Dodici.

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You've got to know when to hold 'em, know when to fold 'em

Know when to walk away, and know when to run

Kenny Rogers


<<Non lo so. E' un dolore continuo, ma non ho fatto movimenti bruschi o strani. Immagino che nei prossimi giorni dovrò fare degli accertamenti>> le rispose Aleksandar.

Alessia notò lo sconforto del ragazzo, che le fece tenerezza.

//A volte sembra così indifeso...// 

<<Vedrai che guarirai>> lo rassicurò. <<Basterà ascoltare quello che ti diranno i dottori>>

Lui annuì.

<<Hai ragione>> il sorriso tornò sul suo volto. <<Mi dispiace non avere vinto, avevo promesso che avrei giocato per te. Quella di stasera non è stata la mia miglior prestazione>>

Fu il turno di Alessia di sorridere.

<<Ti rifarai, ne sono certa>>

In quel momento si avvicinò Goran; evidentemente, anche lui voleva sincerarsi delle condizioni del compagno di Nazionale. La giornalista si alzò e gli gettò le braccia al collo, complimentandosi con lui per la vittoria. Rimase tra le braccia dell'amico per alcuni secondi, poi si allontanò per permettergli di parlare con Aleksandar.

<<Come stai?>> gli domandò lo schiacciatore.

L'opposto ripeté quanto detto alla giovane. Mentre parlava, furono raggiunti anche da Betty e Juan, che ebbero così modo di conoscere la situazione.


<<Goran, vieni a festeggiare con noi?>> gli chiese il brasiliano, titubante.

Era tentato - dopotutto, non era da tutti vincere due Scudetti di fila - ma non se la sentiva di lasciare sola Alessia.

<<Vai pure>> lo spronò l'amica.

<<Sei sicura? Te la senti di stare da sola?>> si informò a bassa voce.

Lei annuì, cercando di apparire tranquilla, ma lui non si fece ingannare. Sospettava che si stesse sforzando per convincerlo ad unirsi ai festeggiamenti col resto della squadra.

<<Puoi venire con me>> la voce di Aleksandar li interruppe.

Si girarono entrambi verso di lui, aspettando che proseguisse.

<<Noi partiremo soltanto domattina. Puoi stare in hotel con me, se vuoi>> si rivolse all'amica. <<Goran può passare a prenderti a fine serata>>

Lo schiacciatore soppesò l'offerta: era un buon compromesso. In più, la compagnia di Aleksandar avrebbe potuto far bene ad Alessia. Osservò la ragazza, in attesa che decidesse.

<<Va bene>> disse lei alla fine.

Goran si sentì più tranquillo sapendo che qualcuno sarebbe stato con lei.


Aveva esultato coi compagni, ma sentiva che gli mancava qualcosa. O meglio, gli mancava qualcuno. Automaticamente, l'aveva cercata sugli spalti, ben sapendo che lei non si sarebbe mai seduta in un posto dove avrebbe potuto identificarla. Sapeva però che era presente; ne era certo, non avrebbe abbandonato Goran e Juan in un giorno così importante.

Finiti i festeggiamenti sul campo, decise di verificare come stesse Aleksandar: era un suo compagno di Nazionale e avrebbero giocato insieme i campionati Europei nel giro di alcune settimane. Si avvicinò alla panchina avversaria, intorno alla quale si era radunata almeno metà della squadra di Perugia, e si fece largo tra giocatori e staff.

Non fece in tempo a parlare, che si ritrovò davanti agli occhi Alessia. Era accanto a Goran, Juan e Betty e stava sorridendo. Il suo cuore smise di battere per tutto il tempo di quel sorriso, gli era mancato da morire. Lei gli era mancata.

Alcuni istanti dopo, il gruppetto si accorse della sua presenza e si ammutolì.

I suoi occhi furono calamitati da quelli di Alessia e non riuscì più a spostare lo sguardo. Lei sbiancò e si immobilizzò, tesa come una corda di violino. Il suo bellissimo sorriso era sparito.

Con enorme fatica, Nikola riuscì a recuperare l'uso della parola, ma continuò a fissarla.

<<Sono venuto a vedere come stai>> si rivolse ad Aleksandar.

<<Farò degli esami nei prossimi giorni>>

Nikola quasi non lo sentì; tutta la sua attenzione era per la ragazza che lo guardava in silenzio. Percepì Goran muoversi leggermente accanto a lui, ma non se ne curò. Gli sembrava di essere tornato a respirare dopo settimane di apnea.

Improvvisamente, però, Alessia iniziò a respirare con difficoltà e, pochi istanti dopo, si voltò e corse via.

<<Oh, no. Di nuovo>> esclamò Betty, preoccupata.

Nikola vide Goran seguire immediatamente la giovane. Non capiva cosa stesse accadendo.

<<Che significa? Cosa succede?>> chiese agli amici, perplesso.

Anche Aleksandar si era fatto attento.

Betty sospirò e spiegò loro dell'attacco di panico che l'amica aveva avuto dopo aver incontrato Nikola e Nataša al cinema.

Il palleggiatore sbatté le palpebre, incredulo. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe potuta accadere una cosa del genere. Subito, si incamminò verso la direzione in cui aveva visto scomparire Alessia e Goran. Una morsa gli chiuse lo stomaco. Doveva vederlo con i suoi occhi, nonostante il cervello gli raccomandasse di andarsene, mantenendo così le distanze. Non poteva. Doveva assicurarsi che Alessia stesse bene.


Aleksandar aveva ascoltato la spiegazione di Betty con crescente apprensione. Quando vide Nikola seguire la ragazza, si alzò in piedi, deciso ad andare con lui. Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra.

<<Aiutatemi>> mormorò a Juan e Betty.

Il brasiliano lo sorresse, aiutandolo a camminare senza caricare troppo la gamba sofferente. Lentamente, riuscirono a raggiungere gli altri fuori da un'uscita di servizio. Per fortuna, lì non c'erano tifosi o giornalisti.

Arrivò alla porta e si fermò, appoggiandosi allo stipite. Osservò angosciato la scena davanti a lui: Goran, inginocchiato per terra, stava abbracciando Alessia, cercando di tranquillizzarla. La schiena della ragazza era a contatto col petto dello schiacciatore e le braccia dell'amico la circondavano. Desiderò poter fare qualcosa, poter aiutare in qualche modo. Quella sensazione di impotenza non gli piacque neanche un po'.

Quando, dopo alcuni minuti, la giornalista riprese a respirare normalmente, Aleksandar tirò un sospiro di sollievo. Poi si allontanò di pochi passi da Juan e Betty, mettendo a tacere il dolore che, dalla tibia, gli risaliva in stilettate lungo il resto della gamba, e raggiunse Nikola, il quale aveva assistito alla scena in silenzio e con il volto contrito. Gli dispiaceva per lui, ma provava anche rabbia. Era stata la sua decisione a provocare tutto quello.

Stando attento a non farsi sentire dagli altri, gli sussurrò:

<<Se davvero vuoi fare questa scemenza, non puoi starle così vicino>>


Quella sera stessa, appena uscito dal palazzetto e prima ancora di trovarsi con i compagni per la cena, Nikola afferrò il cellulare. Doveva fare una telefonata. E doveva farla subito.

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