28. Nickel

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"Tu! Proprio tu che dovresti fidarti di me ciecamente!"
"Infatti mi fido!"
"Oh l'ho notato! Tenermi nascosta la decisione più importante della tua vita per chissà quanti mesi è proprio una bella dimostrazione di fiducia!"
Non ho mai pensato che io e Charles saremmo stati il genere di coppia che si urla contro, gettandosi addosso di tutto – dagli oggetti alle parole.
Eppure in questa sera tiepida a Singapore la nostra camera d'hotel è diventata un fronte di guerra.
"Dovevo fare ciò che mi ha chiesto tuo padre! Ormai aveva scoperto di noi, dovevamo mantenere la massima discrezione... è il mio capo ora, Marty!"
"Ed io sono la tua stracazzo di fidanzata! Dividiamo lo stesso tetto! Dovrebbe voler dire qualcosa, non credi?!"
I miei polmoni bruciano per lo sforzo a cui le mie grida li stanno sottoponendo.
Non mi accorgo nemmeno di essermi sfilata un braccialetto in un moto di rabbia ed averlo gettato sul letto.
Era un regalo di Charles.
"È proprio questo il motivo per cui lavoro e vita privata non possono coincidere!" sbraita lui, al limite della sopportazione, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
Ammutoliamo entrambi, provando a riflettere finalmente sulle parole che sono appena volate fra di noi.
Sono ferita e lui lo sa.
"Mi stai lasciando?"
"Martina..."
"Rispondimi! Mi stai lasciando?!"
Sono terribilmente stanca di ritrovarmi per l'ennesima volta in questa situazione. Perennemente in bilico, senza che nessuno sia mai sicuro di me.
"Voglio che tu sia felice!"
"Che ne sai di cosa mi rende felice?!"
"So che io non ci sto riuscendo! E fa troppo male... non vederti sorridere"
Credo di star piangendo, perché sento qualcosa di caldo scivolarmi lungo la guancia.
Sono troppo impegnata a fissare Charles per rendermene conto.
"Sono stanca" ammetto.
"Sono stanca di te che continui a non sapere se mi vuoi o no!"
"Io ti voglio Martina, ti amo!"
"Allora non lasciarmi andare ogni volta!" urlo, esasperata, con la voce definitivamente rotta dal pianto.
Charles azzera la distanza tra di noi con un paio di falcate e mi abbraccia forte, lasciandomi singhiozzare per qualche minuto.
"Non posso vederti così... tu non te lo meriti, tutto questo non è giusto" dal suo tono di voce si capisce che sta soffrendo insieme a me.
"Penso che..." balbetto, tirando su col naso.
"Penso che dovresti andare" mi anticipa Charles con un nodo alla gola.
Non tengo il conto degli istanti in cui resto fissa a guardarlo, come se volessi memorizzare tutti i particolari di quel viso di cui sono innamorata.
"Ti arrendi?" il mio è poco più di un sussurro.
"Non voglio, ma devo. Devo per te."
Scuoto la testa, sconfitta.
Tutta questa situazione per me é una sconfitta, una sconfitta per tutto ciò che siamo e che potevamo diventare.
Quando guardo dentro di me e dentro di lui, so che il nostro è amore vero, eppure ci impegniamo tanto per ostacolarlo.
Forse non è destino.
Forse un amore così è troppo bello per poter esser vissuto.
Mi stacco dall'abbraccio senza aggiungere altro e raccatto le mie cose in giro per la stanza. Per fortuna non avevo svuotato completamente il mio trolley.
Charles resta immobile al centro della camera, paralizzato, senza però staccarmi gli occhi di dosso. Segue ogni mio movimento con lo sguardo, rendendo tutto ancora più complicato.
Quando sono pronta, con la valigia accanto a me sulla soglia, gli lascio nello svuota-tasche il mio mazzo di chiavi. Le chiavi di casa nostra.
"Tienile" mi dice lui in automatico.
"Se non sei tu la casa io non voglio più abitarci" rispondo addolorata ma risoluta.
"Sai che dentro di me ti sto supplicando di ritirare tutto ciò che hai detto?" gli chiedo.
Sarebbe molto più efficace dirgli che dentro sto morendo. Sarebbe solo la pura verità.
Charles annuisce distrattamente.
"Non lo farò. Perché non ce la farei a sentire un altro tuo no"
Mi volto, gli do le spalle, apro la porta, esco, la richiudo.
È tutto meccanico.
Qualcosa in cuor mio mi dice che non sarà l'ultima volta che varcherò una porta che mi porterà da Charles ma impiego tutte le mie forze per distruggere quel briciolo di speranza che mi tiene ancora in piedi ma che mi fa soffrire troppo.

