Capitolo 20

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Isabella

Alcune gocce di pioggia si infrangono sul mio viso. È domenica mattina e il tempo rispecchia in pieno il mio stato d'animo: tempestoso. Nuvole grigie cariche di pioggia coprono New York, rendendola grigia, fredda e triste. O forse sono io, così. Lo sono da quando ho lasciato casa Moore, rifugiandomi nella mia sicurezza e nella mia immancabile abilità di rimandare i pensieri contorti.

Ma adesso, in piedi sul balcone di camera mia, sotto la pioggia costante e ghiacciata, tutti i pensieri incanalati e rinchiusi, escono liberi. Danzano nella mia mente in giravolte e capriole, dandomi la nausea.

Cosa ho fatto.

È questo il ritornello che ripeto da un'ora. In che gioco sono andata ad immischiarmi e soprattutto, perché ho creato regole che adesso si stanno ritorcendo contro di me? Non avrei mai dovuto intrecciare la mia vita con quella di Alexander più di quanto già non lo fosse. Sono stata stupida e avventata, credendomi invincibile. Ho sempre tenuto a bada i miei sentimenti e il mio cuore batteva forte solo in mezzo ad una sparatoria. Ma ora questo cuore traditore batte al solo suono della sua voce ed io non posso fare nulla, se non ammettere a me stessa, che Alexander mi sia entrato dentro più di quanto creda o più di quanto voglia, far credere. L'arma a doppio taglio che era il mio gioco mi ha colpito, lasciandomi una ferita aperta che non si cicatrizzerà. Sono passati pochi giorni dall'ultimo incontro, il famoso incontro, e sento ancora le sue mani su di me. Il tocco dei suo baci e il sapore della sua pelle. Tutto in me rivive e rinasce. E si ripete.

Le gocce di pioggia continuano a cadermi sul viso, bagnandomi completamente. Mi sento nuda sotto questo cielo. Spero che gli occhi di mio padre e di mia madre mi stiano guardando con amore. Apro le braccia, come in attesa di un loro abbraccio e calde lacrime si mischiano alle gocce fredde. Il mio corpo trema e non per il fresco. Una crisi di pianto esplode nel mio petto e mi accascio a terra. Non urlo. Non grido. Semplicemente, piango. So di averli delusi.

Delusione. L'unica emozione che non avrei mai voluto vedere nei loro occhi e nei miei. Eppure, so che è così. Mi sono innamorata del nemico e non posso far nulla. È successo, e basta.

Quando ci sono arrivata? Poco per volta. Analizzando e rimettendo al proprio posto tutti i pezzi, ho capito che mi ero innamorata di Alexander fin dal primo istante. Fin dal primo sguardo. Fin dalla prima sfida. Una donna normale sarebbe felice di questa scoperta, ma come ho sempre detto, 'normalità' non fa parte del mio vocabolario. Mi prenderei a schiaffi da sola, se solo servisse.

Ho invitato Alexander e i suoi fratelli alla cena di questa sera. Parteciperanno altre persone con cui siamo in affari ed è il momento opportuno per introdurre la famiglia Moore nella cerchia. Dimitri mi ha consegnato la conferma di partecipazione stamane, rendendo il mio umore ancora più uggioso.

Decido di rientrare. Non voglio prendermi un malanno e piangermi addosso non mi è mai piaciuto. Lascio i vestiti e le scarpe fuori, dirigendomi verso la doccia. Quando apro la porta del bagno, il mio riflesso mi saluta. Occhi gonfi e volto stanco predominano nello specchio. Ho sempre odiato vedere le persone deboli. Per me reagire al dolore è il primo passo per essere invincibile e solo questa idea mi ha dato forza dopo la morte dei miei genitori. Questa idea e le mie sorelle. Ma lo specchio rimanda una persona che non riconosco. Una persona vinta dalle proprie emozioni. Una donna che si è arresa ai suoi sentimenti e che non ha le forze per combatterle. O la voglia.

Ho donato il mio cuore al nemico. Questo, invece, è il primo passo verso la fine.

Quinta regola dell'esser capo: non lasciare che vincano al tuo stesso gioco.

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