Parte 6 ~ Il piano di Afrodite

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Le mani di Afrodite, dalle unghie lunghe e curate, si allungarono sul viso di suo figlio. Le rouches delle maniche della vestaglia di raso che indossava ondeggiarono seguendo i suoi movimenti. «Non mi chiedi i particolari?», domandò, il volto appena arrossato.

Eros si morse la lingua. Avrebbe voluto dirle che era stanco delle ripicche divine e del fatto che il suo dono, quello di far sgorgare l'amore nel cuore di uomini e dei, venisse usato solo come uno strumento di vendetta, per causare danni. Sua madre non si era mai pentita di aver fatto sbocciare millenni prima l'amore tra Elena e Paride. Aveva scatenato una guerra. Lui, invece, se la sua natura divina non gli avesse regalato l'immortalità, sarebbe morto a causa del rimorso.

«Scusa mamma, ma la festa ieri è stata movimentata», le disse.

Afrodite corrugò la fronte. «Bacco va seguito con moderazione, lui e i suoi festini...» Si avvicinò a un tavolino d'argento, «ci penso io».

Eros la vide prendere una caraffa e versarne il latte in un bicchiere di cristallo azzurro. Poi Afrodite aprì un contenitore e dal profumo che si diffuse nella stanza, Eros capì che doveva trattarsi di miele. Afrodite mescolò il tutto con un cucchiaio dorato e poi gli porse il bicchiere.

«Prendi, questo ti farà stare meglio. Ho bisogno che tu mi ascolti bene».

Eros assaporò il liquido caldo, lasciò che lo riempisse di dolcezza e di nuove forze, poi seguì Afrodite che si era accomodata su un divano di velluto. Dalla loro posizione potevano vedere i giardini fioriti, persino un labirinto che lei si era fatta costruire per capriccio e che talvolta usava come gioco con i suoi amanti. Eros non si era mai voluto chiedere se ne avesse rinchiuso qualcuno lì. No, di sua madre tutto si poteva dire tranne che forzasse gli uomini e gli dei a stare con lei, erano loro che, al contrario, avrebbero fatto di tutto pur di compiacerla.

Sedette accanto a lei. «Chi sarebbe quest'umano che ha osato sfidarti? Qualcuno che vuole controllare le nostre città?»

Afrodite si irrigidì. «A quello ci pensano già gli dei. No, è qualcos'altro». Affondò le unghie in un cuscino, come se il solo ricordo dell'onta ricevuta ne rinnovasse l'umiliazione. Eros rimase in ascolto. Lei riprese: «C'è quest'umano, un giovane, la sua fama è arrivata fino alle mie orecchie e non posso sopportare che la situazione vada avanti un minuto di più. Qualcuno osa dire che è bello quanto me, anzi, più bello di me».

«Nessuno può mai eguagliare la tua bellezza, o la mia». Lui tentò di tranquillizzarla. Conosceva la suscettibilità di sua madre e degli dei in generale e avrebbe preferito non essere convocato in tutta fretta nel suo palazzo per questioni di questo tipo. Se il giovane si fosse dimostrato umile, non ci sarebbe stato bisogno di punirlo. Eros sperò che non avesse commesso lo stesso peccato di superbia della talentuosa Aracne.

Afrodite addolcì lo sguardo. «Lo so bene, ma non posso permettere che gli uomini ne dubitino e che la fama di questo giovane aumenti. Voglio che tu mi aiuti».

«Non capisco come», Eros disse dubbioso, «non posso bendare tutti gli uomini che posano lo sguardo su di lui».

«Puoi fare di meglio. Voglio che tu lo faccia innamorare di Kakia», disse lei gelida.

Eros le rivolse uno sguardo sorpreso. Kakia incarnava lo spirito del crimine e della violenza. Nato dall'unione di un dio e un'umana, era riuscito a conquistare un piccolo pezzo di terra, trasformato presto in un luogo di malfattori in cui regnava il malaffare e la perfidia. Nessuno voleva entrarci. Il suo castello, che non aveva le pareti di cristallo né ameni giardini, era una rocca, e coloro che vi venivano rinchiusi, costretti o perché avevano avuto la malaugurata idea di innamorarsi di lui, erano trasformati in schiavi di piacere. Chi mai poteva meritare una simile punizione?

«Fino a tanto vi ha offeso questo giovane?»

Afrodite non rispose, si rilassò, invece, contro i cuscini del divano e lisciò una piega che aveva incrinato il tessuto della sua vestaglia. «Kakia saprà bene come nascondere agli occhi del mondo la sua impudente bellezza».

«Come imprigionarlo, vuoi dire».

«E quindi? Vuoi opporti al mio volere?» Un' espressione dura le irrigidiva la bocca. Non gli lasciò il tempo di rispondere. Si alzò e si avvicinò alla finestra, il suo sguardo percorse la città di Atene e con la mente, Eros ne era sicuro, immaginava le altre città sotto il suo dominio. «Queste terre ci appartengono dalla notte dei tempi, sono nostre e non permetterò a nessuno, né uomo né dio, di prenderle. Darò a Kakia l'uomo più bello sulla faccia della terra, e in cambio lui mi assicurerà il suo appoggio contro Atena. Sei con me?»

Un silenzio pesante cadde tra loro. Eros percepì l'odore delle corone di mirto, pianta sacra a sua madre, con cui era adornato il salone. Quando lei si voltò e incrociò il suo sguardo, lui annuì. Era impossibile disubbidire allo sguardo di sua madre. E, in fondo, cosa gli importava della sorte di un umano?

La raggiunse e le appoggiò una mano sulla spalla.

«Tutto questo è anche tuo», la donna disse.

«Come si chiama? Qual è il nome del giovane che usurpa la tua bellezza?»

«Psiche», disse lei, adesso quasi indifferente, come se il pensiero della bellezza di quell'umano non l'avesse mai turbata e non le avesse imporporato le guance solo pochi minuti prima. «Lo troverai ad Olimpia, non preoccuparti, ti dirò tutto ciò di cui hai bisogno, e scriverò per te un biglietto che darai a Kakia. Adesso, però, mi piacerebbe godere della tua compagnia. Vieni a passeggiare un po' con me».

Eros si sarebbe potuto sottrarre, se avesse voluto, ma le movenze ammalianti di Afrodite rendevano difficile contraddirla. Era difficile per gli uomini, ancora di più per il figlio nato dal suo ventre. Chissà a quanti aveva rivolto lo stesso invito a passeggiare nei giardini di piacere che circondavano il suo castello. Sorrise, e riuscì persino a dimenticare la propria contrarietà a proposito delle guerre, degli dei e dei loro capricci.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now