Trentotto.

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And I tried to find you, but it's useless

And I tried to speak, but it was useless

And I felt so bad and I didn't know why

And it didn't get better as time went by

I was there for you, but you turned away

And I tried to find you, but you turned away

Oingo Boingo


Goran chiuse la comunicazione e lasciò cadere il cellulare sul letto, sospirando. La telefonata era durata quasi mezz'ora e per buona parte del tempo aveva parlato solo lui. Era stato difficile tranquillizzare Alessia senza essere lì con lei: si era sforzato di mantenere un tono calmo e rilassato, di pronunciare le parole quasi con un ritmo cadenzato, sperando che questo bastasse. Non avrebbe potuto fare nient'altro.

All'inizio, l'amica non era sembrata in grado di controllarsi; poi, molto gradualmente, si era reso conto che lei lo stava ascoltando - veramente ascoltando. E aveva percepito il suo respiro decelerare, e l'aveva immaginata con gli occhi chiusi e una mano sul petto, mentre iniziava a rispondergli con dei monosillabi. Goran si era sentito più sollevato, si era rilassato un po' e aveva iniziato a farle delle domande che richiedevano risposte via via più articolate, finché lei non era stata in grado di parlare quasi normalmente.

Aveva sperato che trasferirsi momentaneamente a Perugia potesse risolvere il problema degli attacchi di panico, ma, evidentemente, non era così. Anche se non aveva avuto modo di chiedere ad Aleksandar quale fosse stato il motivo scatenante dell'attacco, era chiaro che ci sarebbe voluto ancora del tempo.

Lo schiacciatore si trascinò stancamente in cucina e vi trovò Vladimir, il quale gli porse un bicchiere d'acqua.

<<Tieni. Ne hai bisogno più di me, dopo tutto quel parlare>>

Goran rimase di stucco.

//Forse anche Nik ha sentito la telefonata?//

Ma la frase successiva di Vladimir gli tolse ogni dubbio:

<<Ero venuto a bere qualcosa e ho sentito la tua voce attraverso la porta della stanza. Nik non si è accorto di nulla>>

Goran prese il bicchiere che l'altro gli offriva e bevve.

<<Glielo dirai?>> gli domandò l'amico.

<<Servirebbe a qualcosa?>>

<<Forse capirebbe che sta facendo l'idiozia più grande di tutta la sua vita>> ipotizzò il maggiore dei fratelli Kiljc.

<<O forse alimenterei solo il suo senso di colpa>> concluse Goran. Appoggiò il bicchiere sul tavolo e scosse il capo. <<No, non glielo dirò>>


Aleksandar richiuse piano la porta della camera di Alessia, dopo averla coperta ì, per lasciarla riposare. Era esausta, dopo quel mezzo attacco di panico.

Una volta solo, si mosse con fatica, recuperando entrambe le stampelle, e si accasciò sul divano. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine della ragazza, rannicchiata sul letto in posizione fetale, che cercava disperatamente di respirare. Non si era mai sentito così inutile e impotente in tutta la sua vita. Aveva provato a calmarla, parlandole e abbracciandola, ma non c'era stato niente da fare.

Nel panico, aveva fatto l'unica cosa sensata che gli era venuta in mente: telefonare a Goran. Aveva sperato che il compagno di Nazionale gli desse qualche suggerimento su come comportarsi; invece, l'amico aveva preso in mano la situazione e a lui non era rimasto niente da fare se non assistere impotente a quello che stava succedendo. E aveva dovuto ammettere con sé stesso che, per quanto desiderasse poter fare di più per aiutare Alessia, in momenti come quello era di Goran che lei aveva davvero bisogno.

//Cosa sarebbe accaduto se lui non avesse risposto al telefono?//

Allontanò quel pensiero negativo e si concesse un sospiro di sollievo.

Avrebbe però dovuto prestare più attenzione, da quel momento in poi, evitando ogni minimo rischio di combinare di nuovo un disastro del genere.

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