Parte 11 ~ In viaggio

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«Qual è il problema?», Eros domandò, mentre si dava da fare per raccogliere la legna. I ramoscelli erano facili da trovare, ma i grandi rami scarseggiavano. Poco male, avrebbe usato parte del suo potere per accendere il fuoco. Psiche, intanto, continuava a tenere lo sguardo fisso su di lui. I suoi occhi che la prima volta gli erano parsi laghi tranquilli adesso spumeggiavano come il mare in tempesta, degni della furia del volubile Poseidone.

Eros non aveva tempo per le sue rimostranze. Doveva accendere il fuoco, trascorrere i due giorni di viaggio che li separavano da Atene e poi lasciarlo al suo destino. Si chinò per accatastare la legna raccolta fino a quel momento, e poi con un gesto della mano invocò l'aiuto di Efesto e il fuoco si accese.

«Siediti, cosa fai lì impalato? Non ho fatto tutto questo perché tu morissi di freddo», disse.

Psiche gli si avvicinò. Alla luce delle fiamme la sua pelle parve più bianca, pallida e lattea come la luna, e più liscia. Le labbra si rivelavano piene, leggermente a cuore, due curve perfette che accendevano di desiderio il corpo degli uomini, delle donne e degli dei. Il loro colore ricordava quello di una rosa di maggio, e come morbidi petali, Eros ne era sicuro, sarebbero state sulla pelle del suo fortunato amante. Trattenne l'impulso di attirarlo a sé. «Ebbene?», lo incalzò, notando il fremito che lo agitava.

«Vuoi sapere perché mio padre era pronto a darmi al primo offerente? Non è perché gli umani, come dici tu, non hanno buon gusto. È perché la nostra fattoria è piena di debiti, le mucche sono sempre più magre, i raccolti di grano sempre più esigui. Le piante sempre più povere di fiori e di frutti. E sai perché? Perché gli dei non si curano di noi, si impegnano in guerre infinite, eterne come la loro vita, guerre che ci affamano. E come se questo non bastasse, non tollerano che un umano superi le loro doti», fece un respiro profondo per riprendere fiato, ma presto continuò con voce rotta: «Io, ad esempio, vengo punito solo per la mia bellezza, di cui non ho colpa e di cui mai mi sono vantato. Vengo trascinato via dalla mia famiglia, sacrificato perché Af...»

Eros gli tappò la bocca prima che potesse pronunciare il nome della dea. Da quando lo aveva stretto sul cavallo aveva il desiderio di proteggerlo e il peggio era che tale desiderio non veniva meno neanche quando Psiche alzava la testa. Afrodite non gradiva che si parlasse di lei se non per tessere le sue lodi, e riusciva sempre a sapere dove e quando era stato pronunciato il suo nome.

Psiche gli afferrò il polso per liberarsi la bocca e si allontanò. Si morse le labbra. «Non fingere, quindi, che ti importi che io muoia di freddo».

Il legno crepitava, piccoli frammenti incandescenti volavano via, disperdendosi nel vento senza fare danni. Le foglie frusciavano sotto i colpi del vento del nord, e poco lontano gorgogliava l'acqua di un ruscello. Psiche pensò che le sue parole di rabbia avevano firmato la sua condanna a morte. Non aveva dubbi che davanti a lui, la creatura dalle sembianze umane, dal volto mascherato e dagli occhi di smeraldo, non fosse umana, ma un emissario della dea. Non gli importava. Per anni aveva tenuto tutto dentro di sé, nel suo petto, che gli sembrava potesse scoppiare da un momento all'altro. Se doveva morire per una colpa che non aveva commesso, allora preferiva farlo dicendo la verità. Per un momento pensò al volto dolce di sua madre, agli animali che lasciava alla fattoria, ai tasti del pianoforte che in ogni caso non avrebbe più potuto accarezzare.

«Siediti. Vicino al fuoco», Eros ordinò in un tono che non ammetteva repliche.

Psiche ubbidì, non perché lo volesse, ma perché le ginocchia deboli e i muscoli tremanti avevano vinto la sua volontà.

Eros giocherellò con un ramoscello, lo osservò bruciarsi. «La vita degli uomini se ne va in fretta, come questo pezzo di legno», disse. «Non immagini cosa sia portare su di sé il peso di una vita eterna. Credi che io abbia scelto di venire da te stanotte? Di rapirti? La verità è che nessuno sceglie mai il suo destino». Non l'aveva mai detto a nessuno. Tutti gli dei fingevano che vivere per sempre fosse esaltante, o, forse, chissà, loro lo pensavano davvero. Ma Eros sentiva il cuore arido e pesante, proprio lui il dio dell'amore non riusciva a provare il sentimento sublime che suscitava negli altri e anzi spesso usava le sue frecce per le ragioni sbagliate. Come avrebbe fatto una volta arrivato ad Atene. Gli sarebbe bastato un solo sguardo per far cadere Psiche ai piedi di Kakia. Il pensiero gli fece torcere le viscere. Il suo cuore batteva quindi, e proprio per il giovane che sua madre aveva condannato senza appello?

