Parte 29 ~ Schiavo

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Prima di cominciare, piccolo disclaimer: in questo capitolo sarà accennata una scena di violenza anche se breve, credo potete immaginare di cosa si tratti.

Tre notti, Psiche pensò, quando la luce dell'alba gli fece stringere gli occhi e lo costrinse ad aprirli. Tre notti in cui aveva evitato che le mani di Kakia lo toccassero come lui voleva. L'angoscia lo invase. Il bracciale di oro e ametista era l'unico legame che gli era rimasto con il dio dell'amore. Quello e... si sfiorò il ventre. Non sapeva se augurarsi se i suoi sospetti fossero fondati o meno.

Erano anche tre notti che invocava il perdono di Eros, che si sentiva morire al pensiero dei suoi occhi, delle premure di cui lo aveva circondato, dei momenti in cui passeggiavano nei suoi giardini, osservavano la luna e le stelle e ascoltavano musica. Le sue richieste di perdono non erano state ascoltate. Aveva perfino convinto uno dei servi a procurarsi un rametto di mirto, per accenderlo in onore di Afrodite, il cui figlio lui aveva offeso. Ma niente era cambiato. Niente cambierà mai, una voce gli suggerì.

Si alzò. Sul letto era pronta la tunica di rozzo cotone che i servi usavano come divisa. Kakia gli aveva concesso di non svolgere mansioni domestiche come gli altri. «Sei troppo bello per questo», gli aveva detto. Ma a lui sembrava solo un modo per rendere più umiliante la sua prigionia. Non poteva fare nulla, solo conversare con alcuni servi, a cui Kakia aveva vietato di toccarlo.

Notò che la sua vasca era già colma di acqua calda e profumata. Era insolito. Da quando era arrivato comunicava lui al servo di turno quando entrare a preparare per il bagno. Vi si immerse lo stesso, non pensandoci su.

Quando la porta si spalancò e sulla soglia apparve Kakia, capì che era stato un errore.

«Cosa succede?», disse, afferrando un telo per coprirsi. Uscì dall'acqua, mentre gli occhi dell'altro lo esploravano avidi.

«Tra noi non ci sono più segreti, che senso ha coprirsi, mio caro?» Kakia si avvicinò, in mano aveva un calice di vino. «Bevi un po' di questo».

«È appena spuntata l'alba», lui protestò.

Una risata di scherno si diffuse nella stanza. «Per questo sono qui, per vederti in tutta la tua bellezza».

Psiche si sentì morire. Che avesse capito l'inganno?

«Bevi», l'altro lo incalzò e a Psiche parve una minaccia.

Rapido riuscì a bagnare la pietra nel vino. Quando Kakia gli tolse il calice dalle mani, Psiche era ancora lucido. «Cosa fai?», domandò.

«Non è chiaro?» Kakia gli strappò il telo di dosso e lo spinse sul letto. «Ho aspettato tanto questo momento, da quando il dio dell'amore ti ha portato qui la prima volta».

«Io...», Psiche mormorò, ma le mani dell'altro si insinuavano lungo il suo corpo. Allora allungò una mano verso il comodino e afferrò il calice d'oro. Voleva colpirlo con quello, ucciderlo anche, ma la mano ferma di Kakia gli afferrò il polso. I suoi occhi neri come l'onice lo fissarono increduli, le pupille ristrette dalla rabbia.

«Com'è possibile? Eppure hai bevuto, hai bevuto davanti a me».

Psiche rimase in silenzio, non ebbe la forza di divincolarsi. Poi gli occhi di Kakia si posarono sul suo bracciale e Psiche capì che per lui era finita. A espiare il suo castigo cominciava adesso.

«È questo», il dio sibilò. Gli strappò il bracciale dal polso, lacerandogli la pelle.

Psiche udì il rumore del gioiello che si infrangeva contro il pavimento di pietra.

«Fino a quando pensavi di farlo?» Kakia afferrò il calice e lo costrinse a bere le ultime gocce di vino. Poi si alzò, ma solo per schioccare le dita.

Psiche provò a muoversi, ma lo sguardo dell'altro lo teneva incollato lì. Udì la porta aprirsi e vide entrare due servi. Kakia, intanto, si era seduto su una sedia di legno, davanti al letto, come per godersi lo spettacolo.

«Lasciami andare», Psiche si ribellò, ma quello gli rivolse uno sguardo sbieco.

«Di questo devi rimproverare te stesso e il tuo dio che ha davvero creduto di poterti trattare come un suo simile. Adesso sei mio. Il calice di vino ti avrebbe fatto bene, ma tu hai voluto sfidarmi, e adesso chissà se quelle poche gocce ti faranno provare piacere».

Kakia schioccò di nuovo le dita, e i servi si sdraiarono accanto al giovane, cominciando a insidiarlo con le loro mani. Le poche gocce di vino che Kakia lo aveva forzato a bere lo rendevano debole, lasciando il suo corpo sensibile agli stimoli.

«Immagino che Eros ti avrà insegnato tante cose», Kakia disse, le dita a sfiorarsi le labbra.

«No», lui gemette. Eros lo aveva amato, o almeno così lui aveva creduto in passato. Quello che Kakia gli stava facendo era frutto di un desiderio perverso e il piacere non poteva che mescolarsi al disgusto.

«Ancora», Kakia ordinò.

Le mani dei servi ripresero a insinuarsi sfacciate sul suo corpo, fino a giungere alle parti proibite. Un gemito più forte di Psiche risuonò nella stanza, ma ai servi, schiavi anch'essi, non interessò.

«Basta!», Kakia tuonò, quando si accorse che i due lo stavano portando al piacere. Con un altro schiocco di dita li fece uscire.

Psiche tremò, ansante, disgustato e al limite dell'orgasmo. Vide Kakia alzarsi. Il dio si avvicinò e,  senza attendere oltre, sfogò il suo desiderio.

Psiche era diventato uno schiavo di piacere.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now