V✔️

20.7K 497 16
                                    

ANDREW

Aprii la porta entrando a passo cauto all'interno della camera.

Mi ritrovai di fronte a Phoebe, la quale, non accortasi ancora della mia presenza, se ne stava al centro del letto abbracciata a sé stessa, con il capo inclinato verso la finestra, assorta nei propri pensieri.

Era una visione dolcissima.

I suoi lunghi capelli, tanti riccioli biondi, di una bianchezza incantevole lucevano come fili d'oro al riflesso dei raggi del sole che filtravano dall'alta finestra, divenuta oggetto di suo interesse.

Stava congetturando un piano per scappare?
Erano questi i suoi pensieri?

Serrai strettamente le mani scosse da un violento tremore causato dalla feroce rabbia che mi provocarono la miriade di interrogativi al riguardo e, sbattei violentemente la porta, con l'intento di destarla da tutto ciò che non riguardasse me.

Agognavo che fossi il suo unico pensiero.
Desideravo che il suo bel sguardo fosse continuamente concentrato su di me.
Pretendevo che ogni singola particella del suo piccolo corpo mi riconoscesse come l'unico uomo esistente per lei.

Phoebe era divenuta l'unica per me non appena i nostri occhi si erano intrecciati.

Il tonfo sordo provocato dalla porta che sbattè con violenza contro lo stipite fece sobbalzare la ragazzina, la quale ruotando il capo immediatamente verso la mia figura situata ai piedi del letto, mi fissò terribilmente
spaventata.

Era deliziosa la sua paura, così dolce e ingenua.

Aggirai il letto, lentamente, ritrovandomi alla sua destra.

La osservai accuratamente, ammaliato dalla sua profonda e pura bellezza.

Con la mano le sfiorai delicatamente un tenero ricciolo biondo, scendendo, poi, verso la curva seducente del suo collo sottile e d'un candido bianco.
Strinsi leggermente quest'ultimo avvicinandola a me, obbligandola a poggiare le ginocchia sul materasso cosicché da allineare il suo viso al mio senza rischiare di soffocare.

Le annusai avidamente il collo, inebriandomi del suo dolce odore di vaniglia che ebbe il potere di paralizzare ogni palpito del mio cuore.

Il mio cuore...

Da sempre avevo pensato che fosse solamente un muscolo involontario, la cui unica ragione d'esistenza fosse pompare il sangue in tutto il corpo affinché esso potesse vivere.

Ma, con Phoebe avvertivo il battito furioso del mio cuore rimbombarmi nel cervello facendomi impazzire completamente dalla smania di comprendere quale stregoneria avesse usato contro di me questa splendida creatura, dalle fattezze di un innocente angelo che, disceso dal paradiso, era stato subitamente catturato da un uomo il cui unico pensiero era divenuto possedere la sua deliziosa purezza.

La guardai fisso negli occhi, inchiodando intensamente il mio sguardo nel suo.

《Dov'è John?》chiese con voce sommessa, balzando i suoi occhi su tutto tranne che su di me.

Le strinsi maggiormente il collo, avvicinandola al mio corpo, tanto da scaraventarla addosso a me.
Lei sul mio stomaco e il capo inclinato all'indietro, io seduto con il viso allineato al suo.

《Non lo nominerai più, Phoebe. L'unico nome che uscirà dalle tue belle labbra da oggi in poi, sarà unicamente il mio.》sibilai minacciosamente con tono freddo e gli occhi fissi nei suoi, impauriti.

Phoebe iniziò a dimenarsi, intenzionata a sgusciare via dalla mia ferrea presa, soffiando come una gatta arrabbiata.
La scaraventai violentemente sull'ampio letto, sovrastandola con il mio peso nettamente maggiore del suo, inchiodandole i polsi ai lati della sua testolina.

《Ti conviene fare la brava se tieni così tanto a John...》sussurrai cattivo dedicandole un sorriso derisorio.
Le afferrai le guance e mi avvicinai, sussurrando più volte:《Sei mia.》

Abbassai il viso verso il suo collo, iniziando a lasciargli dei baci umidi, arrivando poi a succhiare avidamente con l'intenzione di marchiare la sua tenera pelle, mentre lei si contorceva e dimenava in preda all'isteria, ansimando affannosamente per l'inutile sforzo, finché non si abbandonò completamente alle mie attenzioni, arrendendosi a me.