«Qualcosa possiamo pur scegliere», Psiche lo riscosse. «Non credo a quello che dici. Io ho scelto di non sposare Prassitele, di non rinchiudermi e nascondermi agli occhi del mondo».

«E a cosa ti è servito?», replicò Eros duro.

Psiche sostenne il suo sguardo. «A essere padrone di me stesso, anche solo per un momento. Dovresti provare, io l'ho fatto e sono un umano, non puoi farlo tu che sei un dio?»

«Basta», lui lo interruppe. Se Psiche credeva che potessero bastare due parole a farsi liberare si sbagliava. «Non sai di cosa parli». Con un gesto della mano fece apparire dell'acqua, del pane e delle verdure. Vide Psiche spalancare gli occhi e ne provò soddisfazione. Quale espressione di meraviglia si sarebbe dipinta sul suo viso se avesse visto le distese di fiori e il suo palazzo di cristallo? «Mangia, per favore».

Con un gesto fulmineo Psiche allungò una mano sul suo viso fino a toccare la maschera di velluto nero che lo copriva. Il contatto con le sue dita tolse a Eros il respiro. Cosa gli stava succedendo? I suoi occhi smeraldo incontrarono quelli azzurri di Psiche ed Eros non poté fare a meno di immaginarli tinti di desiderio, accendersi di lussuria e di amore solo per lui. Rimase in silenzio, entrambi per un momento non si mossero, mentre i loro occhi rimanevano incatenati come in una sorta di incantesimo, ma poi Eros avvertì le dita del giovane muoversi, sollevare l'orlo della maschera che lasciava scoperti solo gli occhi, le labbra e parte delle guance.

I tratti del suo viso si indurirono quando capì cosa Psiche voleva fare. Afrodite aveva ragione: degli umani non ci si poteva fidare. Gli afferrò il polso. «Sta' fermo. Non osare mai più tentare di fare questo», disse. Il suo volto doveva rimanere celato agli uomini, a quell'uomo in particolare.

«Non mi è concesso neanche vedere il volto di chi mi ha rapito?»

«No, non farlo mai più». Eros vide l'altro abbassare lo sguardo e pensò di averlo ammansito, ma ben presto si ritrovò addosso i suoi occhi limpidi e azzurri.

«Voi divinità potete stravolgere la vita degli uomini senza pagarne mai il fio», Psiche gli respirò sulle labbra. La passione con cui aveva proferito quelle parole e la sua fierezza toccarono il cuore di Eros. Batteva veloce, più di Ermes quando i suoi piedi alati dovevano recapitare una missiva importante.

«E chi ti dice che io sia un dio?»

Psiche si liberò il polso dalla sua presa e la perdita di contatto con la sua pelle parve a Eros insopportabile.

La risata cristallina del giovane vibrò nell'aria. Psiche rivolse uno sguardo ironico al fuoco e ai viveri che Eros aveva fatto comparire quasi dal nulla.

«Ci sono tante creature magiche...», Eros si schermí.

Psiche alzò di nuovo lo sguardo. «Ma solo una divinità potrebbe essere tanto arrogante», Psiche replicò, il volto latteo arrossato dal sangue che gli colorava le gote.

Eros allungò una mano sul suo viso per toccarlo, il calore che sentì sotto le dita lo eccitò come non accadeva da tempo. Fece scorrere le mani sul suo collo fino a sentire il sangue pulsare attraverso le vene. Correva veloce, e lui si domandò se Psiche fosse soltanto spaventato. La sua fierezza sarebbe stata presto piegata dalle sue frecce e dalle nefandezze di Kakia, nessuno nella sua rocca di perdizione poteva conservare la sua purezza e il suo orgoglio. Solo tempo fa il pensiero che un umano stesse al suo posto gli avrebbe fatto provare soddisfazione, adesso, invece, ne era ripugnato.

«Vuoi uccidermi adesso?», Psiche domandò in un sussurro, come se la morte fosse per lui una liberazione.

A Eros si strinse il cuore. Sarebbe meglio per entrambi, avrebbe voluto dirgli, ma tacque. Lasciò cadere la mano. Scosse la testa. «Ho detto che non ti ucciderò, sta' tranquillo».

Avrebbe voluto sottrarsi agli occhi del mondo, nascondersi nella grotta che li avrebbe ospitati il tempo di una notte per sempre. Poi rivide gli occhi di miele di Afrodite, il desiderio di soddisfazione che li animavano. Disubbidire a sua madre era impossibile. Non l'aveva mai fatto. Psiche è solo un giovane uomo che con la sua bellezza osa sfidare gli dei, si ripeté per l'ennesima volta. L'indomani avrebbero ripreso il viaggio, avrebbe goduto della sua compagnia per le prossime ore e poi avrebbe compiuto la sua missione conducendolo da Kakia.

Con un gesto della mano spense il fuoco. «Adesso dormi», disse.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now