Parte 10 ~ Il rapimento

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Eros teneva salde le briglie. Aveva fatto salire Psiche sulla sella davanti a lui, per controllare meglio ogni suo movimento ed evitare che scappasse e ne sentiva premere il corpo contro il proprio. Era caldo e tremante. Istintivamente Eros strinse le braccia senza rallentare la corsa del cavallo per toccarlo con gli avambracci. Lo sfiorò appena, ma sentì il cuore del giovane galoppare nel petto. Anche il suo si era messo a battere veloce, sorprendendolo, quando trovatosi di fronte a Psiche aveva riconosciuto nei suoi lineamenti perfetti, negli occhi chiari come acquamarina, il giovane che aveva sorpreso qualche giorno prima nudo nel lago del bosco. Psiche, ripeté il nome tra sé e sé, pensando che suonava come un mantra, come un'ossessione che rischiava di consumare la mente di uomini e dei. Psiche era l'ossessione di Afrodite e lui non voleva diventasse anche la propria. Da quando lo aveva visto alla luce della fiamma, non riusciva a smettere di pensare che l'invidia di sua madre non era vana. Ma che colpa ne aveva Psiche? Nessuno degli umani né degli dei che Eros aveva ospitato nel suo letto aveva suscitato in lui un tale interesse.

Tirò le briglie. Il cavallo si fermò bruscamente con un nitrito che ruppe il silenzio della notte. I filari dei vigneti costeggiavano il sentiero, rendendo i campi impenetrabili alla luce di un quarto di luna.

«È qui che mi ucciderai?», Psiche disse, e, nonostante la situazione e il fatto che dovesse essere terrorizzato, il suo tono di voce era deciso.

«Qualcuno ci segue», Eros replicò. Vide Psiche guardare oltre la sua spalla, la sua pelle divenne ancora più bianca nella luce pallida della notte.

Eros scese dal cavallo. «Resta qui». Lo scalpiccio di zoccoli si avvicinava sempre di più, e adesso l'ombra di un cavallo che si avvicinava era diventata nitida. In sella un uomo dai capelli cortissimi e neri, il viso tondo. Cosa poteva volere? Chi poteva essere? Un ladro? Uno dei famigliari di Psiche che cercava di salvarlo?

L'uomo si avvicinò. «Quel ragazzo è mio». Indicò Psiche.

Un sorriso ironico affiorò sulle labbra di Eros. Gli uomini riuscivano a essere disgustosi quanto gli dei, sua madre aveva ragione: farsi scrupoli con loro era una perdita di tempo. «Qui non c'è niente di tuo».

L'uomo scese dal suo cavallo, si avvicinò con passo minaccioso. I suoi occhi grigi erano velati da un'ombra di rabbia. Era come se tutto gli fosse dovuto, e non immaginava neanche la sorpresa che lo attendeva.

«Qui non c'è niente di tuo», Eros disse sprezzante per la seconda volta.

L'altro estrasse un coltello, ma Eros non ebbe bisogno neanche di prendergli e storcergli il polso per disarmarlo. Gli bastò mostrare i suoi occhi verdi, più lucenti di ogni smeraldo terrestre, per farlo rimanere di sasso. Occhi bellissimi, ma innaturali, doveva aver pensato. Occhi non umani.

«Qui non c'è niente per te, se lo cerchi di nuovo per te sono guai», gli alitò in faccia. «Considerati fortunato se non ti faccio innamorare e languire per un sasso per il resto della tua vita». Non sapeva se l'uomo avesse capito esattamente con chi aveva a che fare, ma quanto disse bastò per fargli perdere l'atteggiamento arrogante e farlo filare via veloce come era arrivato. Eros fu sul punto di ritornare indietro, ma quando si voltò verso il cavallo si accorse che anche quello si stava allontanando con Psiche in sella. Un giovane bello e ribelle, che scappava alla prima occasione. Eros si sarebbe dovuto accendere di sdegno, invece l'immagine di Psiche che galoppava sul suo cavallo divino, che si negava al suo potere lo eccitò terribilmente. Gli bastò uno schiocco di dita e la distanza che Psiche aveva messo tra loro si annullò. Il cavallo comparve davanti a lui. Gli occhi chiari di Psiche erano accesi di sorpresa e rabbia.

