Parte 35 ~ Acheronte

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Sulla scogliera del golfo le onde si infrangevano violente, segno che Poseidone era furioso. La guerra aperta da Eros aveva dato inizio a tutta una serie di baruffe, Psiche pensò. Afrodite lo aveva avvisato prima di vederlo montare in sella davanti al suo castello. Se qualche altra divinità gli avesse dato fastidio nella sua missione, Psiche avrebbe dovuto aprire la bisaccia. «Mi prenderò io tutte le colpe», Afrodite lo aveva rassicurato. Poi aveva rivolto uno sguardo al suo ventre e gli aveva detto: «Sta' attento».

Adesso Psiche si trovava nel luogo che lei gli aveva indicato come porta della casa di Ade e della sua sposa. Una piccola insenatura del golfo, lungo le scogliere rocciose, un masso scostato appena che segnalava un ingresso vietato ai mortali.

Psiche inspirò a fondo. Per salvare la vita di Eros avrebbe fatto di tutto. Era uno sciocco, lo sapeva. La morte in ogni caso li avrebbe separati, ma non doveva accadere in questo modo.

Scostato il masso si ritrovò catapultato in un mondo che l'iconografia umana aveva più volte tentato di rappresentare. Un lungo fiume impetuoso scorreva davanti a sé e sulle sue acque viaggiava una barca, carica di anime.

Il guardiano lo accolse con una risata sprezzante, ma al nome di Zeus e Afrodite fu costretto a farlo passare. Il luogo inquietante lo riempiva d'angoscia, ma presto venne portato nelle stanze della dea Proserpina. Dai lunghi capelli neri e il sorriso dolce, la dea gli consegnò l'antidoto, colpita dal modo accorato in cui lui le aveva parlato. «Fa' molta attenzione, per gli umani è mortale», lo avvisò.

Quando rivide la luce del sole pensò che era finito tutto in fretta. Troppo in fretta, si ammonì, accorgendosi che il suo cavallo non era più dove lo aveva lasciato. Si rese conto allora che la vera missione non era scendere negli Inferi, ma ritornare e cavarsela sulla terra.

Imboccò a piedi il sentiero che si avvolgeva sul tornante della roccia, e che portava nuovamente sulla sommità della scogliera. Sotto i suoi piedi sentiva l'erba incolta ghermire le caviglie, il terreno scosceso nascondere insidie e pietre più aguzze. Si guardò attorno nella speranza di riveder comparire il destriero che Afrodite gli aveva permesso di usare. Non ce ne era traccia. Doveva essere stato un altro dio dispettoso a farlo sparire. Chi?, si domandò. Forse lo stesso Ade, adirato che un umano avesse varcato le soglie del suo regno? O Atena, offesa da Eros l'ultima volta che il dio dell'amore aveva fatto irruzione nel suo tempio per reclamare i territori che gli spettavano? O, ancora, Kakia? Il semidio del vizio, dell'ira e del crimine? No, lui no, Psiche si rassicurò, mentre un rivolo di sudore freddo gli bagnava la nuca. Kakia era un semidio e se nella sua rocca era potente, al di fuori di essa non aveva i mezzi per arrivare a tanto.

Il sole, intanto, picchiava sulla sua testa con la potenza che solo a mezzogiorno poteva avere. Psiche si toccò la fronte con la mano, era calda, e lui stava perdendo le forze. Strinse a sé la bisaccia, dove aveva riposto la preziosa ampolla contenente il rimedio al veleno dell'Acheronte.

Aveva bisogno di trovare qualcuno che gli desse un passaggio molto in fretta. La costa, dove adesso si trovava, era distante da Atene, dove il dio che amava giaceva inerme. Quanti giorni ci avrebbe messo ad arrivare con un mezzo umano? Molti, troppi. Strinse i denti, nonostante il cuore avesse cominciato a martellargli nel petto. Prese la borraccia con l'acqua, ma si accorse presto che ne rimanevano poche gocce.

Fu sul punto di disperare, quando davanti ai suoi occhi si materializzò una casupola, lontana solo pochi metri. Capì che doveva trattarsi di una fattoria, e sperò che non fosse disabitata. Il suo volto scottava, e una fitta al ventre lo costrinse a fermarsi. Ma non poteva permettersi di farlo. Proseguì, spinto solo dal desiderio di raggiungere Eros.

La casupola era abitata da due anziani signori, dagli occhi troppo lucenti perché fossero umani. Psiche, stremato e preoccupato, non se ne accorse. I due anziani lo avevano trattato bene senza che in lui potesse prendere corpo alcun sospetto. Gli avevano detto di possedere un carro guidato da un cavallo molto veloce, ma che prima di poterglielo prestare avevano bisogno di qualcosa in cambio.

«Aiutaci», lo supplicarono.

Psiche si vide costretto a rimanere. I suoi occhi si spalancarono quando, dopo essersi rifocillato, gli si spiegò il compito che doveva assolvere: separare pagliuzze d'oro da grani di sabbia fine. Come avrebbe fatto? Cominciò, seduto sulla soglia della casupola, ma i suoi occhi si confondevano, le sue dita tremavano, e dalle sue mani scappava tanto l'oro quanto la possibilità di rivedere Eros. La sua disperazione si placò quando si accorse di un pavone dalla meravigliosa ruota variopinta. Era l'uccello sacro ad Afrodite. Con il suo becco l'aiutò e la missione venne portata a termine.

Psiche salì sul carro, e spronò il cavallo, stando sempre attento alla sua bisaccia. Presto, però, la gioia di essersi rimesso in viaggio fu sostituita dal timore. La strada era divenuta impervia d'improvviso. E Psiche ne era sicuro, questa era opera di un dio. Un dio che odiava Eros e che odiava anche lui. Fu sbalzato lontano dal carro, sentì il bruciore delle lacerazioni alle mani, al fianco, al volto. Si toccò il ventre istintivamente, e subito dopo controllò che l'ampolla fosse sana e salva. Lo era. Il bambino si mosse, e Psiche sentì tanto sollievo da aver voglia di piangere. Fece per rialzarsi, ma un'ombra si materializzò davanti a lui.

Sentì il sangue farsi di ghiaccio. Kakia era lì.

«Fammi passare», Psiche disse, trovando il coraggio.

Il solito ghigno increspò le labbra dell'altro. «Perché dovrei? Tu sei mio e ho intenzione di riprenderti con me».

«Ti metti contro la dea Afrodite, e lo stesso Zeus che mi ha inviato a compiere questa missione. Sei più malvagio e stupido di quanto credessi». Lo vide serrare le mascelle, colpito nell'orgoglio, e ne provò grande soddisfazione. «Sei solo un semidio...»

Le sue parole accesero Kakia di rabbia. «Un semidio che è riuscito a uccidere il dio dell'amore».

«No, non ancora...», Psiche replicò in tono angosciato.

Kakia gli fu addosso. «Sì, lo hai già perduto, e adesso verrai con me».

Psiche tentò di sfuggirgli, ma l'altro lo prese per un braccio, spingendolo contro il tronco di un albero, infilò la mano nella bisaccia di Psiche e ne tirò fuori l'ampolla nera.

«Non farlo...», Psiche lo pregò, ma le sue preghiere non erano valse mai a nulla con lui e fu lo stesso questa volta.

Kakia lanciò l'ampolla. Il suono del vetro che si infranse sembrò a Psiche assordante. Era tutto finito, questa volta per sempre.

«Bene, adesso è il tuo turno», Kakia lo minacciò.

La bisaccia, Psiche pensò. Non sapeva cosa ci avrebbe trovato dentro, ma afferrò la prima ampolla che le sue dita trovarono e la scagliò contro Kakia. Vide il suo aguzzino allontanarsi, le mani sul volto. Cadde a terra in ginocchio. «Non può essere», si lamentò con voce roca.

Psiche non si curò più di lui. Aveva una missione da compiere e l'avrebbe portata a terra. L'ampolla di vetro nero era del tutto vuota, se non per una piccola goccia. Le sue ginocchia cedettero, la disperazione lo invase. Il resto del liquido ambrato era riverso sul terreno, un rigagnolo finito in una piccola buca. Doveva raccoglierlo e rimetterlo nell'ampolla, ma come? Sfiorò il ventre. Il suo bambino si era mosso. Il suo bambino avrebbe vissuto, perché gli dei avrebbero avuto pietà di lui. Afrodite e Zeus ne avrebbero avuta, ne era sicuro. E poi c'era Eros. Se lo avesse salvato, Eros avrebbe pregato gli dei e da loro avrebbe ottenuto la tutela della vita di quel bambino. Gli dei lo avrebbero tenuto in vita fino alla fine, solo per permettergli di dare la luce al figlio del dio dell'amore. La sua vita, invece, non aveva importanza davanti a quella degli esseri che amava di più.

Kakia era svanito, già accolto nel Tartaro. Psiche accostò le labbra alla pozzanghera dove si era raccolto l'antidoto. Una lacrima gli rigava il viso, ma era pronto al sacrificio estremo. Aveva sentito Zeus dire che l'antidoto era veleno per gli uomini. Raccolse nella sua bocca il primo sorso del liquido e lo sputò nell'ampolla, e così fece con quanto ne restava fino a quando la pozzanghera non si svuotò e l'ampolla fu di nuovo piena.

Amore & Psiche (gay story)Where stories live. Discover now