Capitolo 3

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Isabella

Sedute al tavolo, ognuna al suo posto, attendiamo che la piccola di casa ritorni dal suo giro di controllo. Se ci sentisse chiamarla ancora in questo modo, andrebbe su tutte le furie. Non capisce però, che noi non la consideriamo più "piccola" da quando ha messo da parte le sue ambizioni e ci ha promesso fedeltà eterna.
Ricordo ancora di come i suoi occhi diventavano ancora più luminosi quando sognava di essere un medico. Ognuna di noi avrebbe voluto essere tutt'altra persona, ma evidentemente le cose dovevano andare così.

Astrid, seduta al mio fianco, non fa che muovere la gamba nervosamente. Invano hanno tentato lei e Persefone di farmi parlare, cercando di estromettermi qualsiasi dettaglio, ma io sono un osso duro.

"Smettila con la gamba. A momenti crolla il tavolo. Te l'ho già spiegato, odio ripetermi quindi aspetteremo Odette".

Come se l'avessi chiamata, fa la sua entrata con uno sguardo un po' preoccupato.

"È successo qualcosa?" mi informo immediatamente.

"Non saprei. Stavo catalogando i quadri che ci ha inviato Ramirez ed uno in particolare mi è saltato all'occhio".

"Di che quadro si tratta?"

"È un Monet. I Papaveri"

"E cosa non ti convince?"

"Ad una visione superficiale mi è sembrato autentico, ma guardandolo più attentamente ha qualcosa che non mi convince. Il che mi sembra strano, perché Ramirez non ha mai inviato dei falsi, non è uno stupido".

"Credi di poter risolvere la questione quanto prima?"

"Assolutamente sì. Questa sera farò delle ricerche più approfondite, e già domani mattina mi metterò all'opera".

"Ottimo Odette".

Chiamo Josephine, la nostra cuoca, e le dico che siamo al completo e che può portare la cena. Oggi il piatto della serata è pollo con purè di patate, carote e sedano. Gnam.
Nei calici ci versiamo del buon vino per stemperare la tensione. Tutte sanno del perché le ho convocate d'urgenza. Significa una sola cosa: guai.

"Inizierò a parlare, per il bene di Astrid e soprattutto per il tremolio del tavolo".

Quest'ultima mi fa il verso, ma mi lascia continuare.

"Due giorni fa hanno distrutto il Lux".

Silenzio. Occhi verdi e celesti mi inchiodano, rendendo a disagio persino me. Il Lux è il nostro locale. Il locale di nostra madre. Chi lo tocca, è morto.

"Chi, ha, osato".

Persefone è furiosa, e le altre due non sono da meno. Come biasimarle. Sono sul piede di guerra anche io. Ma c'è un motivo se a capo di tutto, mio padre ha scelto me. Al contrario delle mie sorelle, io ho il sangue freddo. Fin dalla tenera età.

"Vi ricordate quella famiglia che ci ha dato parecchio filo da torcere, mettendoci il bastone tra le ruote?"

"Mmhh, ricordo qualcosa. Mi pare avessero come stemma un lupo, no un serpente" inizia a dire Persefone.

"Magari uno squalo, o forse era un pesce?" si intromette Odette.

"Un leone". Astrid mi guarda e capisco che lei ricorda. D'altronde siamo le più grandi. Noi abbiamo vissuto a pieno l'ira di nostro padre.

"I Lions. La famiglia Moore", continuo "dopo la morte di Peter, gli è succeduto il figlio maggiore, Alexander".

"Eppure ricordo che avesse un gemello, un certo Enea se non sbaglio".

"Non sbagli Astrid, ma il prescelto è stato Alexander".

"E questo che vuole? Calci in culo?"
Persefone è fatta così: si scalda e inizia a scalpitare.

"Odio passare per ignorante, ma ho bisogno di una rinfrescata", ci informa Odette, arrabbiata con sé stessa per questa mancanza di ricordi.

È Astrid a prendere parola.

"La famiglia Moore non si è mai arresa al potere di nostro padre. Quando fece piazza pulita, il suo ultimo colpo fu al più potente di tutti, Peter Moore. Ma lui non accettò la sconfitta e ci fece la guerra in tutti i modi possibili. Inutile dirti che papà lo sconfisse ogni, santa, volta. Peter aveva quattro figli. Alexander ed Enea, poi Tancredi ed infine Eros".

Odette passa gli occhi da Astrid a me, al suo capo.
È a me che fanno le domande.

"Cosa vogliono, Bella? Vendetta?"

Bevo un sorso di vino, e mi preparo al caos che da qui a pochi secondi si accenderà.

"Vogliono la guerra".

Per parecchi minuti il silenzio incombe su di noi. Nessuno fiata, ma vedo le narici delle mie sorelle aprirsi come quelle di un toro, e i pugni ben saldi e chiusi sul tavolo. Le mie guerriere.
Prima che io possa prendere parola, Dimitri entra nella sala da pranzo, non distogliendo gli occhi da me.

"Isabella. Ti devo parlare".

Capisco dal suo tono di voce che qualcosa di grave è successa, e mi rendo conto che la scelta più sensata sarebbe quella di farmela dire in privato, ma ormai le mie sorelle sanno. Sono le mie compagne, la mia famiglia.

"Prendi posto, Dimitri".

"Ma Bella, ho detto..."

"Siediti". E il mio tono non ammette repliche.

"Parla. Arriva subito al dunque. Prevedo una notte lunga".

Dimitri non si scompone della mia autorità. Sa che sono il capo, anche se donna. Sa quanto sono forte e spietata. Sa di cosa sono capace. Me l'ha insegnato lui.

"Uno dei nostri magazzini è stato saccheggiato. Hanno rubato droga e qualche moto, nulla di più. Inutile dirti chi sono i colpevoli".

Astrid, Persefone e Odette iniziano ad imprecare, sbattendo qualunque cosa trovino per le mani.
Io resto seduta. Ferma. Fissa a guardare la mia guardia del corpo, il mio amico. E, sorrido. Oh, eccome, se sorrido.
Persefone si ferma, e mi guarda.
Astrid smette di urlare, e mi guarda.
Odette lascia cadere il coltello, e mi guarda.
Hanno capito. Sanno. Conoscono il sorriso. È lo stesso di mio padre, quando distrusse i suoi rivali. Il sorriso del vincitore.

Guai a chi osa imbattersi sulla strada di un Rodriguez. Guai a chi osa farsi beffe di lui. Guai a chi osa provocarlo.
Il sorriso non lascia la mia faccia e contagia il resto dei presenti.

"Persefone, sguinzaglia quei cazzo di cani".

Se è la guerra che vogliono, guerra avranno.

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