|Capitolo 5|

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Jimin

Apro la porta del mio appartamento, pronto per comprare ciò che mi manca nella dispensa. Ormai ho finito tutte le scorte e devo fare rifornimento, in più i supermercati chiuderanno entro un'oretta.
Raggiungo il piano terra, poi cammino a passo svelto verso il portone d'entrata.
Vorrei arrivare il più in fretta possibile, per evitare la solita folla da pre chiusura.
Esco dall'edificio e faccio qualche passo per raggiungere il marciapiede, ma vengo ostacolato bruscamente da due braccia.
Mi volto con forza e tutto ciò che vedo è l'espressione incavolata di Seojun.

«Non mi hai più risposto» proferisce, con la mano sempre più stretta attorno al mio avambraccio. Il suo alito ha un odore disgustoso, sa di superalcolici e il suo aspetto non è da meno. I capelli sono umidi e appiccicati alla fronte, mentre i suoi occhi sono lucidi e rossi, contornati da occhiaie ben marcate.

«Perché avrei dovuto?» libero il braccio e mi allontano di qualche passo da lui, per sicurezza.

«Ti vorrei ricordare che sono il tuo ragazzo e ti avevo detto di vederci ieri» in questo momento mi tornano in mente tutti i fatti che ho dimenticato dopo l'incontro con Yoongi, sopratutto la nostra litigata.

«Sì ed io vorrei ricordarti che lo sei solo perché mi minacci» sono schifato dalla sua persona e dalla sua stupidità immensa.

«Questo mostra quanto tu sia debole» sussurra, avvicinando una mano al mio viso per accarezzarmi una guancia. Mi afferra con forza il mento e mi costringe a guardarlo negli occhi.

«Nessuno vorrebbe stare con te, sei un insulso lupetto pauroso» dice a pochi centimetri dal mio viso, dai suoi occhi traspare solo la sua follia.

«Non mi interessa ciò che pensi» sposto il suo braccio con violenza e abbasso lo sguardo, cercando di evitare quelle parole dolorose per la milionesima volta. Ormai ricevo colpi del genere ogni giorno da parte sua, ma cerco sempre di allontanarli dalla mia mente.

«Cambia tono» grugnisce, mantenendo l'atteggiamento da Alpha che non gli appartiene.

«Altrimenti cosa fai, mi picchi? Ti ricordo che lo hai già fatto, non cambierò idea su di te» sussurro con disprezzo, prima di voltargli le spalle per riprendere la mia strada.

«Dove credi di andare? Non ho finito con te!» mi strattona al suo petto con violenza, afferrandomi il viso con una delle sue ruvide mani sudaticce.

«Lasciami!» grido, provando in ogni modo a tirargli un calcio da qualche parte per scappare.
Riesco a colpirgli il ginocchio sinistro, ma ciò non lo ferma dalla sua pazzia.

Mi spinge a terra, per poi tirarmi una serie di calci sul ventre, che cerco di evitare coprendomi con le braccia il più possibile.
La mia mente è annebbiata dal dolore e dallo sforzo per resistere al suo assalto, cosi da non dargliela vinta.
Solo quando sono sul punto di svenire, lui si allontana e corre via come un codardo.
Provo ad appoggiare la schiena a terra, ma tutto ciò che percepisco sono fitte tremende all'addome e ai fianchi.
Apro la bocca tremante, dal momento che sento solo il gusto amaro del sangue, e infatti inizio a sputare qualche goccia rossa sull'asfalto grigio.
Non so quanti minuti rimango steso a terra, minuti in cui non passa nessuno disposto ad aiutarmi. Alcune persone mi guardano dispiaciute, altre evitano di incontrare la mia figura con lo sguardo. Il mio corpo è percosso da brividi continui, dovuti sia al freddo, sia alla paura.
Quando riesco ad alzarmi, mi sorreggo con le mani sulle ginocchia e, a piccoli passi, inizio a camminare. Non so dove sono diretto, posso benissimo tornare al mio appartamento, ma in questo momento sono talmente spaventato da lasciarmi guidare dall'istinto.

𝐔𝐧𝐞𝐱𝐩𝐞𝐜𝐭𝐞𝐝 - 𝐎𝐦𝐞𝐠𝐚𝐯𝐞𝐫𝐬𝐞Where stories live. Discover now