«Dove credevi di andare?», Eros domandò, risalendo in sella. Il piano originario era di portare Psiche alla rocca di Kakia in un istante, ma l'idea di separarsi dal giovane e dal suo corpo caldo così in fretta non era allettante. Eros decise che avrebbero fatto la strada verso Atene come avrebbe fatto un umano. Gli uomini del terzo millennio avrebbero usato un'auto, lui, invece, preferiva usare un mezzo tradizionale, il suo cavallo reso immortale dalla volontà di Zeus. «Continueremo lungo i campi fino ad arrivare alla meta, ma ci fermeremo per la notte, non voglio che ti stanchi troppo». Vide dipingersi sul volto di Psiche un'espressione di sorpresa.

Fecero un tratto di strada ancora al galoppo, inoltrandosi nei campi incolti fino ad arrivare in un bosco. Il quarto di luna era salito in alto nel cielo raggiungendo il suo massimo splendore, attorno allo spicchio su cui la dea Selene rivendicava la proprietà, le stelle luccicavano illuminando la notte di bagliori tenui.

Eros legò il cavallo al tronco di una quercia, dopo essersi fatto strada tra i rovi e l'erba incolta. Riuscì a trovare una grotta sulle cui pareti rocciose si erano abbarbicati arbusti e cespugli, ma il cui ingresso era libero. Osservò la delicatezza delle mani di Psiche, le dita affusolate, il corpo snello, e il portamento elegante, e pensò che quello non era il posto per una tale creatura, che Psiche avrebbe meritato di dormire sulle lenzuola di seta di uno dei letti del suo castello di cristallo, di svegliarsi la mattina e dopo essersi affacciato ala finestra, di contemplare la distesa di fiori dei suoi giardini e di essere investito dal loro effluvio. Forse, solo per una notte avrebbe potuto portarlo lì, farlo adagiare nel suo letto, esplorare la sua pelle fresca e rosea come pesca. No, si rimproverò, cosa andava immaginando? Lui non era un volgare umano guidato dalla passione senza controllo, lui era il dio che le passioni le faceva nascere e morire a piacimento, ma non poteva ignorare il fremito nel suo cuore da troppo tempo intorpidito ogni volta che posava lo sguardo su Psiche.

Lo vide guardarsi intorno preoccupato, dopo essere sceso da cavallo.

«Cerchi qualcuno?», Eros domandò e non poté evitare di essere ironico.

Psiche indurì lo sguardo. «Cosa è successo a quell'uomo? Quello che ci inseguiva?»

«Perché ti interessa tanto? Era un tuo parente? Il tuo amante, forse?» Il pensiero che mani tanto rozze toccassero il giovane lo ripugnò.

Psiche scosse la testa. «Era un mio pretendente. Il promesso sposo che mio padre aveva scelto per me».

Per Zeus... gli umani avevano davvero pessimi gusti nell'accoppiarsi, Eros pensò, ancora disgustato e infastidito. «Come poteva tuo padre credere che quell'uomo andasse bene per te?», si lasciò sfuggire.

Psiche si strinse nella giacca e solo allora Eros realizzò che potesse sentire freddo o avere fame. Di solito il pensiero di provvedere per un umano gli avrebbe dato fastidio, adesso, invece, lo atterriva l'idea che il giovane che gli stava davanti potesse morire di fame, di sete, o di freddo. «Accendo il fuoco, poi dormiremo nella grotta».

Psiche corrugò la fronte. L'idea di entrare nella grotta con uno sconosciuto e passarci la notte non lo tranquillizzava affatto. Per un momento pensò che sarebbe stato meglio rimanere con Prassitele, poi ricordò il tocco delle sue mani, il suo alito che sapeva di tabacco, i suoi occhi grigi. No, non sarebbe mai tornato indietro, ma non era giusto che dovesse scegliere tra Prassitele e un dio, probabilmente malvagio, sicuramente intenzionato a fargli pagare una colpa che non aveva e a sacrificarlo su qualche altare per ordine di Afrodite. La rabbia gli accese lo sguardo e gli scaldò la pelle.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now