Capitolo 17

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Alexander

"Mi spieghi cosa cazzo è successo ieri da renderti così?"

Eros si siede sul divano di pelle, guardandomi.

"Niente che ti debba interessare".

Da quando ho lasciato la villa di Isabella, i miei occhi sono scuri e il cuore non smette di battere per l'adrenalina. La rabbia nell'aver constatato che Isabella aveva appena fatto sesso con quel detective, non mi ha lasciato per un secondo. Il solo pensarci mi fa imbestialire ancora di più. Il motivo? Non so neanche io qual è. So solo che appena sono entrato in quell'ufficio e aver visto Isabella con aria trafelata e le guance rosse, ho fatto due più due.

Avrei dovuto intuire qualcosa dal comportamento di Dimitri. Era troppo cordiale e più volte mi intimava di accelerare il passo per raggiungere la porta. Così, qualcosa è scattato nella mia mente, e non ho pensato neanche a fermarmi e bussare. Sono entrato come una furia, e come una furia ne sono uscito.

Cazzo! Ora anche il detective si piazza tra me e Isabella. Non bastava il damerino di turno.

Mi alzo dal divano e mi dirigo in cucina. È da ventiquattro ore che bevo, ma le mani di quell'uomo sulla pelle di Isabella, o le sue labbra che premono su quelle della mia tigre fanno capolino nella mia mente, e così il terzo bicchiere della giornata viene lanciato in frantumi contro il muro.

Enea, Tancredi ed Eros entrano in cucina, assistendo ad un'altra scenata delle mie. Sanno che quando sono incazzato come una bestia devono lasciarmi stare e farmi sbollire, e il fatto che non abbia preso la macchina per raggiungere una qualsiasi spiaggia, significa che neanche l'oceano ora può calmarmi.
Mi prendo il viso tra le mani, e inizio ad urlare.
Cosa mi sta succedendo? Perché reagisco così?
Sento gli occhi dei miei fratelli osservarmi, e la cosa non fa che rincarare la dose.

"Che cazzo avete da guardare?".

Voglio fare a botte. Oh si, voglio prendere e tirare pugni. Voglio sfogarmi a modo mio. Voglio vedere sangue e graffi. Pugni e calci.
I miei fratelli arrivano alla mia stessa conclusione, e tirano a sorte. Tocca ad Enea.

"Ti prometto che non rovinerò il tuo bel faccino" lo provoco, non ricevendo però risposta.

In compenso, si posiziona in difesa, con i pugni in alto.
La nostra lotta dura giusto due minuti, il tempo di riempirci di botte. Qualche tumefazione al viso, niente di grave. Enea ha cercato di colpire punti poco sensibili ed io ho fatto lo stesso. Sono incazzato si, ma non è a lui che voglio far male.

Ci rialziamo da terra, dandoci il cinque. Nessun dissapore. Solo due fratelli che si sono menati, neanche troppo forte, per scrollarsi lo stress di dosso.
Non ho il tempo di prendere un bicchiere nuovo per riempirlo, che il campanello suona. Ci guardiamo tutti, dato che non aspettavamo visite. Mi incammino verso la televisione, mettendo il canale in cui ho la visuale di tutte le telecamere presenti nell'attico. Premo per visionare le telecamere fuori, e quattro immagini in bianco e nero compaiono sullo schermo.
Una figura è davanti alla porta. Una figura che riconoscerei oramai in mezzo a mille. Guarda dritta alla telecamera, alzando il dito medio.
Ora si che sono calmo. Ora si che mi diverto.

Ordino agli altri di filarsela. Questo è uno scontro senza pubblico. Uno scontro ad armi pari, dove tutto è concesso. Già lo so. Già lo prevedo. Uno scontro all'ultimo sangue.
Apro la porta, e come ogni testa di cazzo sulla terra, dico la prima cosa che mi salta in mente.

"Isabella, qual buon vento".

D'Amore e D'Odio Where stories live. Discover now