Parte 26 ~ Il dio dell'Ira

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Disperato Psiche affondò le mani tra le lenzuola, ma le sue dita incontrarono la terra dura, le pietre taglienti. D'improvviso a circondarlo non era il palazzo di cristallo, gli arredi pregiati, i profumi floreali e i calici di ambrosia, colmi di latte e miele o vino, ma la notte umida di maggio, il buio della sera. Persino il volto di Selene indignato si era nascosto dietro una nuvola.

Psiche sollevò gli occhi, il portone del castello era lontano e attorno a lui c'era solo un'oscurità impenetrabile, puntellata dall'ululato degli uccelli notturni. Aveva infranto il giuramento e il cuore di Eros per via della debolezza, dell'insicurezza e della curiosità umana che lo corrompevano e così aveva sottratto a se stesso ogni speranza di felicità.

Uno scalpiccio di zoccoli lo riscosse. Osò ancora sperare. Che fosse il bianco destriero di Eros a venirlo a prendere? A metterlo in salvo dall'ira degli dei come già aveva fatto un tempo? Ma quando Psiche sollevò gli occhi vide incombere su di sé una figura che niente aveva del dio Eros.

In sella su un cavallo nero, troneggiava il volto squadrato, circondato da riccioli neri, illuminato da occhi di onice e reso sinistro da un ghigno di scherno e soddisfazione. Kakia era giunto lì per prenderselo e Psiche non poteva scappare. Si alzò di scatto, ma la mano di Kakia lo afferrò per un braccio, stringendolo in una presa che gli fece venir voglia di piangere.

«Dove credi di andare? Adesso mi appartieni. Credevi davvero che la tua felicità con il dio dell'amore non avesse prezzo e condizioni?» Lo trascinò sul cavallo con una forza sovrumana.

Psiche si trovò stretto a lui all'inizio di un viaggio che sperò non finisse mai, e invece fu breve. Le tenebre che a stento il sole poteva penetrare, erano ancora più refrattarie alla luce della luna. La rocca imponente e di fredda pietra con i suoi quattro torrioni svettava sulla collina. Psiche sentì la stessa paura che lo aveva invaso il giorno in cui Eros lo aveva portato lì la prima volta, solo che adesso il dolore si aggiungeva acuto per aver tradito il dio che amava e di cui non era riuscito a fidarsi.

Kakia lo fece scendere dal cavallo, poi lo spinse attraverso il portale e infine lo condusse nel lungo corridoio dalle pareti spoglie. Aprì una porta di legno e lo spinse all'interno.

«Lasciami andare», Psiche protestò, ma incontrò solo il ghigno dell'altro.

«Eros ti ha sottratto a me, in cambio con il benestare di Afrodite ho ricevuto l'assicurazione che nel caso in cui tu avessi violato le regole, ti avrei riavuto. Come pensavo l'hai fatto. Voi umani...» Gli si avvicinò e nel tentativo di arretrare Psiche inciampò cadendo a terra. Il pavimento era di pietra, freddo. Psiche vide dietro di sé un letto di legno, una vasca da bagno sostenuta da zampe di leone dorate.

Kakia lo prese per i fianchi e gli strappò la tunica candida che indossava. «Questa non te la puoi permettere qui», disse.

Psiche sentì il suo corpo nudo rabbrividire di freddo e di orrore. Kakia gli rivolse uno sguardo invadente, poi gli si sdraiò addosso. Psiche tentò di respingerlo, ma il dio premette le sue labbra contro quelle di Psiche, poi gli esplorò il collo con la lingua, mentre le sue mani correvano verso il basso. Un gemito di dolore scappò dalle labbra del giovane quando le dita di Kakia strinsero i suoi capezzoli. D'improvviso il dio dell'ira si alzò. Chissà da dove tirò fuori una tunica di rozzo cotone color marrone.

«Indossa questa». Kakia si toccò le labbra. «Sarai mio, ma non adesso. La tua bellezza merita di essere consumata nel mio letto», disse e lo lasciò da solo.

Psiche si coprì con la tunica di cotone, la stoffa gli graffiava la pelle, diversa da quella che Eros gli faceva usare. Si alzò con le gambe che gli tremavano e si affacciò alla finestra. Una bifora schermata da due sbarre di ferro ostacolavano la vista su una palude scura. Psiche si sentì morire. Si portò le mani al ventre. Cosa ne sarebbe stato di lui adesso?

Amore & Psiche (gay story)Où les histoires vivent. Découvrez maintenant