Parte 25 ~ Il tradimento di Psiche

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Le lenzuola umide del loro piacere accolsero i corpi ansanti, a Psiche parve che li separasse una distanza incolmabile. Eros lo accarezzò, scosse il capo quando si accorse che il giovane era sul punto di dire qualcosa. «Non parlare», l'ammonì ancora, «le tue parole mi fanno male».

Psiche provò una stretta al cuore. «Non ho potuto lasciarti», disse disobbedendogli, come se quello potesse lenire la ferita del dio causata dalle sue accuse.

«Dormi, la luna non rimarrà nella volta celeste per molto. Apollo ha fretta di seguire Aurora e privare gli amanti del buio», Eros si limitò a dire e chiuse gli occhi. Psiche non riuscì a fare altrettanto, il corpo sfatto, l'animo insoddisfatto. Sfiorò il viso del dio dormiente, tracciò il profilo dei suoi zigomi, delle mascelle, tentò di capire se potessero davvero essere quelle di Kakia. La prepotenza con cui lo aveva posseduto quella notte potevano appartenere al dio dell'Ira? Si sfiorò il petto, dentro il quale batteva un povero cuore mortale, il ventre, che Eros si rifiutava di fecondare. Forse perché non l'amava? Forse perché in realtà non era chi diceva di essere?

Psiche controllò il respiro del dio, si era fatto pesante e regalare. Il dubbio gli stringeva il cuore e gli toglieva il respiro. Poteva accettare che Eros lo prendesse ogni notte, che gli imponesse regole che non capiva, ma se fosse stato un altro a farlo ne sarebbe morto. Afrodite l'aveva risparmiato, forse per condannarlo a un più crudele destino. Non riuscì a stare fermo, le lenzuola gli sembravano i lacci della sua prigionia. La sua mente corse al giorno in cui era entrato nella stanza in cui si trovava adesso con una lampada a olio. Eros aveva lasciato il castello per recarsi a uno dei soliti consessi divini di cui mai gli parlava, e Psiche era stato preso dalla curiosità di vedere ogni dettaglio della stanza dove spesso consumavano il loro amore. Aveva osservato alla luce della lampada gli strati di seta cremisi che fungevano da tenda, le lenzuola di raso del letto color rubino, i veli del baldacchino, le pareti tappezzate di azzurro e attraversate da ricami d'oro. Poi il suo occhio era caduto su un mobiletto di ebano al cui interno aveva trovato un pugnale, dal manico di avorio e dalla lama splendente.

Psiche si alzò dal letto, corse con cautela al mobiletto. Un fruscio lo fece voltare verso Eros, ma il dio era immerso nel sonno. Aprì un cassettino e afferrò il pugnale. Doveva sapere la verità. In fondo, se Eros lo amava tanto, come diceva, avrebbe perdonato la sua mancanza di fiducia, avrebbe capito. Nel silenzio della stanza si avvicinò alla tenda, pungolò la seta con la lama lucente dell'arma, e poi con un gesto deciso la squarciò.

Il dio rimase immobile, ancora addormentato. Un fascio di luce lunare inondò la stanza e lo colpì in viso. Psiche rimase estasiato dal volto che la luce pallida accarezzava, la pelle liscia, gli occhi dalle lunghe ciglia dorate, le labbra a cuore, che tanto bene conosceva, si incastonavano in un volto virile eppure delicato, che neanche il più talentuoso artista sulla terra avrebbe potuto cesellare. Era un'opera divina, davvero generato dalla dea della bellezza e dal dio della guerra. Gli zigomi alti, l'ovale perfetto immersi nel biancore lunare gli tolsero il fiato. Non era il volto del mostro che lo guardava lascivo al banchetto. Un senso di sollievo lo invase, un'intima e dolce commozione colmò il suo cuore, mentre i dubbi che lo avevano assalito si volatilizzarono nel pulviscolo che la luna illuminava. Tuttavia, voleva di più. Attratto dalla bellezza di Eros, voleva coglierne ogni particolare. Si avvicinò a lui e cauto sedette sulla sponda del letto.

Portò vicino al volto del dio la lampada a olio e ne osservò l'immagine riflessa sulla lama del pugnale, ma dopo il primo attimo di rapimento il sangue gli si gelò nelle vene. Gli occhi smeraldo di Eros si erano aperti, spalancati in un moto d'orrore. Sulla sua spalla nuda era caduta una goccia di olio bollente, ma non era questo a fargli male.

Amore mio, voleva dire Psiche, ma l'orrore, la delusione e la rabbia negli occhi di Eros appesantirono la sua lingua, rendendola incapace di muoversi. Mise via il pugnale e la lampada. Allungò una mano verso di lui.

«Mi hai tradito», Eros disse, e le tre parole furono per Psiche più pesanti di qualsiasi condanna. Dalle scapole di Eros spuntarono due ali maestose, del colore del latte. Ora Psiche riconosceva in lui il dio raffigurato dagli uomini.

Allungò una mano verso il dio, mentre nel suo animo si agitava un presagio ineffabile e terribile. Non riuscì a toccarlo. Eros si allontanò in volo verso le tende di seta squarciate e poi attraverso il vetro della finestra che si era spalancata al suo passaggio. L'ultima cosa che Psiche vide di lui furono gli occhi smeraldo lucenti e una lacrima che solcava il suo volto.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now