Mi sento male

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La stanza è ancora al buio, l'odore che emana è quello di tabacco e
nell'aria c'è ancora il profumo della vodka. Apro ancora di più gli occhi guardandomi intorno, cercando di mettere a fuoco qualche particolare. L'unica luce che filtra è quella della sveglia sul comodino. Abbasso lo sguardo sulle mani e mi viene un colpo; sono nere, nere, non sporche! Il trucco è sparso su tutto il cuscino e a questo punto credo anche sulla mia faccia.

Devo aver esagerato di nuovo ieri sera.

Proprio in quel momento mi rendo conto che non sono nella mia stanza e di cosa è successo qualche ora prima; alcuni flash si fanno strada nella mia mente: io che ballo, la gente che applaude, lui che mi guarda e mi trascina al bancone dove Zac ci versa da bere, noi che brindiamo, ridiamo e poi il nulla, buio totale.

Mi giro piano piano e lo osservo mentre dorme profondamente: i capelli color cioccolato ricadono fin sotto il collo, la pelle olivastra coperta appena dal lenzuolo e una fede all'anulare sinistro.   
Pochi ricordi della notte passata e solo una voglia improvvisa di vomitare.
Non so se per colpa dell'alcol che ho ancora nelle vene o se è per quel fottuttissimo anello!
È sposato cazzo!
Credo si chiami Ben, o forse Ken.
No, Ken no, non sarei andata con uno con il nome così.
Avrei riso come una pazza e sarei scappata via di corsa. 

Cerco il più silenziosamente possibile di sgaiattolare fuori dal letto. Le gambe sono pesanti e la mia testa lo è ancora di più.
L'orologio segna le 01:47; faccio un grosso respiro, mi ricompongo velocemente al buio ed esco dalla porta.

Scendo di corsa le scale del corridoio rischiando anche di cadere; l'ansia mi assale e mi maledico per essermi trovata in questa situazione. Apro la porta di ingresso e mi giro verso la casa da cui sono uscita. Una grossa villa bianca su due piani con molte finestre in stile inglese e l'edera rampicante che sale a decorare le pareti. Agitata come sono, ci metto un po' a capire in quale parte della città mi trovo e dove è parcheggiata la mia macchina. La zona mi risulta sconosciuta, è uno di quei posti chic che noi giovani studenti non siamo soliti frequentare.

Sono  stata con un uomo sposato e per di più sono andata a casa sua!
E la mia testa sta per scoppiare.

Per fortuna appena salgo sulla Mercedes in pochissimo tempo e con molta fortuna arrivo al Campus. Mi guardo intorno un po' spaesata. Quando mi sono trasferita in questa città giuro che le intenzioni erano buone. Avrei dovuto studiare, laurearmi e mantenere un profilo basso, ma adesso mi sento persa e confusa, forse anche imbarazzata.

Il vialetto, ben illuminato, è pieno di macchine parcheggiate e il prato
pieno di persone con in mano un bicchiere che ridono, urlano o si
baciano.
Merda... Sono nella merda.
Mi guarderanno tutti.

Parcheggio la macchina e prima di scendere dò uno sguardo veloce allo specchietto. I miei occhi blu sono cerchiati e arrossati, i miei capelli castani sono tutti appicciati e il mio viso è pallido come una soffice nuvola. A tutto questo disastro poi, si aggiungono i segni neri del trucco e le sbavature del rossetto. Non è la prima volta che mi trovo in una situazione del genere, passare del tempo a divertirmi è diventata la mia priorità negli ultimi mesi, ma mai ho affrontato il viale della vergogna davanti a tante persone come sono costretta a fare in questo momento.

Corro come non mai a testa bassa verso l'interno, cercando di non
guardare nessuno ed andando addosso a qualche ragazza, per aprirmi un varco in mezzo a questa marea di persone; salgo velocemente le scale, e sicura di non essere riuscita nel mio intento, prego perchè domani nessuno si ricordi di me.
Apro la porta di scatto, la chiudo ed appoggiandomi ad essa tiro un sospiro di sollievo.

<<Kate! Che diavolo fai?>>

<<Scus... Scusa Jennifer. Non sapevo che tu stessi eh... eh... Scusa vado via!>>

Il mio sole sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora