Capitolo 46

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Alexander

Un figlio. Ho un figlio.
Isabella ha un bambino in grembo. Mio. Il mio bambino. Mio figlio.
Io, padre.

È questo il ritornello che ripeto nella testa mentre mi addentro per il bosco quieto, aspettando un ordine dalla madre di mio figlio.
Io e ed Eros siamo in avanti rispetto agli altri dato che tocca a noi entrare nel bunker e salvare Odette. Dovrei essere concentrato, studiare la procedura, trovare i punti ciechi, osservare il movimento delle guardie, ma tutto ciò a cui riesco a pensare è che presto sarò padre e che, al mio fianco, non avrò la donna che amo.
È così che saremo, quindi? Due genitori separati? E di chi è la colpa? Mia, ovviamente.

Scuoto la testa per cacciare via questi pensieri. Ora più di tutto, devo pensare ad Odette. Isabella è stata chiara anzi, cristallina: nessun errore è concesso. Nonostante il tradimento, sta affidando la vita di sua sorella nelle mie mani. Non è forse questo, amore? O stupidità? E che differenza c'è tra le due cose?

"Smettila di pensare. Sento il tuo cervello andare in fumo".

Eros al mio fianco, è inquieto. La donna che ama è intrappolata a 30 metri da lui. Non so come riesca a stare fermo e attendere il momento giusto. Al suo posto, starei già dando di matto.

"Scusami tanto se ho scoperto solo due ore fa che sono padre".

Appena rientrato a casa ho comunicato la buona novella ai miei fratelli. Sgomentati e sorpresi, mi hanno dato le congratulazioni, ma sanno che è una strada tutta in salita quella che mi aspetta.

"La sorella di Isabella è rinchiusa in quel cazzo di bunker. Vuoi vedere tuo figlio? Salvale il culo".

"Approvo".

La voce di Isabella fuoriesce dagli auricolari, segno che sta ascoltando tutti i nostri discorsi. Fantastico. Veramente fantastico.
Eros mi lancia un'occhiataccia ed io rispondo con il dito medio. Ritorniamo ad essere concentrati, questa volta per davvero, e iniziamo a tracciare il percorso da seguire per passare inosservati agli occhi delle guardie. Il bunker si trova sotto terra. La porta è di metallo resistente, ma aperta. Una fioca luce proviene da laggiù. Spero con tutto il cuore che non abbiano torto un capello a Odette, altrimenti la furia e l'ira di Isabella saranno micidiali.
E anche la mia.

"Ragazzi, entrate in azione. Tra poco gli Esposito torneranno e ci saranno molte più guardie e uomini a cui badare".

Succede tutto in una frazione di secondo.
Eros ed io sbuchiamo dal nulla, iniziando a correre come se avessimo il diavolo alle calcagna.
Una guardia ci nota e impugna il mitra mentre richiama l'attenzione degli altri uomini ma Enea, David e Tancredi iniziano a fare fuoco, coprendoci da loro. Le sorelle Rodriguez sbucano dai lati, dando man forte al resto del gruppo.

Arriviamo all'entrata del bunker e mi butto dentro. Non aspetto direttive, non studio in poco tempo come salvare Odette, semplicemente mi ci fiondo, pregando che dentro non ci siano altre persone. Atterro sulle gambe, ringraziando mentalmente il mio istruttore per avermi insegnato a cadere sempre in piedi da svariate altezze. Come immaginavo, mi trovo in una stanza vuota con una lampadina semi accesa attaccata al soffitto. L'odore di muffa e fumo mi inebria i polmoni. Odette è seduta su di una sedia con le braccia legate dietro e uno strappo di nastro adesivo a tapparle la bocca. Non alza la testa ed io prego sia solo svenuta.

"Alexander, dì qualcosa".

La voce preoccupata di Isabella mi riporta alla realtà. Prima di rispondere, agisco. Raggiungo la sedia e con una mano alzo lentamente il volto di Odette. Ha gli occhi chiusi e il viso leggermente tumefatto, ma respira. È viva.

"È viva" ripeto ad alta voce. È viva.

Isabella caccia via il respiro che stava trattenendo.
Dopo aver slegato anche le braccia, cerco di svegliare Odette così da poterla portare fuori. L'unica uscita è la stessa da cui sono entrato e non posso prenderla in braccio.
Il rumore di proiettili e spari riecheggia fuori, facendomi dedurre che lo scontro non sia ancora finito. Potrei chiamare Eros e passargli il corpo di Odette tra le braccia, sarebbe l'unica soluzione applicabile.

Prendo il corpo debole fra le braccia, attento a posizionare la testa nel modo giusto.
Faccio una breve revisione del suo corpo per constatare ferite o abrasioni. Nulla di grave, solo qualche graffio sulle braccia, probabilmente recato mentre si difendeva.

"È una guerriera come la sorella", sussurro.

Spero che la mia voce sia arrivata a chi di dovere.

La risposta non tarda ad arrivare.
"Anche di più".

Urlo il nome di mio fratello e dopo una frazione di secondo, lo vedo affacciarsi, rosso in viso.

"Ti passo Odette. Ce la fai a portarla nel furgone?"

"Solo se mi copri le spalle".

Annuisco mentre gli porgo la sua amata.
L'espressione di Eros è inspiegabile. Amore, terrore, paura, sollievo, ansia, dolore, rabbia. Un susseguirsi di emozioni sul suo viso ma, quando Odette è al sicuro sul suo petto, un unico pensiero comanda il suo spirito. Proteggere colei che ama.

Inizia a correre, coperto dalle sorelle Rodriguez e dai fratelli Moore.
Vedo il suo culo sfrecciare verso il bosco e un sospiro di sollievo esce dalla mia bocca.

"È salva Isabella. È salva".

Sento le lacrime uscirle e rigarle la faccia.
Mi isso sulle braccia e inforco immediatamente la pistola.
Enea e Tancredi coprono le spalle di Astrid e Persefone. David e gli uomini di Isabella circondano il territorio, uccidendo chiunque non faccia parte del giro.

"Che Dio sia lodato!", sospira nel microfono. Il tono di voce è più leggero, anche se ancora preoccupato. "Ora portate i vostri culi sotto quest.....".

Un suono.
Un colpo.
Bruciore. Dolore.
Urla, grida e polvere.
Buio. Nebbia. Fischi nelle orecchie.

Cado a terra.
Non sento niente, i miei muscoli sono intorpiditi.
Mi fa male il petto, all'altezza del cuore.
Sento il mio nome urlato, gridato, tuonato.
Non riesco a muovermi.
Non riesco a parlare e faccio fatica anche nel respirare.

Gli occhi iniziano a chiudersi, il fiato viene meno e il pensiero della morte sopraggiunge, togliendo quella poca forza che ho nel corpo.
Il mio pensiero va subito a lei e poi, a nostro figlio.
Non lo vedrò nascere, crescere, diventare uomo o donna. Non vedrò i suoi occhi, non sentirò la sua voce e non riuscirò a scorgere i suoi pensieri. Non penserò "è uguale a sua madre". Non veglierò le notti e non imprecherò dando punizioni.
Non proteggerò più la mia donna, la mia tigre. Non vedrò più i suoi occhi, non assaggerò le sue labbra, non toccherò il suo corpo.
Ma un'ultima cosa, devo farla.

Prima di esalare l'ultimo respiro, dico ciò che il mio cuore urla a gran voce da tempo.

"Isabella, ti amo".

Poi, la fine.

D'Amore e D'Odio Where stories live. Discover now