***

L'insonnia è diventata la mia migliore amica durante questo weekend a Singapore.
La gara si è conclusa da poco, è notte fonda ma l'hotel è ancora brulicante di vita. Questo gran premio mette eccitazione a tutti.
Rimanere chiusa nelle quattro mura - comunque spaziose - della mia camera vorrebbe dire fare pensieri che sto cercando in ogni modo di soffocare.
Evitare Charles sembrava impossibile in questi giorni, soprattutto dopo la sua firma in Ferrari, così l'unica mia chance è stata rinchiudermi a tutte le ore nel box di Sebastian a dare del mio meglio per rendere competitiva la vettura.
È un dato di fatto che la nostra macchina lasci molto a desiderare a Singapore, così ci accontentiamo di un mesto terzo posto.
Ora me ne sto qui al bar dell'albergo, girando e rigirando il cucchiaino nel mio cappuccino bollente, fissando un punto impreciso nel vuoto.
Vorrei piangere, giuro che vorrei, ma sembra che io abbia finito tutte le lacrime.
Ad un tratto Max compare nel mio campo visivo, riportandomi con i piedi per terra violentemente.
Mi scruta indagatore.
"Questa scena l'ho già vissuta, mi pare"
Si riferisce a Montecarlo, a quando mi ha riportato a casa in lacrime. Al momento non mi sento di asserire quindi faccio spallucce.
"Posso sedermi?" annuisco distratta.
Max ordina un decaffeinato e inizia a sorseggiarlo accanto a me, senza parlare.
"Hai mai provato una moto da neve?"
Inarco un sopracciglio, sorpresa.
Max non mi chiede come sto, cosa è accaduto, non fa riferimenti a Charles.
Max si comporta come se non fosse successo nulla, perché lui fa sempre ciò che vuole.
Per una volta penso che dev'essere bello non dar peso a niente.
"Mi sembra una cosa molto pericolosa" azzardo a dire, cauta.
"Non più di una macchina da Formula Uno"
"Ti piace andare veloce?"
Non so perché glielo chiedo ma stasera c'è qualcosa, dietro quei suoi occhi in tempesta, che m'incuriosisce.
"Mi piace sfidare i limiti"
"Perché? Ci sono anche delle regole"
"Le regole vanno infrante, ogni tanto. È giusto sentire qualche brivido lungo la spina dorsale, sentirsi vivo. Chi se ne frega delle conseguenze!"
Faccio un mezzo sorriso, scuotendo la testa.
Non so dire se io sia veramente divertita, forse è invidia, forse è scherno.
"Non esisti solo tu al mondo"
"Ogni tanto per te stesso devi esistere solamente tu, altrimenti ti annulli troppo"
Nel mentre che soppeso queste parole sia il mio cappuccino che il suo caffè finiscono e Max si sta alzando per andare via verso la sua camera.
Sa sempre come giocare bene le sue carte, dovrei trovarlo odioso per questo.
Eppure penso che almeno un po' abbia ragione. Forse mi sono annullata troppo in questi mesi.
"Max!" lo richiamo, prima di riuscire a mordermi la lingua.
Quando si gira ha già quel sorrisetto vittorioso sulla faccia.
"Tra due settimane, a Sochi"
"Cosa?" chiedo, confusa.
"Ti porto su una moto da neve"
Questo ragazzo non smetterà mai di sorprendermi.
Mi stupisco di me stessa quando gli domando: "Cosa dovrei fare in queste due settimane?"
"Compra tanti bei vestiti"
Ancora una volta sul mio viso compare un'espressione di puro smarrimento.
"Devo andare da qualche parte?"
"Ti porto dove vuoi. Dimenticati chi sei, Martina"
Forse è meglio, forse è meglio non tornare.

Chemistry | Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora