𝐗𝐗𝐈𝐗

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La famiglia di Elia era solita raccontargli una vecchia storia, una di quelle leggende che venivano sussurrate di generazione in generazione, fino a diventare parte stessa delle famiglie che l'avevano coltivata. 

La città di cui parlava era stata per secoli splendente e fertile, poi, in breve tempo, divenne il covo del maligno. I cittadini, essendo disperati, implorarono l'aruspice di aiutarli. Fu un duro colpo sentire che il male proveniva proprio da loro. Così gli abitanti, essendo nati per combattere il male, distrussero in poche ore la loro malvagia città, ma non uccisero loro stessi. Calato il sole, la notte inghiottì le rovine e di quel paese non se ne seppe più nulla. 

Quella storia era tornata prepotentemente nella mente a Elia che non riusciva a chiudere occhio. Il buio copriva il suo petto e si stringeva a esso quasi volesse ucciderlo per asfissia. Così il ragazzo si svegliava di soprassalto in cerca d'aria, ma la notte gliene concedeva solo il giusto per continuare a vivere con i suoi peccati. 

Elia gettò nuovamente la testa sul cuscino e lasciò che le lacrime scendessero fino alle coperte. 

-Mi dispiace- sussurrò tra i singhiozzi sommessi. -Sono stato così stupido a pensare che lui non ti avrebbe uccisa. Mi dispiace, Nadine: tu sei sempre stata buona con me e io...io non lo sono stato . Sono un mostro, esattamente come Ernest.- 

Il suo pianto si intensificò, ma rimase sommesso per non farsi scoprire. I suoi peccati lo perseguitavano da tempo e lentamente lo stavano facendo impazzire: come il verme trapassa la buccia e si insinua nella dolce polpa della mela, facendola marcire, così il senso di colpa aveva oltrepassato la pelle di Elia ed era arrivato all'anima, avvelenandola per l'eternità. I suoi stessi sentimenti lo stavano scavando dall'interno con l'obiettivo di renderlo l'involucro del peccato. 

Tentò di sistemarsi meglio nel letto continuando a rigirarsi. Infine perse le speranze e si diresse in giardino. Camminò fino al retro dell'abitazione. Si inginocchiò di fronte ai suoi fiori, il simbolo del suo peccato e del suo pentimento. 

Lì riprese il suo pianto disperato: le lacrime nutrirono i fiori, le ginocchia si tinsero di marrone, gli occhi si arrossarono ancora di più. Il pianto divenne presto il preludio dell'inno al pentimento. 

Elia strinse l'erba tra le mani, pervaso da un dolore che non aveva mai provato: comprese che quella era la pena per aver tradito una persona cara. 

Il ragazzo non era l'unico a soffrire. Il pianto disperato di Astrid sovrastava le parole di rassicurazione che André continuava a ripeterle da qualche ora. Si stringeva a lui mentre tremava e singhiozzava. 

Il ragazzo, dal canto suo, non poteva fare altro se non accarezzarle i capelli e assicurarle che sarebbe andato tutto per il verso giusto, che sarebbero tornati alla normalità. Eppure ad Astrid sembrava tutto così intricato e irrisolvibile. 

-Non andrà meglio, sarà sempre peggio: nessuno crede più in questa società. Abbiamo dedicato la nostra breve vita a un progetto morto in partenza- disse prima di poggiare le mani sul viso e riprendere il suo pianto. 

André la guardava sconfortato e consapevole di non riuscire ad aiutarla. 

-Forse potresti parlare con Elia. Se riuscissi a dimostrare che lui si è pentito, gli altri potrebbero vedere che anche i traditori, alla fine, tornano alla Grex- propose fiducioso. 

Astrid lo guardò indecisa, ma poi acconsentì. 

La ragazza si diresse verso il letto facendo cenno al ragazzo di raggiungerla. André la abbracciò dolcemente tentando di donarle quanto più supporto possibile. 

-Ti starò sempre accanto, anche quando gli altri non lo faranno. Io ti amo, Astrid e ti amerò a prescindere dagli ostacoli che la vita ci metterà davanti.-

La ragazza lo baciò, godendosi l'amore che quelle parole avevano sprigionato. 

Il placido sole primaverile colpì violentemente le palpebre di Elia, dunque fu costretto ad alzarsi. Si ritrovò sporco e assonnato nel giardino, reduce dalla sofferenza delle ore precedenti. Fece un'immensa fatica ad alzarsi, tanto che pensò di rimanere seduto sul prato a guardarsi attorno per il resto della giornata. 

Non ebbe, però, tempo di decidere, perché Astrid lo chiamò a gran voce, disturbando i suoi pensieri. 

-Elia ti devo parlare...va tutto bene?- domandò accorgendosi delle sue condizioni fatiscenti. 

-Sì, sì, tutto apposto- rispose barcollando e facendo segno con la mano di non preoccuparsi. 

Cominciarono a passeggiare fianco a fianco senza parlare: stavano scegliendo con cautela le parole da utilizzare. 

-Io- disse Astrid poco convinta. -Vorrei sapere perché ti sei unito agli Egregi.-

Elia la guardò sconsolato, sapendo di non riuscire a sopportare ancora il peso dei suoi peccati. 

-Negli ultimi anni di vita il carattere di Ernest era nettamente peggiorato: si comportava da tiranno, perché non riusciva a imporre il proprio potere sul tempo, che è la grande rovina degli uomini, anche dei più gloriosi. Alla sua morte iniziò a regnare il caos e proprio in quel periodo mi contattò Tristan. Mi promise grandi cose: la libertà, la felicità e le ricchezze. Ovviamente non rifiutai l'offerta dopo aver passato gli anni migliori a fare lo schiavo di tuo nonno. Forse mi affascinava l'odio che Tristan provava per i Fletcher: era così viscerale, intenso, per certi versi molto simile al mio.- 

Astrid gli rivolse uno sguardo accigliato per poi porre un'altra domanda. 

-Volevi che io uccidessi André e alla fine è morta Nadine. Sarebbe comunque dovuto morire qualcuno?- 

Elia rimase sorpreso di fronte a quelle parole: lui aveva manipolato Astrid, ma a sua volta era stato manipolato da Tristan. 

-Non so il piano di Tristan, altrimenti ti avrei già rivelato la sua mossa successiva. Penso che nei suoi piani ci sia solo la distruzione della Grex; avrei soltanto voluto capirlo prima e avvisarvi del pericolo.-

La loro camminata si interruppe bruscamente a pochi passi da Villa Fletcher. Si sedettero in silenzio sui gradini e osservarono lo scarso movimento della città. 

La società, alla fine, era un punto insignificante rispetto al mondo esterno, eppure li aveva macchiati, appena nati, come una voglia: erano stati prescelti per avere una vita cruenta. 

-Inizialmente ti ho amata davvero, poi ho soppresso i miei sentimenti per adempiere al mio dovere. Mi pento moltissimo di quello che ti ho fatto: per continuare a vivere ho bisogno del tuo perdono- esordì Elia rompendo il silenzio. 

-In realtà non necessiti del mio, ma di quello di Nadine.-

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