Capitolo 17. Senso di abbandono.

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Sono consapevole di avere un aspetto orribile stamattina. Uno straccio è dir poco.

Venerdi sera sono stata seduta sulla poltroncina della sala d'attesa dell'ospedale per un tempo indefinito. Mi appisolavo, mi risvegliavo, sgranchivo le gambe, mi risedevo, mi addormentavo di nuovo.
Finchè, ad un certo punto, un chiururgo ancora avvolto in un camice verde si è materializzato accanto a me per riferirmi che durante l'operazione c'erano state alcune complicazioni, delle emorragie importanti, ma nonostante questo mia madre era viva. Sedata, intubata, ma viva. Almeno per ora.

Il resto del weekend poi è stato un incubo.
Ho passato parecchio tempo in ospedale. I medici hanno detto di stare vicino a mia madre, farle sentire la mia presenza e parlarle nonostante fosse incosciente ed io l'ho fatto. Mi sembrava una grande stupidaggine in realtà, non mi riconosceva prima, figurarsi se poteva trarre giovamento dalla mia voce ora che era sedata, ma ci ho provato comunque. Mi sarei sentita una pessima figlia se non l'avessi fatto e sapere che lei è sempre stata una pessima madre non avrebbe alleviato il senso di colpa.

Il sabato mattino ho anche affrontato di nuovo Mike visto che, non avendo ricevuto risposta ai messaggi che mi ha inviato nella notte, si è presentato a casa mia. Mi ha trovata per caso, ero tornata giusto una mezz'oretta per farmi una doccia prima di passare dall'istituto e tornare poi in ospedale. L'ho aggiornato sulle condizioni di mia madre: era sinceramente dispiaciuto, nonostante non la conosca di persona.
Per quanto riguarda il discorso che stavamo iniziando ieri sera e che è stato interrotto bruscamente dalla chiamata del dottor Burny non mi ha chiesto nulla ed io non ho avuto la forza di riprenderlo proprio in quel momento. Tutto sommato può aspettare.

In queste notti ho dormito poco e male, avevo troppi pensieri, tant'è che Penny, l'unica con cui ho parlato veramente, l'unica che sa tutto di me, dei miei casini e dei miei problemi, stamattina voleva chiamassi in ufficio per dire che non potevo andare al lavoro, che non stavo bene. Io al contrario ho pensato che distrarmi e tenermi occupata mi avrebbe fatto bene così eccomi qui, pallida come un cencio, con due borse degne di Mary Poppins sotto gli occhi e la bocca spesso aperta in uno sbadiglio.

"Rebecca? Tutto bene?"
Nonappena supero la porta dell'ascensore Cora nota il mio stato.

"Insomma, è stato un weekend impegnativo. A pranzo ti racconto. Ora vado che sono in ritardo." Supero il banco della reception e mi dirigo al mio ufficio.

Sistemo le mie cose, accendo la piccola radiolina e mi metto accanto al termosifone per riscaldarmi un po'. Mentre le dita delle mie mani tornano ad una temperatura ragionevole mi incanto ad osservare il parco fuori dalla finestra. È bellissimo come sempre ma terribilmente vuoto, nemmeno una persona lo sta attraversando, tutto è fermo, immobile.

Un senso di solitudine mi investe all'improvviso.
Nella mia vita non sono mai stata circondata da molti affetti e, tra quei pochi, non ho mai considerato mia madre come uno dei più importanti, a maggior ragione da quando l'Alzheimer le ha reso impossibile riconoscermi come sua figlia. Sono sempre stata sola ma sapere che da un momento all'altro lei potrebbe andarsene da questo mondo, mi fa sognare la "libertà" e, al contempo, mi fa sentire ancora più forte questo senso di abbandono.