Con un sorriso soddisfatto, ammirai i meravigliosi segni che le macchiavano la pelle lattea del collo.

PHOEBE

Avevo permesso che facesse di me ciò che più gli gradiva.

Era inutile lottare contro Andrew.
Era il quadruplo di me.

Non ero stupida ma consapevole che il gigante che stava sovrastandomi con la sua stazza imponente, non solo possedeva muscoli duri e pronti a scattare a qualsiasi mio accenno di ribellione ma era anche il mafioso che aveva in pugno l'intera Contea di Los Angeles, perciò seppure fossi riuscita a sfuggire dalla sua morsa, sarebbe riuscito certamente ad acciuffarmi nuovamente e farmela pagare.
Avrei sprecato le mie energie, provocandomi solamente ulteriore dolore.

Un colosso mi stava inchiodando al suo stesso letto, intenzionato a marchiarmi come se fossi un oggetto di sua proprietà pretendendo che mi sottomettessi a lui, quasi fosse un suo diritto.

Non seppi per quanto tempo la sua bocca rimase sul mio collo, ma quando si fu staccato, rimase ad ammirare con occhi intrisi di viva soddisfazione ciò che mi aveva provocato, quasi fosse una splendida opera d'arte.

Il fastidio su quella determinata parte del corpo era come una cappa rossa sui miei ricordi.

Il suo violento assalto mi aveva lasciato un doloroso indolenzimento al collo.

Tuttavia, rimasi immobile sotto il suo corpo, finché quest'ultimo non abbandonò finalmente il letto per rispondere al telefono che prese a vibrare furiosamente.

Non appena la sua mastodontica è colossale figura oltrepassò la soglia dell'elegante camera da letto mi fiondai velocemente allo specchio appeso alla parete color grigio chiaro.
E, ciò che quest'ultimo spietatamente riflettè mi paralizzó sul posto facendomi rimanere completamente di sasso.

Succhiotti su succhiotti mi avvolgevano il collo, come una sciarpa.
Ne tastai qualcuno avvertendo un lieve dolore.

Aggrottai fortemente la fronte, serrando la mandibola, dalla cieca rabbia che mi provocò un violento tremore alle mani.
Quelle disgustose macchie non erano eccessivamente dolorose fisicamente, ma dolorose da guardare, mentalmente quei segni stavano distruggendo con un assurda velocità la speranza che un giorno avrei dimenticato l'orrendo episodio.

Perché si era sentito libero di marchiarmi?
Io ero una persona, non una bestia.

Quasi mi vennero le lacrime agli occhi a causa della dolorosa sensazione di impotenza che ricordai avessi provato sotto il suo grosso e pesante corpo che mi aveva brutalmente immobilizzata al letto.

Volsi nuovamente lo sguardo allo specchio, il quale, adesso, rifletteva un altro corpo, quello statuario di Andrew, appostato silenziosamente alle mie spalle scosse da brusche convulsioni.
Quest'ultimo osservava con insana avidità la mia piccola figura riflessa nello specchio, con un sorriso compiaciuto e un luccichio malato negli occhi socchiusi.

I nostri sguardi si incontrarono quando Andrew mi obbligò a ruotare verso il suo corpo.
Gli arrivavo poco più giù al petto, quindi, dovetti inclinare la testa verso l'alto per essere in grado di guardarlo in faccia.

Si abbassò alla mia altezza, accarezzando languidamente con gli occhi, i segni che mi aveva lasciato sulla pelle.

《Questi servono a ricordare a te ed agli altri che sei mia.》sostenne fermamente con uno sguardo che intimoriva al punto da toglierti il respiro.

Abbassai il capo sommessamente, indietreggiando.
Abbastanza inutile come azione, siccome Andrew si fece ancor più vicino, afferrandomi bruscamente il viso, dicendo con un sorriso beffardo:《Adesso ti spiegherò le regole che dovrai seguire stando con me da oggi in poi. Sei pronta, ragazzina?》

𝑀𝑦 𝐿𝑖𝑡𝑡𝑙𝑒 𝑂𝑏𝑠𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛Where stories live. Discover now