Parte 22 ~ Pretese divine

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Le colonne in stile dorico svettavano imponenti verso il cielo. Eros si fermò a osservare il frontone del tempio, i suoi pannelli di pietra istoriati. I più grandi artisti si erano dedicati al luogo di culto più importante di Atene, ma pochi, anzi nessuno, sapeva che salendo le scale, attraversando il peristilio, introducendosi nei corridoi vietati agli uomini, si calcava il terreno di un mondo divino, dell'Olimpo, che agli uomini era precluso.

Eros salì in fretta le scale. Nascosto dal suo mantello nessun uomo poteva scorgere il suo viso e lui poteva celarsi tra chi rendeva omaggio agli dei. Sotto di lui si dispiegava l'acropoli in tutta la sua maestosa bellezza e in tutte le sue umane miserie, molte delle quali, a dire, il vero, erano state causate dagli dei.

Presto Eros svoltò nell'ala attraverso la quale si accedeva alla parte del tempio che gli uomini non conoscevano. Rubini e smeraldi brillavano incastonati nel pavimento di marmo, alle pareti rappresentazioni delle divinità nei loro momenti di gloria arricchivano l'ambiente lussuoso. Ed ecco la parte del tempio dove Eros era atteso: attorno a un tavolo di cristallo sedevano le divinità, e i semidei che avevano avuto abbastanza coraggio o potere da guadagnarsi l'invito di Zeus. Zeus sedeva su uno sgabello rialzato rispetto a tutti gli altri, al suo fianco Era, come una matrona regale, taceva con viso accigliato, di certo per l'ennesima infedeltà del consorte.

Eros rivolse uno sguardo di saluto a tutti, spiegò le sue ali candide, che non mostrava mai a occhi umani e che usava per raggiungere le vittime dei suoi strali amorosi. Sentì su di sé lo sguardo insistente di Afrodite e di Kakia, quello irritato di Atena, e quello divertito di Ermes e Bacco. Un'altra estenuante discussione stava per cominciare, mentre lui sarebbe tornato volentieri tra le braccia di Psiche che aveva lasciato nel letto della sua stanza. Sperò che Psiche non se la prendesse per non essere stato svegliato e salutato con un bacio, ma la notte scorsa lo aveva visto agitato, preda di sogni poco piacevoli e aveva preferito non interrompere la serenità che finalmente, solo alle prime luci dell'alba, era calata sul suo viso.

La voce impetuosa di Atene lo riscosse dalle sue riflessioni. La dea aveva delle lamentele da rivolgere a Zeus e come al solito riguardavano la guerra eterna tra lei e Afrodite, lo smacco subito dalla regina Elena che millenni or sono aveva osato scegliere il dono della dea dell'amore non era stato ancora dimenticato.

«Le vostre guerre stanno agitando Poseidone, e io non tollero che si verifichino naufragi per futili motivi», Zeus tuonò.

Era strinse le labbra, ma decise di tacere che ciò che Zeus non voleva era essere disturbato durante i suoi tentativi di insidiare fanciulle e fanciulli. Come se a qualcuno fosse sfuggito.

Afrodite gli rivolse uno sguardo suadente. «Chiedo solo che la zona sotto il mio controllo non venga fatta oggetto di assurde pretese».

«La tua zona è solo una terra di perdizione e lussuria», Atena disse, le guance arrossate di sdegno.

Tutti adesso guardavano lui, il figlio di Afrodite, che avrebbe dovuto prendere le sue difese. Eros si schiarì la gola, la sua bellezza, pari a quella di sua madre, abbagliava gli altri.

«I raccolti non sono più abbondanti, gli uomini sono stanchi, e io credo che dovremmo smetterla di farci la guerra».

Una risata di scherno risuonò nella sala. Il volto di Kakia si era contratto in un ghigno. «Eros è impegnato in altre faccende, fa vivere nel suo castello un umano e lo tratta come un dio. Per questo non può perorare la causa di sua madre, ma ci sono io e vi assicuro che le ragioni di Afrodite sono più che fondate».

Eros strinse i pugni. Come osava Kakia metterlo in ridicolo davanti al consesso divino?Trattenne le parole di odio che avrebbe voluto rivolgergli. Era convinto che un essere come Kakia non si sarebbe neanche dovuto sedere in mezzo a loro, e invece da quando sua madre aveva stretto con lui un'alleanza per mettere i bastoni tra le ruote ad Atena, aveva preso sempre più potere. Il brusio che seguì tra gli dei dimostrava che le sue parole avevano colpito nel segno: era inaudito che un umano vivesse nel castello di un dio e per giunta non come servo o schiavo di piacere, ma come un dio stesso.

«Sono il dio dell'amore», Eros si ribellò, ma gli sguardi degli altri abbandonarono la loro freddezza solo quando anche Kakia riprese la parola:

«È solo un amante temporaneo, lasciate che Eros, ancora così giovane rispetto a tanti di noi se lo conceda».

Gli dei si rabbonirono, ma Eros sapeva che il dio dell'Ira lo aveva messo in difficoltà e poi era intervenuto per aiutarlo solo per renderlo in debito nei suoi confronti.

Un serpente, Eros pensò. Ecco quello che era Kakia, e provava ribrezzo al pensiero che sua madre si fosse alleata con lui.

Kakia non esitò a riscuotere il suo debito. «Voglio l'anello che orna il tuo dito indice».

Gli occhi di Eros fiammeggiarono. Il quarzo rosa dell'anello riproduceva con maestria la leggerezza dei petali di una rosa, il cui bocciolo era costituito da un diamante del medesimo colore. Non era il gioiello più prezioso che possedesse, ma simboleggiava l'amore gentile, senza il quale nessun tipo d'amore poteva mai sopravvivere. L'idea che la banda di oro bianco si posasse sulle dita sudicie di Kakia gli metteva i brividi.

«Le tue pretese sono assurde, perché dovrei?»

«Perché se convincessi gli dei che tratti il tuo bel Psiche come uno sposo, il loro sdegno si riverserebbe su di lui. Mi immagino Era, pronta a sfogare la sua frustrazione di donna tradita sulla prima vittima ignara», Kakia mormorò.

Eros serrò le mascelle, ma non aveva altra scelta. Si sfilò l'anello dal dito e lo fece scivolare nel palmo squadrato dell'altro.

Gli sembrò di tornare a respirare solo quando varcò l'ingresso del suo castello. Indossò la sua maschera di velluto. Una dolce melodia accarezzò le sue orecchie, e lui la riconobbe subito: era la musica di Psiche, un pezzo a cui lavorava da un mese, sfiorando e pigiando i tasti, prendendo appunti sullo spartiti, buttando via fogli su fogli, ma il risultato era adesso perfetto. Se solo Psiche non fosse stato così insicuro...

Raggiunse la stanza riservata alla musica e lo trovò seduto, come si aspettava, davanti al pianoforte. Psiche si voltò quando udì i suoi passi, il volto leggermente arrossato, forse per l'emozione di essere stato sorpreso.

«L'hai sentita? Ti piace?», gli domandò.

Eros sedette accanto a lui. «Non ho mai sentito una melodia tanto soave». Allungò una mano sul suo viso, ma il sorriso sulle labbra di Psiche si spense subito.

«Stamattina non ti ho trovato al mio fianco...»

«Non volevo svegliarti. La mia presenza era richiesta da Zeus, ma adesso sono tutto per te». Posò le labbra sulla sua fronte, ma il giovane si ritrasse. Eros ne rimase ferito, ma immaginava che per Psiche non fosse semplice capire quanto diversi fossero i loro mondi.

Psiche accarezzò un tasto nero del pianoforte. «Se davvero ti piace tanto la mia musica, non credi che dovrebbero ascoltarla anche gli altri?»

Eros corrugò la fronte. «Gli altri chi? Gli uomini che ti schernivano o ti evitavano, terrorizzati che se ti fossero rimasti accanto la vendetta di Afrodite si sarebbe abbattuta su di loro?»

Un'ombra offuscò lo sguardo di Psiche. «E di chi è la colpa? La loro o di tua madre?», disse con rabbia, poi scosse la testa. Parlare così a Eros gli faceva male, lo amava, ma allo stesso tempo le parole dei suoi fratelli e di sua madre e alcuni comportamenti di Eros lo riempivano di dubbi. «Mi sento prigioniero, e tu mi avevi detto che non lo ero».

Eros ponderò le parole da usare. «Mia madre non accetterebbe mai che tu te ne vada in giro a volto scoperto, a suonare per giunta. Sarebbe capace di convincere Apollo che la tua è una superbia in grado di sfidare tutti gli dei».

Gli occhi di Psiche si velarono ancora, questa volta non di disappunto, ma di lacrime. Eros si sentì morire. Psiche gli faceva provare sentimenti fin troppo reali, fin troppo umani per i suoi gusti. «Se vuoi suonare davanti a qualcuno, ti porterò io un pubblico. Puoi aspettare qualche settimana fino al 4 maggio?»

«Il 4 di ogni mese è dedicato a te e ad Afrodite».

«Suonerai alla mia festa, lo vuoi?»

Psiche sorrise, e per la prima volta da quando il carro di Apollo si era affacciato nel cielo quel giorno, Eros si sentì felice.

Amore & Psiche (gay story)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora