𝐗𝐈𝐕

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I giorni seguenti furono adornati da un dolore funesto. 

Astrid attendeva con ansia il ritorno dell'amato, benché fosse stata lei stessa a cacciarlo. Si sentiva un po' come Didone e forse si sarebbe anche uccisa per lui. Non le bastava più l'affetto di Elia: gliene serviva altro, in quantità sempre maggiore, per colmare il grande vuoto che aveva dentro. Era diventata irascibile e perennemente angosciata. Nei giorni Dara si sforzò di rivolgerle la parola, ma ogni tentativo fu inutile. 

-Non puoi comportarti da bambina- urlò Elia scagliando un pugno contro il tavolino tra i divani. 

La ragazza distolse lo sguardo dai suoi occhi scuri e lo posò sulle tende purpuree. 

-Fai come vuoi- disse il ragazzo sbuffando per poi uscire dalla stanza. 

Lacrime salate scesero lungo le guance di Astrid; in quel periodo piangeva tante volte quante di solito sorrideva. Anche fisicamente sembrava un'altra persona: i suoi occhi mielati erano spenti e rossi, gli zigomi si erano accentuati e la pelle era candida come un manto di neve dicembrina. 

Sentì una presenza alle sue spalle e sperò in tutto il cuore che non fosse Elia. Ultimamente non riusciva a controllare la rabbia e ciò aveva portato Astrid a temerlo. 

Nadine si sedette accanto a lei e non si allontanò quando Astrid appoggiò la testa alla sua spalla in cerca di conforto. 

-Mi manca, mi manca così tanto- sussurrò. 

-Tu hai ritenuto di poter contare su Elia, ma a me hai pensato? Hai pensato che io avrei potuto perdere tutto ciò che mi era rimasto?- chiese con una calma inusuale.

-Perché ti importa tanto di André?- 

Nadine sembrò pensare attentamente alla risposta quando, in realtà, aspettava solo che la ragazza le facesse quella precisa domanda. 

-È identico a Ernest.- 

Astrid le sorrise malinconica e si allontanò per andare a sfogare il suo dolore in solitudine. 

La donna rimase seduta sul divanetto a osservare il muro davanti a lei. Improvvisamente vide un tratto nero farsi strada lungo la parete bianca. Questo tracciò i contorni di tre figure sinistre: le Erinni. Le tre donne dai capelli di serpenti brandivano le loro armi e guardavano l'anziana come una vecchia amica. Nadine cercò di distogliere lo sguardo da quel disegno, ma non riusciva a muovere nessuna parte del corpo. Le figure presero vita e si avvicinarono a Nadine con l'intento di punirla. Lo spavento fece svenire la donna che perse i sensi sul divano di pelle. 

Passando di lì, Dara si accorse di lei e le corse incontro. 

-Nadine! Nadine!- disse nel panico mentre la scuoteva. 

Questa, tuttavia, non sembrava svegliarsi. La adagiò meglio sul divano e attese il suo risveglio. Per ingannare il tempo e sistemare la situazione generale, scrisse una lettera ad André. 

"Mio carissimo André, 

la vita senza te e Maeve è davvero complicata. 

Mi ricordo benissimo la prima volta che vi vidi davanti al cancello della Grex, mentre Ernest vi prendeva per mano e vi portava in casa. 

Rimasi affascinata da voi due: sembravate due piccoli angeli giunti nel momento più opportuno. Tu mi strinsi la mano con le tue piccole dita e cercasti conforto nei miei occhi di giovane donna. 

Sono maturata con te e la piccola Maeve: vi ho fatto da sorella maggiore e ho cercato di darvi tutto l'affetto che il mio cuore permetteva. A distanza di anni ricordo questi momenti con una dolente nota di nostalgia. 

Ora che siete lontani subisco ancora di più questo sentimento. Mi mancate. 

Vorrei che questa lettera parlasse solo di cose belle, ma non è possibile. Nadine ha avuto un altro svenimento. Astrid è diventata un'altra persona. Elia è ormai incontrollabile. E io sono alla deriva, non ho più i miei angeli e senza di voi sono persa. 

Ti prego André, torna. Se non vuoi farlo per Astrid, fallo per Nad. Lei ha bisogno di te più che chiunque altro: le ricordi il suo amore passato e, per il momento, i ricordi sono l'unica cosa che possono salvarla. 

Rispondimi al più presto. Dara"

Piegò il foglio in tre parti per poi metterlo in tasca e tornò a osservare il corpo privo di sensi. Sospirò sonoramente e scosse la testa. 

Ernest le diceva sempre che la sua capacità era quella di fare la cosa giusta al momento giusto; quando era più giovane aveva brillanti idee per risolvere tutti i problemi. Tuttavia le cose sembravano essere cambiate e lei non sapeva più cosa fare. Non le restava altro che attendere e sperare che la situazione si sistemasse da sola. 

Astrid passò davanti alla stanza e, dopo aver notato Dara, si diresse da lei. 

-Che è successo?- chiese la ragazza. 

Dara la guardò affranta e Astrid intuì subito la risposta. Si scambiarono sguardi estremamente preoccupati. 

-Dovremmo indagare la causa- sentenziò Astrid. 

Rimasero in silenzio e attesero che la donna si risvegliasse anche se questa volta ci stava impiegando più tempo. 

-Vai, resto io con lei- disse Dara vedendo la giovane sempre più nel panico. 

Astrid entrò nella sua stanza con la testa tra le mani, agitata. Nadine aveva avuto un altro svenimento e lei si sentiva in colpa, poiché non aveva fatto nulla per aiutarla. Il mare in tempesta la travolgeva: le onde trascinavano il suo corpo verso gli abissi, i polmoni si riempivano d'acqua salmastra, la sua anima sfuggiva dal corpo. 

Come se non bastasse, Elia si precipitò nel luogo dove si trovava. La guardò con aria di rimprovero e la ragazza si preparò mentalmente al litigio che sarebbe sopraggiunto. 

-È successo di nuovo e tu non hai fatto nulla- gridò schiavo dell'ira. 

-Comprendimi Elia, che avrei potuto fare?- ribatté lei con un tono di supplica. 

-Sai di chi è la colpa? Sai perché questa società non ha più alcun senso? Per colpa tua Astrid. Tu sei qui solo per amore di André: ti sei concentrata così tanto su di lui da dimenticarti tutto il mondo che ti circonda, lo stesso che ha delle aspettative su di te. Non hai mai fatto nulla per noi, se non prenderti responsabilità che non sei riuscita a gestire. Come puoi pretendere che io ti capisca?- disse prima di uscire dalla stanza e sbattere violentemente la porta. 

Astrid rimase immobile con le lacrime agli occhi pensando a quanto fossero sbagliate le scelte che aveva preso fino a quel momento. Si sedette sul davanzale della finestra e guardò in basso, come se il giardino fosse più bello di tutta quanta la sua vita. Ebbe l'idea di tuffarsi tra i fili d'erba e le foglie autunnali e di attendere il suo amato insieme a Proserpina ed Euridice. 

Ma fu l'ultimo lisianthus a fermarla, l'unico che era sopravvissuto. Lo vide per sbaglio: posò gli occhi su quei fiori appassiti e ne avvistò soltanto uno, il più bianco di tutto il giardino. Quel fiore, nella sua fragilità, le ricordò i loro primi incontri. 

Un sorriso spaccò il suo viso, come accade al cielo quando spunta il primo raggio di sole dopo la tempesta. Tuttavia il sorriso morì prematuramente, poiché, dalle vetrate del corridoio, vide sua madre davanti al cancello, in attesa di essere ricevuta. 

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