Capitolo 16

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Era tutto completamente nero. Non c'era pavimento, non c'era soffitto. Non una luce a illuminare la via. Il nulla lo avvolgeva, il silenzio gli perforava i timpani. Dov'era finito?

Alec camminò – poteva farlo, anche se non c'era un pavimento –, i suoi passi non facevano il minimo rumore. Chiamò Magnus, ma l'eco della sua voce rimbalzò su pareti invisibili. Chiamò Jace, Isabelle, Daisy. Ma continuava a tornargli indietro solo la sua stessa voce, colpendolo da ogni direzione.

Era forse morto? No, qualcosa gli diceva che quello non era né l'Inferno né il Paradiso. Forse era una specie di limbo, forse era solo la sua mente che gli stava giocando brutti scherzi. Forse stava solo sognando.

Aguzzò le orecchie nel tentativo si sentire qualcosa, continuando a camminare senza una meta. Gli sembrava di aver fatto chilometri quando finalmente lo percepì.

Era lontano, era flebile. Era un respiro affannato, doloroso.

Alec si guardò intorno nella vana speranza di vedere qualcuno o qualcosa, ma continuava a essere tutto troppo nero.

«C'è nessuno?» gridò. Sentiva ancora quel respiro. «Daisy? Sei tu?»

«Alec?» Era lei, era la sua voce. Lontana, debole, sofferente. Ma era lei.

«Sto arrivando!» disse, felice di non essere solo in mezzo a quel nulla. Come l'avrebbe trovata, era una bella questione da risolvere.

Camminò e camminò, il lamento di Daisy nel chiamarlo era quasi straziante e arrivava da ogni direzione. Aveva perso la cognizione del tempo, potevano essere passati minuti od ore. Poteva aver percorso metri o chilometri. Era come perso nell'infinito, in un eterno vuoto senza prima e senza dopo, un cerchio senza inizio e senza fine.

Finché quell'incantesimo si spezzò, la monotonia si frantumò, il nero che lo circondava si frammentò: Daisy era laggiù davanti a lui, una piccola figura raggomitolata su se stessa, tremante e impaurita.

Alec cominciò a correre e la raggiunse, le si inginocchiò accanto e le accarezzò una spalla. Solo allora gli occhi di lei, fino a quel momento serrati, si aprirono.

«Alec, dove siamo finiti?» In posizione fetale, Daisy tremava vistosamente. Per il freddo o per la paura, Alec non sapeva dirlo.

«Non lo so, ma andrà tutto bene.» Si tolse la giacca di pelle e gliela posò sopra.

«Sto bene» disse lei, rifiutandola.

«Stai tremando.»

«Non è per il freddo. Mi fa male tutto.»

«Credo che il tuo corpo stia reagendo al mio sangue. Sta combattendo per sopravvivere.»

Daisy chiuse di nuovo gli occhi, era stanca, stremata di sentire dolore alle ossa. Iniziava a credere che fosse una battaglia che non poteva vincere.

«Ehi, guardami» le disse Alec con voce dolce ma decisa.

La ragazza gli ubbidì. Aveva il respiro rotto, le labbra screpolate e le mani fredde. Alec notò che la runa della guarigione che le aveva tracciato sull'avambraccio era sbiadita.

«Non puoi restare così. Alzati.»

«N-non ci riesco.»

«Sì che ci riesci.» Alec si sollevò da terra e le allungò una mano. «Forza.»

Daisy si mise lentamente seduta, ogni movimento le provocava dolori in tutto il corpo. Alec continuava a tenere la mano tesa verso di lei.

«Tu non dovresti essere qui. Mi hai dato troppo sangue.»

SHADOWHUNTERS - CONNECTIONWhere stories live. Discover now