anche se un paio di volte son passato fuori casa sua senza bussare. Ho cercato di pensare lucidamente a tutto questo casino ma la verità è che non so come mi sento in proposito, non lo so come mi dovrei sentire. Mi manca. Questo non posso certo negarlo signori miei, non posso negarlo a voi, figuriamoci a me stesso. Ma che senso avrebbe cercarla? Blondie è incinta, io sono il padre, io sono questo e questa è la situazione di merda in cui ci ritroviamo. Non posso cambiarla, non posso farlo nemmeno se lo volessi sul serio. Che senso avrebbe perdonarmi? Che poi aspetta, perdonarmi di essere quello che sono? Lei sapeva chi ero, l'ha sempre saputo. Eppure questo mi fa riflettere su così tante cose, eppure questo non mi fa sentire meglio. Anche se arrivato a questo punto, niente mi fa sentire meglio.

In serata sono solo. Blondie mi ha chiesto di andare da lei ma io non me la sento. Anche Grace mi ha chiamato, preoccupata per la mia assenza. Ma quando il mondo si spegne, come fai a spiegarlo? Perché è così che mi sento, spento. Non ho voglia di lavorare, di gridare al mondo che lei non c'è, non ho voglia di bere, di scopare e scrivere. Non ho voglia di avere voglia di qualcosa.

La settimana in ufficio passa a rilento. Questa è la terza settimana senza Bree. Quasi ventiquattro giorni senza di lei. E' stupido che io abbia contato i giorni, che abbia calcolato la sua assenza, la sua distanza da me e dalle mie braccia. Lo so che state pensando, che dovrei dirglielo, che dovrei chiederle di tornare, ma non ne vedo il senso, non ne vedo il motivo.

-'Capo posso fare qualcosa per lei? Non mi sembra in gran forma.' Mi interrompe Gaston, facendo capolino nel mio ufficio e portandomi un caffè con un sorriso benevolo sul volto. Trattengo la mia impazienza e mi sforzo di sorridere.
-'Sto bene. Torna pure a lavorare. E se hai finito di compilare quei documenti, portameli. E' più di un ora che aspetto.' Dico bevendo il mio caffè. Vedo il suo sforzo nel mantenere il sorriso sul viso, prima di chinare la testa e chiudere la porta. Al diavolo.

Il telefono squilla. Il display si illumina. E' Blondie. Rispondo dopo il terzo squillo.
-'Cosa c'è.' Dico con poco entusiasmo. Lei se ne accorge.
-'Se non avevi voglia di sentirmi, perché hai risposto al telefono?' Chiede con una punta di acidità nella voce. Faccio finta di niente.
-'Perché al contrario di quello che si dice, anche io ho un cuore.' Rispondo sbuffando e riempiendomi un bicchiere di vino. O forse è il secondo?
-'Stai bevendo? E' tardi per farlo. Vai a dormire.' Sbuffo guardando l'orologio. Non è neanche mezzanotte. Mica era mia madre.
-'Tranquilla, la carrozza non si è ancora trasformata in zucca.' Dico acido, ma lei stranamente scoppia a ridere. Mi fa sorridere per un attimo.
-'Vedi che quando vuoi sai essere divertente? Spero tanto che somigli a te.' Dice improvvisamente. Mi blocco senza respiro.
-'Hai sempre detto che avrebbe dovuto somigliare a te. E adesso cambi idea?' Chiedo ancora senza fiato. Trangugio il mio vino in un attimo. Mi fa attendere.
-'Su di noi cambio idea continuamente ma mai su di te. Sei l'amore della mia vita e non mi importa se questa è la vita sbagliata. Lo sei ugualmente.' Sussurra e posso avvertire il sorriso che si sta facendo spazio sul suo volto. Tremo.
-'Buonanotte, Blondie.' Dico per poi riagganciare.

Sono le tre del mattino e sono fuori casa di Bree. Ho bevuto la bottiglia di vino e un'altra l'ho portata dietro in caso di emergenza. Tutte le luci sono spente e non so cosa io ci faccia qui fuori. Forse lo so, ma non voglio ammetterlo. Giro intorno alla casa e come al solito la sua finestra è aperta. Entro fugacemente e nel suo letto non c'è. Mi giro intorno, per poi scorgerla sul pavimento, in posizione fetale che dorme con addosso solo la sua felpa informe. Scuoto la testa, quella felpa ne aveva visti di brutti momenti, esattamente come lei. Mi siedo sul suo letto e per un po' la guardo dormire, sentendomi finalmente di nuovo intero, di nuovo me stesso. I capelli ormai le sfiorano la schiena, le ciglia sono lunghe, lunghissime. E' bella come ventiquattro giorni fa, sembra la stessa ma so che non è così. Perfino nei sogni ha un espressione atterrita, contratta, quasi triste. Vorrei sfiorarla ma ho paura. Non voglio che si svegli, non voglio che mi trovi qui. Do un ultima occhiata alla stanza, per poi notare che le sue fotografie non ci sono più. Al suo posto ci sono un paio di gigantografie, una mia e di Bree che siamo sul suo letto abbracciati e le altre due sono solo mie, una dove suono il piano e l'altra dove sono al bar che bevo da solo. Non c'è altro. Sono in bianco e nero, proprio come la mia anima dannata.
Per un attimo mi sento perso, smarrito. Poi torno a guardarla. La alzo senza sforzo e la deposito sul suo letto, coprendola con una coperta. Mugola qualcosa nel sonno ma non si sveglia. Mi siedo ai suoi piedi.
-'Ah Bree. Ma cos'hai che proprio non va? Sei così ostinata, prepotente e meravigliosa. Mi vuoi ad ogni costo eppure il prezzo che stai pagando è davvero troppo alto. Ma cos'hai che proprio non va? Potresti avere chi vuoi al mio posto. Potresti avere James, si vede che ti ama, si vede che stravede per te. E lo so che anche tu gli vuoi bene, anche se non me lo dici, anche se lo neghi sempre. Non importa. Ah Bree, ma cos'hai che proprio non va? Ti amo, ma non è abbastanza. Ma mi piacerebbe che lo fosse. Mi piacerebbe che bastasse.' Le sussurro triste mentre dorme. Le do un bacio sulla fronte prima di andarmene.

C'è una cosa che mi diceva sempre mia madre, una cosa che mi ripeteva da bambino ogni volta che mi vedeva perso, smarrito, una cosa che ancora oggi ricordo. Mi diceva che quando tutto sembrava più grande di me, dovevo diventare più grande di tutto. Ci sono sempre riuscito.
Adesso faccio fatica.
Penso a Bree.
Penso a Blondie e alla vita che porta dentro di sé. Penso a quello che provo.
Mamma, mi dici adesso come faccio a diventare più grande dell'amore?

Rehab. Non ti amerò mai come meriti.Where stories live. Discover now