Parte 13 ~ La rocca della perdizione

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Il suo nome non avrebbe dovuto suscitare orrore, Eros pensò, osservando il volto di Psiche farsi esangue. Avrebbe voluto prenderlo tra le braccia, rassicurarlo, ma a cosa valeva essere tanto ipocriti? La porta di legno intagliata, dietro la quale si celava Kakia con le sue perversioni, era ormai a due passi. Bastava aprirla, consegnare Psiche e poi tornare alla vita di sempre, ai banchetti, agli incontri occasionali, alla vista dei suoi giardini nel suo castello di cristallo.

Solo un altro passo. Sentì uno scalpiccio provenire dalla stanza, farsi più vicino. Non poteva. Non poteva svilire il suo dono, far innamorare Psiche di un essere come Kakia a cui non era destinato. Soprattutto, non poteva dimenticare il sapore delle sue labbra, il corpo tremante che si stringeva al suo sul cavallo. Gli occhi di Psiche erano accesi di sdegno, ma un'ombra di rassegnazione li oscurava.

Eros si avvicinò al suo orecchio. «Corri, monta in sella al mio cavallo. Lui saprà dove portarti».

«Come?», l'altro domandò confuso, ma già i segni di una rinnovata speranza si coglievano sulla fronte distesa.

«Per te disubbidisco a mia madre. Avevi ragione, non è giusto tutto questo, non so cosa potrò fare per te, ma voglio provarci».

Psiche rimase un attimo imbambolato, ma quando il cigolio della maniglia della porta ruppe il silenzio, si voltò e prese a corre il più lontano possibile.

Kakia comparve sulla soglia, in mano un bicchiere di vino. «Lo lasci scappare? Pensavo avessimo un accordo, io, tu e tua madre».

Eros posò una mano sul suo petto e con quella lo spinse nella stanza. Non sopportava il modo in cui il suo sguardo cercava famelico di catturare l'immagine di Psiche che correva via. Richiuse la porta alle sue spalle. Sapeva di essere nei guai, ma anche che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di salvare Psiche.

Kakia lo guardò ironico. Trangugiò il vino e poi posò il bicchiere su un tavolo dal piano di marmo, su cui rimanevano i resti di un banchetto.

«Osi dunque sfidare tua madre e gli dei?», Kakia disse, poi gli andò vicino, gli afferrò il mento ed Eros ne provò disgusto. Sapeva di piacergli, di essere un amante ambito, ma a lui non si sarebbe mai concesso. «Tua madre non ti permetterà mai questa follia... e neanche io».

Eros si allontanò. «Con mia madre sarò io a vedermela», allontanò la sua mano, «tu invece devi concedermi di tenere Psiche con me. Sono il dio dell'amore, non puoi negarmelo».

Kakia indurì i tratti del volto. Non poteva contraddire Eros su questo. Sedette su un divanetto sotto una finestra a forma di bifora, accavallò una gamba facendo frusciare la sua vestaglia. «Cosa pensi di ottenere da lui? Non ti amerà mai sinceramente. Dimentichi, forse, che gli uomini e gli dei possono congiungersi come amanti, mai come sposi. Solo sesso, ed è quello che io faccio qui nella mia rocca».

Eros strinse i pugni. «In questa rocca hai perso ogni senso della decenza, persino Bacco riesce a essere più pudico di te».

Un ghigno increspò le labbra dell'altro. «Prima di esprimere certi giudizi dovresti provare in prima persona», disse sibillino.

Eros posò la mano sulla maniglia della porta. Era stanco di stare lì, dove si respirava solo lussuria e sofferenza. A uno a uno avrebbe fatto cadere i veli che coprivano gli occhi degli amanti di Kakia, li avrebbe liberati dal suo giogo. «Non mancarmi di rispetto, io sono un dio, il mio posto è nell'Olimpo. Tu hai sangue umano nelle vene, per questo, forse, sei dominato dalle passioni».

Kakia si alzò, il viso arrossato di chi era stato punto sul vivo. «Eppure, tra noi due, sei tu quello che non può fare a meno di tenersi Psiche. Fa' pure, Psiche non ti amerà mai, come pretendi che un semplice umano ami senza vedere il volto della persona con cui condivide il talamo? No, non ti agitare. Ho un patto per te: se Psiche si dimostrerà come tutti gli altri umani, curioso e superficiale, chiederò ad Afrodite che mi venga restituito».

Eros soppesò le sue parole. Qualcosa doveva pur concedergli. «Accetto, ma tu aiuterai mia madre a mantenere saldo il governo sulle sue terre, e non scatenerai alcuna devastazione».

Kakia annuì, soddisfatto. Eros lo era di meno. Odiava scendere a patti con un simile essere, e odiava che le sue parole fossero diventati tarli nella sua mente. Poteva davvero fidarsi di Psiche? Non sapeva neanche se il giovane avrebbe accettato di vivere con lui nascosto agli occhi del mondo. Era il dio dell'amore e aveva messo il suo cuore in mano a un ragazzino.

Chiuse gli occhi e quando li riaprì si trovò davanti al portale del suo castello. Udì il nitrito del suo cavallo prima ancora di vederlo. Psiche era ancora in sella e si guardava intorno confuso e meravigliato.

«È forse l'Olimpo?», domandò, alludendo alle pareti di cristallo attraverso le quali si scorgevano i giardini e su cui il sole creava giochi e ricami di luce.

La sua espressione meravigliata gli scaldò il cuore. Psiche meritava cose belle e lui gliel'avrebbe date. «No, è solo la mia umile dimora». Gli porse la mano.

Psiche la prese e scese dal cavallo a cui, magicamente, si erano aperte le porte della reggia. «Cos'è successo?»

«Sei salvo. Non potevo darti a lui, non me lo sarei mai perdonato». Lo vide esitare, l'imponete castello lo metteva forse in soggezione. «Non rimaniamo qui fuori», lo incoraggiò. Poi gli venne in mente che agli occhi di Psiche lui non era altro che il dio che l'aveva rapito e che, pertanto, meritava il suo odio. Ma Psiche gli si avvicinò, il suo volto alla luce del sole era di una bellezza impareggiabile, ma più di tutto erano i suoi occhi ad attrarlo: specchio dell'anima, ne riflettevano una limpida, leale, generosa. No, quello che aveva detto Kakia di lui, paragonandolo al resto degli uomini, non poteva essere vero.

Psiche gli sfiorò il volto, poi la maschera di velluto. Con un gesto fulmineo tentò di strapparla via.

«Non farlo», Eros lo implorò. Non fermò la mano di Psiche, sperò solo che le sue parole fossero necessarie. Dovevano imparare a fidarsi l'uno dell'altro e fissare dei limiti oltre i quali non era concesso spingersi.

Psiche ritrasse la mano, colpito dal tono e dallo sguardo implorante che Eros gli aveva rivolto. Perché mai un dio doveva implorarlo?

«Sono salvo grazie a te, vorrei solo vedere il tuo viso».

«Non è possibile. Sono un dio e tu un umano, credimi è meglio così».

Un sospetto terribile si insinuò nella sua mente. «Mi vuoi come schiavo?» Vide Eros scuotere la testa, quasi indignato. Alla luce del sole poteva ammirare i suoi occhi, la pelle che la maschera lasciava scoperta, il fisico ormai visibile, da quando, appena arrivato, Eros si era liberato del suo mantello.

Il cielo era di nuovo azzurro e privo di nubi, nell'aria si percepivano effluvi di fiori diversi. Quanto era differente l'atmosfera che si respirava vicino al castello di Eros, rispetto a quella angosciante che permeava la rocca di Kakia. «Perché mi hai salvato?»

«Non sopportavo l'idea di non vederti più», Eros gli disse, mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso dolce che nessuno gli aveva mai rivolto. Psiche non era abituato alle gentilezze, ma solo allo scherno e alla paura. Gli unici sorrisi degni di questo nome glieli rivolgeva sua madre. Eros posò una mano dietro la sua schiena, pareva, per quel poco che poteva vedere, un Cupido dipinto da un abile pittore.

Psiche avrebbe voluto fidarsi di lui, ma non poteva. Per quanto ne sapeva dietro la maschera di velluto poteva celarsi chiunque, persino un dio crudele che aveva preso le sembianze di un giovane bellissimo e che aspettava il momento giusto per esigere la vendetta di Afrodite.

«Seguimi, ti mostro la mia dimora e poi ti spiegherò quello che è accaduto», il dio disse come se avesse letto i dubbi nella sua mente.

Psiche annuì. Non che avesse un'altra scelta a sua disposizione. Rimanere fuori dal castello che gli stava davanti voleva dire ritrovarsi solo e sperduto in una città straniera e a lui ostile. Inoltre, c'era sempre la possibilità che Kakia venisse a cercarlo. Aspettò trattenendo il fiato.

Amore & Psiche (gay story)Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum