Parte 9 ~ Venduto

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Le voci che provenivano dal salone tacquero quando lui entrò nella stanza. Psiche vide sua madre, vestita di un abito color azzurro polvere, seduta sul divano. Suo padre, che per l'occasione aveva rispolverato un abito abbastanza elegante, era in piedi. Poi Psiche vide l'ospite d'onore. Era impegnato a parlare con suo padre e stringeva tra le mani un bicchiere di liquore dal color ambrato che sua madre era solita preparare in casa. Gli si strinse il cuore e poi un crampo gli chiuse lo stomaco. Come avrebbe potuto avvicinarsi a quell'uomo? Il suo aspetto era comune, poteva essere alto non più di un metro e sessanta. I capelli corti a spazzola non abbellivano un viso tondo, dalle guance che parevano perennemente arrossate. Forse dall'alcol? Probabilmente sì a giudicare da come stringeva tra le dita il bicchiere.

«Eccolo qua», suo padre disse, quando lo vide, «che fai lì impalato? Vieni qui, su».

Psiche ubbidì come un automa. L'uomo accanto a suo padre posò gli occhi su di lui. Un paio di iridi grige che non appena lo videro si accesero di un lampo sinistro. A Psiche si accapponò la pelle. Non gli sfuggì il modo rapace in cui l'uomo lo stava guardando.

«E così sei tu il bellissimo ragazzo di cui mi ha tanto parlato tuo padre», disse, allungando una mano verso di lui. «Il mio nome è Prassitele».

Psiche avrebbe voluto correre via, ma lo sguardo severo di suo padre lo indusse a ricambiare il saluto e a stringere la mano a Prassitele. Poteva avere una quarantina d'anni, e a giudicare dalle mani curate e senza segni particolari, non era abituato a lavorare la terra.

Nel corso del pomeriggio Psiche scoprì infatti che si occupava di commercio, in particolare di stoffe. Gli aveva detto che sarebbe stato un modello perfetto per convincere i clienti all'acquisto. Tutto lo respingeva di quell'uomo: il modo in cui gesticolava come a sottolineare ogni parola, la boria con cui aveva detto di possedere un palazzo ad Atene e di come era sempre invitato alle feste per celebrare gli dei, il modo, soprattutto in cui lo guardava e in cui aveva giudicato con sufficienza la sua passione per la musica. «Se vuoi un piano, te lo comprerò, che problema c'è?», aveva detto dopo aver trangugiato un bicchiere di vino e aver addentato uno dei manicaretti preparati da sua madre.

Psiche era sollevato dal fatto che almeno i suo fratelli non ci fossero e che gli venisse risparmiata l'umiliazione di essere preso in giro da loro con battute poco felici. Era quasi finita quella tortura, pensò, quando suo padre si alzò da tavola e con fare ossequioso disse: «Credo che sia giusto lasciarvi per un po' da soli, per conoscervi meglio».

Lui si sentì morire, cercò supplicante gli occhi di sua madre, ma quando li trovò vi scorse solo rassegnazione.

«Siamo di là», lei gli mormorò, e poi si alzò portando via i piatti del cibo che avevano offerto a Prassitele, seguita da suo marito. Il tonfo con cui la porta del salone si richiuse lo fece sobbalzare. Era da solo con Prassitele, con il suo sguardo indecente e le sue maniere rozze. Anche se nulla era stato deciso, si sentiva come se fosse stato appena venduto, oggetto di un accordo d'affari per il quale la sua opinione non contava nulla.

Si alzò, istintivamente per allontanarsi il più possibile dall'uomo, ma ebbe cura di fingere che voleva solo guardar fuori dalla finestra per non offenderlo. Sentì il suo fiato sul collo, strinse in un pugno la tenda di merletto e non si voltò.

«È stato un piacere fare la tua conoscenza», Prassitele disse piano, mellifluo.

«Anche per me», lui mentì.

Prassitele lo afferrò per le spalle. «Con i tuoi genitori è tutto sistemato, darò loro qualcosa per sistemare la fattoria, ma non è uno scambio, è solo una gentilezza che ogni suocero merita».

Amore & Psiche (gay story)Où les histoires vivent. Découvrez maintenant