8 Ammiro un supermercato

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La vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità. Apre tutte le porte e voi potete passare per quella che preferite.
JIM MORRISON

Il telefono inizia a vibrare. Lo accendo e rispondo. <Pronto, con chi parlo?> dico trattenendo uno sbadiglio.
Ok, così sembro proprio una vecchietta.

<Ginny, sono io> risponde Annabeth. Riconosco subito il suo timbro dolce di voce, ma adesso ho voglia di prenderla in giro.

<Io chi? Babbo Natale o il pizzaiolo? In entrambi casi una Margherita grazie> la sento ridere.

<Il motorino si è rotto, di conseguenza niente pizza a domicilio> sta al gioco lei. <Se vuole però può prendere la sua Margherita sempre da noi sta sera>

<Mi sembra una proposta a dir poco perfetta>

<Perfetto. Ti passo a prendere tra mezz'ora. Vestiti carina ti faccio conoscere qualcuno> dice per poi attaccarmi in faccia. Che disonore.
Mi alzo da letto ancora rincoglionita di sonno. Nella testa mi frullano mille domande riguardanti quell'imbecille. Lui e la sua stupida camera. Chiudo gli occhi per poi guardarmi allo specchio.
Sono un disastro come al solito. I capelli legati in uno strano groviglio sembrano aver preso vita propria. Ho una maglia di Alessandro addosso che mi va decisamente grande. Apro lo zaino per controllare se ne ho un'altra. Ho altre tre t-shirt che mi sono fregata senza ritegno. Se ne accorgeranno? Si. Continuerei a farlo? Ovviamente. Slego i capelli lasciandoli cadere sulle mie spalle.
"<Gin levati quella cosa orrenda dai capelli> esordisce Totta. La guardo. Con lei l'adolescenza è stata clemente. I capelli biondi sembrano dorati e sono perfettamente lisci. Ha degli enormi occhi azzurri che con il tempo ha imparato a mettere in risalto. È una pazza simpatica. Sinceramente non so da quando i pazzi che dovrebbero essere ricoverati in un manicomio sono simpatici.

<È una matita, Carlotta> mi difendo. Mi guarda con gli occhi spalancati come se la pazza fossi io.

<Ma che ti dice il cervello?> urla lei alzando gli occhi al cielo e aprendo le braccia in aria come in una preghiera <Santa Versace perdonala> La guardo sbigottita. È ufficialmente diventata pazza. Sull'uscio della porta dietro di lei, vedo Ale che se la sta ridendo. Gli mando un'occhiataccia ma continua come se nulla fosse successo.
Piccolo bastardo dopo me la paghi cara.

<Che cosa sta succedendo?> domanda Teo buttandosi sul divano affianco a me. Con gli occhi gli indico Totta che sta letteralmente invocando tutti i suoi stilisti preferiti. <Tutto nella norma direi> sentenzia accendendo una sigaretta. Sposto lo sguardo su Dade steso sul tappeto a pancia all'aria intento a leggere Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie. È ancora arrabbiato con me perché gli ho spoilerato l'assassino del libro precedente. Giuro che non l'ho fatto apposta. Pensavo che lo avesse già finito.

<Testa di cetriolo levati subito quella matita dai capelli o ti taglio in 76 pezzettini e ti bollo dentro al brodo con le carote e le patate> mi minaccia Totta puntandomi un suo artiglio smaltato. Potrei ribattere, ma ho imparato una sola cosa in questi anni (oltre che Dade è permaloso e ce l'avrà con me per sempre): Mai e ripeto mai contraddire Totta quando ha appena fatto le unghie. Sono un'arma letale.

<Aggiungi un po' di sale> esclama Teo affianco a me. Lo guardo male. Lui sorride. <Devi coprire il sapore acido del suo carattere> balzo in piedi come scottata.

<Brutto scarafaggio venduto al mercato nero come osi dire a me che-> vengo stoppata subito da Totta che avvicina i suoi artigli pericolosamente al mio collo. La situazione è decisamente degenerata. Tolgo la matita dai capelli e il suo sguardo da pazza si addolcisce in un radioso sorriso. Perfetto. Tolta la pazza Matteo sei morto."
Poso la matita sospirando. Possono delle persone mancarti a tal modo da pensare a loro ogni giorno? Le piccole corde tese intorno al petto stringono in maniera quasi asfissiante. Le odio. Le odio quasi come odio la Nutella di Eurospin, quasi quanto odio Aron. Sbuffo.
Cambio la maglia solo perché quella che indosso è stropicciata. Mi lavo ed esco di casa. Per come cammino ricordo un automa. Cammino senza pensare a dove vado. Ci sono tantissimi turisti che quasi mi sento di esserlo pure io.
Gestator.
Questo nome mi tormenta la testa da quando Tyler Allen l'ha nominato. So come si fa chiamare, ma non so chi è. Non so se è lui l'uomo che cerco. Non so che fine abbia fatto mio padre. Non so nulla. Eppure, so più di quanto dovrei sapere e di questo ne sono certa, altrimenti quei tre uomini non mi avrebbero inseguita. 

Un diavolo bussa alla portaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora