Capitolo 2

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Alexander

Se qualcuno mi dovesse chiedere di spiegare l'amore, non saprei farlo. Potrei rispondere con le solite frasi sentite e risentite, ma darei una visione totalmente oggettiva della questione. Il punto è che, anche volendo, anche impegnandomi, non riuscirei a dare una risposta che parte dal cuore. A stento credo di averlo, un cuore.

Sono cresciuto in una famiglia in cui vigeva un solo sentimento: il rispetto.

Figlio di Peter Moore, uno dei mafiosi più pericolosi in zona, la mia infanzia e la mia crescita sono riassunte in due singole parole: soldi e crudeltà.

Mio padre ha cresciuto me e i miei fratelli con la mentalità da gangster. Rispetto, orgoglio, crudeltà, insensibilità e ambizione. Questo ci impartiva da quando eravamo ancora in fasce. D'altronde nostra madre non ha fatto nulla per evitarlo. Totalmente succube di suo marito, è finita per fare da sfondo a sé stessa. Eppure, i primi ricordi che ho di lei sono di una donna bellissima e dolce, premurosa e attenta, felice e appagata. Ma dopo quella fatidica notte, nulla è più stato lo stesso.

La notte in cui il potere di mio padre si è ridotto al minimo, ed espugnato in seguito. La notte in cui uomini con pistole e coltelli hanno fatto piazza pulita delle mie guardie del corpo e di tutte le persone che lavoravano per mio padre. La notte in cui, noi Famiglia, siamo stati privati del nostro orgoglio, della nostra vita.

Avevo solo due anni quando mi portarono via tutto. Due anni e ricordo ancora lo sguardo di mio padre che gridava vendetta, mentre stringeva il corpo esanime del suo più fedele amico, morto per colpa di una pistola. La rabbia e il dolore si mescolarono sul suo volto rendendolo privo di qualsiasi emozione umana. La furia dilagava nel suo animo giorno dopo giorno, mentre architettava e perdeva la salute dietro la sua sete di giustizia.
È ironico pensare che un mafioso come lui chiedesse giustizia, e probabilmente non è quel tipo di giustizia che una persona intenderebbe. Affatto. Lui voleva il sangue del suo carnefice personale e non si sarebbe fermato per niente e nessuno al mondo.

Da quella notte mi prese come suo allievo e mi insegnò tutto ciò che c'era da sapere e da fare per essere un vero capo. E lo stesso destino capitò a mio fratello gemello, Enea, e a quelli nati dopo: Tancredi ed Eros. Ma ero io il prescelto. Non so cosa avessi in più di Enea. D'altronde quando decise il suo erede avevamo solo due anni e nonostante l'essere eterozigoti, non ci distinguevamo in nulla. Ma quando mio padre mi guardò negli occhi, quella notte, mi scelse.

Venticinque anni dopo l'accaduto, sono io a portare il fardello di questa famiglia. Mio padre è morto di crepa cuore solo quindici anni dopo, non prima però, di essersi battuto per riavere ciò che apparteneva alla nostra famiglia da generazioni. Mia madre lo seguì poco dopo. Non fu un padre amorevole ed esemplare. Mi modellò a sua immagine e somiglianza, rendendomi migliore di lui. Io non dovevo perdere. Non potevo perdere. Non avrei dovuto fare la sua fine. Dovevo riscattare lui e la sua famiglia. Dovevo riscattare l'onore dei Moore.

E che le fiamme dell'inferno possano bruciarmi ora e adesso, se non è quello che farò.

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Enea, diventato il mio braccio destro, mi si affianca e mi passa una tazza di caffè.

Sono seduto sul terrazzo del nostro attico in città, godendomi i primi raggi di sole che New York offre.

"Niente notizie sui giornali. La stampa non sta parlando di nessun atto vandalico tenuto l'altra notte".

Non mi sorprendo neanche un po'. È risaputo che i Rodriguez, o dovrei dire, LE Rodriguez hanno i detective di tutta la city sulle loro buste paga.

Isabella Rodriguez ha preso il posto del padre dopo la sua morte, esattamente come ho fatto io. La sua fama da tigre spietata e indomabile la precede, ma non mi fa paura. È una donna in un mondo di squali. Cadrà a picco con tutto il suo impero, per mano mia. Avrei potuto attaccare tre anni fa, subito dopo il fattaccio, ma ho deciso di lasciarle tempo. Di farla ambientare, di farle credere che noi non costituiamo alcun pericolo e poi al momento opportuno, accendere il fuoco con tutte le forze necessarie. Nel frattempo ci siamo rafforzati, abbiamo creato e costituito contatti, ci siamo ampliati. La mafia Rodriguez predomina ancora New York, ma i Lions ora sono scesi sul campo di battaglia e sono pronti a sguainare le spade. Il primo avvertimento è stato distruggere il locale di preferenza della famiglia. Il Lux. È risaputo quanto sia importante per loro, essendo un locale dedicato alla madre defunta. Ammetto che un leggero senso di colpa mi abbia sfiorato lo sterno quando ho constatato che di quel bellissimo pub non erano rimaste che macerie, ma è durato solo un millesimo di secondo. Quindi un bel niente.