Sento gli occhi iniziare a bruciare e un nodo in gola stringersi sempre più, quindi mi costringo a tornare alla mia scrivania ed iniziare a lavorare, pensare ad altro, in modo da riprendere il controllo sulle mie emozioni. Non mi succede spesso di sentirmi così abbattuta e, quando capita, non mi piace per niente quindi faccio di tutto per ritrovare il buon umore.
Proprio mentre mi sto voltando, lasciando la finestra alle mie spalle, Alex fa il suo ingresso in ufficio.
Mi guarda un istante, distratto. Poi però, probabilmente notando i miei occhi arrossati, mi scruta con più attenzione.

"Tutto bene?"

Da quando siamo tornati dal convegno è molto più gentile con me ed io, pur non capendo bene il motivo di questo suo cambiamento, lo apprezzo molto. Forse prima o poi troveremo un equilibrio in questo nostro complicato rapporto di lavoro. O forse sarà sempre così, un'altalena, un saliscendi di momenti buoni e cattivi, di scontri e riappacificazioni, di periodi burrascosi e altri di calma piatta.

"Si, tutto ok." Mento, che in ogni caso non ho intenzione di confidarmi con lui.

"Reb, credo di conoscerti abbastanza per sapere che qualcosa non va. Sarà anche passato più di un anno da quando noi... bè, hai capito... ma ho visto che non sei cambiata per niente. Sei una ragazza forte, che non si scoraggia facilmente. Se stai così vuol dire che è successo qualcosa."

In un attimo, senza accorgermene, inizio a singhiozzare. Forse per la situazione di mia madre, forse per le sue parole pronunciate con inaspettata dolcezza, fatto sta che dei grossi lacrimoni iniziano ad offuscare la mia vista ed Alex fa una cosa che non mi sarei aspettata: mi viene incontro, mi stringe tra le sue braccia, mi fa appoggiare la testa nell'incavo del suo collo ed accoglie in silenzio ogni mia lacrima.

Non so quanto tempo rimango accoccolata al suo petto. So solo che stretta in un suo abbraccio mi sento inspiegabilmente un po' meglio.
Lo so, è assurdo che io mi lasci consolare proprio da lui e probabilmente accettare questa vicinanza, questo contatto che al momento sembra farmi star bene,  non è una grande idea. Ma voglio godermi quest'attimo.

Solo dopo aver esaurito le lacrime ed aver regolarizzato il respiro mi stacco da lui.

"Scusami, ti ho bagnato la camicia." Lo guardo imbarazzata. Siamo ancora troppo vicini.

"Non importa. Sei sicura di non voler tornare a casa? Me la cavo da solo se vuoi qualche giorno libero."

"No, ho bisogno di distrarmi. Mia... mia madre è in ospedale, ho passato là quasi tutto il week end e ora vorrei solo non pensarci per un po'."

"Spero nulla di troppo grave."

"In realtà si. Ha avuto un ictus, ora è in coma farmacologico e... non si sa se sopravviverà." Non volevo farlo e invece gli ho detto tutto. Alex mi abbraccia di nuovo.

"Cavolo. Hai bisogno di qualcosa? So che probabilmente sono l'ultima persona a cui vorresti chiedere aiuto ma, se posso fare qualcosa, sono qui."

"Non ho bisogno di nulla, grazie." Dico svincolandomi dalle sue braccia e cercando di contenere l'imbarazzo.
"Solo di lavorare e non pensare a mia madre per un po'." E purtroppo è la pura verità, nessuno può fare nulla per me.

"Bhe, almeno non dovrò giustificare al signor Ellis l'assenza della sua segretaria preferita al nostro primo incontro ufficiale di oggi pomeriggio."

Alex rilascia un teatrale sospiro di sollievo e a me scappa una piccola risata. La prima da venerdi sera.

✏️
Le cose non vanno tanto bene per la nostra Reb.. 💔
Ma almeno Alex sembra darle un po' di tregua. Ne siete contente o lo odiate  così tanto, ormai, da essere infastidite per questa gentilezza improvvisa e immotivata? 🤔🧐

A presto,
Anna








Per Sempre CosìWhere stories live. Discover now