Parte 19 ~ Il richiamo di casa

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Il getto d'acqua cadeva da una bocca di leone in marmo e si infrangeva nel liquido cristallino della fontana. Zampilli e bollicine accompagnavano il gorgoglio di quel movimento che si ripeteva sempre uguale. Psiche affondò le dita di una mano nell'acqua fresca e limpida. Poteva sedere per ore in quel punto del giardino e lasciare la sua mente vagare, cercare nuove melodie, sognare nuovi modi per rendere felice Eros.

L'altra mano stringeva una lettera che un servo del castello gli aveva appena consegnato. Una rapida lettura gli era bastata per imprimersi le parole di sua madre nella mente. Figlio mio, mi rallegro della tua felicità, e spero che tu non menta per sollevarmi dalle mie preoccupazioni. Vorrei guardarti negli occhi mentre mi racconti della tua nuova vita, solo così saprò se mi dici la verità. I problemi che soffocano la nostra fattoria mi danno pensiero, ma tu avrai sempre un posto nel mio cuore.

Il desiderio di sua madre di vederlo gli scaldava il cuore, ma i problemi a cui aveva accennato lo riempivano d'angoscia. Sua madre non meritava di essere lasciata da sola, lei era l'unica ad avergli mostrato un volto umano, un cuore tenero.

I passi leggeri di Eros lo distolsero dalle sue riflessioni. Si alzò, troppo velocemente. La testa divenne ovattata, preda di un capogiro inaspettato. Doveva essere l'effluvio troppo intenso delle rose ad averlo provocato, si disse.

«Ti aspettavo da tanto», Psiche lo accolse. «Dove sei stato?»

«A compiere il mio dovere, evitare che gli dei e gli uomini si scannino tra loro».

Per la prima volta da quando si era trasferito a palazzo, Psiche pensò che non sapeva nulla di quanto facesse Eros nelle sue assenze. Qual era il suo dovere divino? Qualcosa a sua madre doveva pur concedere e quindi assecondare talvolta i suoi capricci, danneggiare gli uomini, affamare famiglie che avevano l'unica colpa di vivere in una zona oggetto di guerra tra gli dei. Ogni giorno scopriva qualcosa che lo univa al dio dell'amore, ma si rendeva anche conto dei mondi differenti da cui provenivano.

«Cos'hai? Sei pallido», Eros commentò, voltando il suo volto verso la luce del sole. «Di mia madre non devi preoccuparti più, te lo prometto».

Psiche sentì ancora la testa ovattata, ma dissimulò il suo malessere. Porse, invece, al dio il biglietto inviatogli da sua madre.

Eros lo scorse veloce. «Cosa vuoi fare?»

«Hai letto, dice che ha dei problemi e io voglio farle visita».

«Non è una buona idea».

«Perché? Sono tuo prigioniero?»

Eros indurì i tratti del volto. «Ho promesso a mia madre che nessuno dovrà vedere il tuo viso, che la tua bellezza rimarrà nascosta agli occhi del mondo».

«Tu hai fatto questo? Non avresti dovuto accettare una tale condizione!», Psiche si rese conto di aver alzato la voce. Non era mai successo con Eros, ma un sospetto terribile si stava facendo strada nella sua mente: se Afrodite voleva tenerlo nascosto gli occhi del mondo, Eros lo avrebbe costretto a rimanere nel suo castello anche senza il suo consenso? E se avesse finto di amarlo solo per compiacere la madre?

«Ho dovuto accettare questa condizione per il tuo bene. Per te accetterei ogni cosa», Eros rispose, le labbra serrate in una smorfia, di indignazione o di rabbia, Psiche non lo avrebbe saputo dire.

«Voglio andare a visitare i miei», Psiche disse con la stessa fierezza con la quale gli aveva parlato la prima volta nella grotta.

Eros lo attirò a sé. «Non sei mio prigioniero, ma non capisco perché tu voglia rivederli».

«Sono la mia famiglia. Voglio vedere soprattutto mia madre».

«Ha fatto qualcosa per te, quando tuo padre voleva venderti a quell'uomo rozzo e indegno?»

Psiche gli afferrò i polsi e gli spinse le mani lontano dal suo viso. «Mia madre ha sempre cercato di aiutarmi, tu non sai com'è stato difficile per lei».

Un'ombra offuscò gli occhi di Eros, era chiaro che non si aspettava di litigare né di dover accettare il rischio che Psiche se ne andasse in giro. «Andrai con il viso coperto, e per maggior sicurezza ti accompagnerà un mio servo». Tirò sotto la sua tunica un astuccio di velluto e glielo porse. «Non voglio litigare con te, ho un dono, in segno del mio amore».

Psiche lo aprì con curiosità. Ai suoi occhi si rivelò un prezioso bracciale d'oro su cui erano incastonate due ametiste.

Eros glielo infilò al polso. «Mi avevi detto che i colori degli iris erano i tuoi preferiti e ho cercato una pietra che ne racchiudesse le sfumature».

Psiche, abbagliato dai riflessi violacei delle pietre che si mescolavano all'oro, dimenticò per un attimo i dubbi e le incrinature che si erano affacciati nel loro rapporto. «È meraviglioso», disse, mentre l'altro glielo sistemava al polso.

«Queste pietre hanno anche un potere magico: rendono vano l'influsso che le bevande incantate dagli dei hanno sugli uomini». Eros lo strinse. Avrebbe fatto di tutto pur di proteggerlo e gli stringeva il cuore che Psiche non lo capisse.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now