"Non darti pena fratello. Il colpo l'hanno incassato, ora vedremo che mossa faranno. Piuttosto, notizie da Tancredi?"

Tancredi è il cervellone del gruppo. Un QI più alto della media, a 24 anni ha scalato le migliori vette della società grazie al suo carisma e la sua intelligenza. Contribuisce negli affari come segugio, come cacciatore di taglie. Niente scappa al suo occhio attento o al suo orecchio sempre in ascolto. Nessun dettaglio, nessun particolare.

"Ancora nulla. Sta stagliando più piste per avere il quadro completo di queste Royal stars".

Ho chiesto a mio fratello Tancredi vita, morte e miracoli delle quattro sorelle Rodriguez. Voglio sapere tutto delle loro esistenze, dal loro primo respiro fino all'ultimo pasto. Voglio scovare i punti deboli, intrufolarmi e annientarli. Royal stars, così si fanno chiamare ed è anche il loro stemma. Una costellazione formata da quattro stelle. Vorrei proprio vedere se assomigliano a delle stelle, però. Nessuno ha una loro foto. Raccontano della loro incredibile bellezza, ma nessuno può dimostrarlo. Il loro fascino è una leggenda, ed io ho smesso di credere alle storie della buonanotte da quando avevo sei mesi. Io, le voglio guardare in faccia, voglio i loro occhi puntati su di me e i miei puntati su di loro. Ma soprattutto, voglio il collo di Isabella Rodriguez tra le mie mani.

Una sedia strida contro il pavimento, e il piccolo di casa ci si siede sopra. Eros. Amore. Mia madre gli ha dato questo nome e ancora non capisco perché, dato che di amore non si è sentito mai neanche il profumo in quella casa.

"Qui qualcuno ha fatto le ore piccole..", lo schernisce Enea.

"Tu invece non le fai da troppo tempo, fratellone".

"Ho avuto anche io 23 anni, e sinceramente non mi mancano proprio".

"Neanche a me mancherebbero se vivessi la mia vita come tu hai vissuto la tua".

Eros non fa parte della cerchia, o meglio, non a pieno titolo. È il nostro jolly, che usiamo quando ci serve. Nel tempo rimanente sorveglia e porta avanti i locali di nostra proprietà. Fa un ottimo lavoro, e a me basta così.

"Smettetela voi due. È troppo presto per fare da arbitro".

"Cazzo ho bisogno di una doccia e di una dormita di dodici ore".

"Tutto bene ai locali?" mi informo.

Eros mi guarda con sufficienza, come se sotto il suo comando qualcosa potesse andare storto.

"Sono qui a lamentarmi di qualcosa?" chiede.

"No". Rispondo, sapendo già dove vuole andare a parare.

"E allora non rompermi i coglioni".

Si alza dalla sedia stiracchiandosi, ed è così che ci accorgiamo di una fasciatura all'addome.

"No ma fattelo un altro tatuaggio, eh". Enea è proprio puntiglioso quando ci si mette. Per lui i tatuaggi non dovrebbero esistere. Macchiano la bellezza o cazzate del genere.

"E tu rompile le palle un altro po', eh".

Enea si alza con un sorriso sghembo sul viso.

"Cos'è, non le provi già abbastanza? Vuoi che ti dia una ripassata?"

Eros fa un mezzo sorriso e si mette sull'attenti.

"Vieni qui nonnino. Vieni a vedere come ti sculaccio".

Enea non se lo fa ripetere un'altra volta.
Ed ecco che la mattinata può iniziare. Io che mi fumo la mia sigaretta mentre leggo il giornale, ed Enea e Eros che fanno la lotta.

È vero, amore in casa non ce n'è mai stato. Ma il bene tra noi fratelli è qualcosa che supera l'amore stesso. Moriremmo l'uno per l'altro. Siamo la spalla e l'ombra altrui. Siamo tutto quello che abbiamo. Tutto ciò che è importante. Siamo i Lions. I fottuti re di questo mondo.

D'Amore e D'Odio Where stories live. Discover now