Capitolo 28

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Alexander

Io so.

So dei microfoni situati in ogni parte della casa. So delle telecamere nascoste nei punti ciechi di ogni stanza e ancor di più, so che Isabella o chi per lei, segue ogni singolo movimento mio e dei miei fratelli da qualche ora a questa parte. Tancredi ci ha informato dei sensori attivati quando gli uomini di Isabella si sono intrufolati nel nostro attico per compiere il lavoro. Non posso biasimarla. Al suo posto, avrei fatto lo stesso. Eppure una piccola parte di me ne risente di questa mancata fiducia.

È da mezza giornata che insceniamo calma e tranquillità. Non possiamo parlare d'affari qui, data la situazione, così cerchiamo di non dare a vedere il nostro stato d'animo irrequieto, fingendo normalità. Enea mi affianca, portandosi un bicchiere di whisky alla bocca. Appena saputo del fatto, abbiamo creato una specie di copione da seguire, così da far cadere nella trappola Isabella e non farle sospettare nulla.

"Allora fratello, mi dici cosa succede con la Rodríguez? Non ti ho mai visto in queste condizioni". Insieme alle parole dobbiamo fingere anche sguardi e movimenti. Non deve trapelare nulla.

"Cosa vuoi che ti dica? Quella donna mi è entrata in testa".

Prendo un bel respiro, come se questa constatazione mi fosse pesata dirla.

"Sbaglio o è da un po' che è così?".

"Non sbagli".

"Sei fottuto, insomma".

Mi alzo, iniziando a camminare avanti e indietro. Ho finto anche durante la chiamata con Isabella. Dentro di me, però, so che in qualsiasi altra circostanza, il mio comportamento non sarebbe risultato diverso. Sentire la sua voce ha un effetto strano su di me.

"Non lo so, Enea. So chi sono e cosa sono, ma quando lei mi è vicino non riesco a pensare".

Prima freccia.

"Così dannatamente bella, intelligente, coraggiosa, tenace, determinata".

Seconda freccia.

"Per non parlare dei suoi occhi. Lo sai che ho dovuto pensare a lei, per raggiungere l'orgasmo?".

Terza freccia. Pronti per lo scocco finale.

"Alexander, mi stai dicendo quello che mi stai dicendo?".

Faccio passare un paio di minuti, dove Enea finge di essere spaesato, stupito e incazzato.

"Mi sono innamorato di lei".

Da un occhio esterno o anche dall'occhio stesso di Enea, potrei sembrare convinto delle mie parole. Mio fratello sa che sto fingendo, ma io? Perché quando ho detto quelle parole, il mio petto si è come liberato? Perché la mia lingua non si è accapponata su se stessa? Perché la mente mi ha suggerito subito quello che dovevo dire? Enea prende il mio silenzio come un assenso alla sua rabbia e continua con la scenetta, ma la realtà è che sono davvero basito. Da me stesso.

Un'ora dopo, Tancredi ed Eros sono venuti a sapere delle mie parole, fingendo a loro volta la rabbia per questa mia debolezza.
La certezza della nostra riuscita, però, è arrivata quando un messaggio di Isabella ha confermato il nostro incontro nel suo ufficio. Io e lei, da soli.

Ho capito fin dall'inizio che ha cosparso di cimici e telecamere la casa per provare la mia fiducia. Se non avessimo avuto quei sensori, probabilmente saremmo caduti nel suo tranello, smascherando le nostre intenzioni. Fortunatamente, è accaduto il contrario.

Entro nella mia Bugatti e metto in moto. Un'emozione simile al senso di colpa mi attanaglia le viscere ma non ci faccio caso. Ho raggiunto il mio obiettivo. Isabella Rodríguez è cascata nella mia ragnatela. Ora ho la sua fiducia. Così non fosse stato, non mi avrebbe chiesto di raggiungerla. So quali sono i codici. So che, se avessimo detto qualcosa di sospettabile, l'appuntamento si sarebbe svolto nei sotterranei e non nel suo ufficio. Non è ancora detta l'ultima parola, certamente, ma so che è così. Dalle nostre bocche non è trapelata nessuna informazione e i nostri comportamenti sono stati esemplari.
Corro come un matto per le vie di New York, con l'unico desiderio di vederla.

Che stia per andare incontro ad una vittoria o al patibolo, però, ancora non lo so.

D'Amore e D'Odio Where stories live. Discover now