Capitolo 1. Pronta a tutto.

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"Penny! Hai visto le chiavi della mia macchina?" Alzo la voce affinchè la mia coinquilina possa sentirmi dalla sua stanza in fondo al corridoio e torno a rovistare per l'ennesima volta nelle borse appese all'attaccapanni.
Sono dieci munuti buoni che vado avanti e indietro per tutto l'appartamento alla ricerca di queste maledette chiavi. Andrà a finire che arriverò in ritardo al mio primo giorno di lavoro... col rischio che diventi anche l'ultimo.

"Hai guardato nelle tasche dei jeans che indossavi ieri?"
La voce di Penelope, seppur attutita dagli strati di coperte sotto cui è ancora sepolta, giunge roca ed assonnata alle mie orecchie ed è come se mi accendesse una lampadina nella testa.
I jeans! Come ho fatto a non pensarci? 

Mi precipito in camera per spulciare nella pila di vestiti abbandonati sulla poltroncina a fianco al letto senza però trovare ciò che cerco.

"Sai che fine hanno fatto i jeans che indossavo ieri?" Urlo di nuovo, stranita per la loro assenza.
Non possono essere spariti, giusto?

"Nella cesta dei panni sporchi?" Suggerisce, fintamente esasperata.

Ma certo, li avevo messi a lavare!
Starete pensando che sono una stordita e, oddio, forse un po' è vero, ma il fatto è che i miei ricordi della serata scorsa non sono proprio lucidi. Anzi, direi che i troppi schottini bevuti alla festa di compleanno di Dave li rendono decisamente offuscati.
Forse è il caso che io non beva più all'alba di un evento importante come l'inizio di un nuovo lavoro.

"Trovate! Scappo!"

Mi dirigo velocemente alla porta d'ingresso lanciando uno sguardo fugace all'orologio appeso alla parete: devo darmi una mossa, sono in ritardo.
Con la velocità di un Forrest Gump inseguito dai bulletti del paese chiudo la porta alle mie spalle, corro giù dalle scale, salgo in auto, esco dal parcheggio e mi butto nel traffico di New York.
Mi infilo tra un'auto nera dai vetri oscurati ed un taxi il quale, costretto ad inchiodare per non venirmi addosso, inizia a suonare il clacson inviperito.

"Hai ragione, non ti avevo visto!" Grido all'autista guardandolo dallo specchietto retrovisore con l'espressione più ingenua e dispiaciuta possibile ed alzando al contempo una mano come gesto di scusa.
Non credo se la sia bevuta ma almeno ha smesso di strombazzare ed io posso iniziare lo slalom tra le auto nel disperato tentativo di recuperare tempo prezioso. E ce la faccio, più o meno: grazie alla mia guida agile e sportiva, raggiungo la sede del mio nuovo lavoro con ben quattro minuti di anticipo.

Abbandono l'auto nel primo posto libero del parcheggio sotterraneo dedicato ai dipendenti e corro a prendere l'ascensore che mi porterà direttamente al quinto piano di questo palazzo, proprio dove si trova il mio nuovo ufficio.

Durante la salita cerco di controllare il respiro, sistemo i capelli e mi liscio il vestito ma, soprattutto, cerco dentro di me la sicurezza e la determinazione che da sempre mi contraddistinguono. Quelle che mi hanno permesso di arrivare sin qui, fiera ed orgogliosa di ciò che sono oggi, nonostante le tante situazioni difficili che ho dovuto superare negli anni e che avrebbero potuto abbattermi.
Quando le porte dell'ascensore si aprono mi sento pronta a tutto.

La receptionist mi accoglie con un sorriso sincero, di quelli che ti mettono subito a tuo agio. L'orologio alle sue spalle indica le 8.30 precise: non sarò in anticipo, ma non si può nemmeno dire che io sia in ritardo e considerando com'era iniziata la giornata è già una grande conquista.
Senza perdere tempo mi accompagna dal grande capo il quale, dopo aver lasciato sbrigare tutte le pratiche per la mia assunzione ai suoi collaboratori, la mattina del mio primo giorno di lavoro ha evidentemente deciso sia giunto il tempo di incontrarci.

Vengo accolta in una stanza grande e luminosa, le cui vetrate affacciano su un parco che in primavera dev'essere meraviglioso.
Anche oggi ha il suo fascino, nonostante gli alberi siano spogli e i cespugli privi di fiori essendo il sette gennaio, primo giorno di lavoro dopo la chiusura natalizia.

Un attraente uomo di mezza età mi aspetta seduto sulla sua comoda poltrona. È concentrato a leggere dei documenti ma, non appena la ragazza che mi ha fatto strada fin qui annuncia il mio ingresso, lui alza lo sguardo.

"Prego, si accomodi signorina White."
Mi indica una seggiolina di fronte alla sua scrivania su cui mi accomodo dopo avergli stretto la mano in modo fermo e deciso.
Lo osservo.
Non so per quale assurda ragione ma quest'uomo ha un'aria familiare, eppure sono certa di non averlo mai incontrato prima d'ora, è un uomo abbastanza influente a New York, me ne ricorderei senza dubbio.

"Benvenuta. Io sono Robert Blunt, il proprietario e Direttore Generale dell'azienda. Come sa è stata assunta nel ruolo di segretaria personale di mio figlio."
Ha un'aria seria, molto professionale.
"Da quest'anno gli ho proposto di occuparsi in autonomia di alcuni nuovi progetti. Ha quindi bisogno di un'aiutante affidabile, laboriosa e instancabile."

Mi spiega le mie mansioni, i miei compiti, ciò che si aspetta da me. È preciso, meticoloso e, intuisco, molto esigente. Dev'essere uno di quei datori di lavoro che mette l'anima in ciò che fa e pretende lo stesso impegno dai suoi dipendenti.
Per quanto io mi ritenga brava nel mio lavoro temo non sarà una passeggiata integrarmi qui perchè, come forse avrete capito, nella vita sono disordinata, un po' casinista e tendo a fare le cose a modo mio. Ma la maggior parte delle volte mi ritrovo nel mio caos. Giuro!

Il telefono sulla scrivania del grande capo squilla all'improvviso.

"Mio figlio è arrivato. Glielo presento e poi vi lascio al vostro lavoro."

Sento la porta aprirsi e mi volto curiosa di conoscere finalmente il mio diretto superiore, la persona con cui dovrò passare buona parte delle mie giornate, con cui dovrò collaborare e trovare un punto d'incontro. La persona che dovrà sopportare le mie stranezze e convivere con il mio disordine cronico.

Ho un colpo al cuore.
Le mie mani iniziano a sudare mentre l'aria attorno a me si fa all'improvviso soffocante, come se qualcuno avesse prosciugato tutto l'ossigeno. Ho un leggero capogiro, la vista mi si appanna per qualche secondo, ma afferro saldamente i braccioli della sedia per non farlo notare e, al contempo, cercare di riprendere il controllo.

Pronta a tutto, avevo detto, ma questo non l'avevo considerato.
Pronta a tutto, avevo detto, ma a questo forse no.















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