𝐗𝐗

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I giorni passarono velocemente e, dopo poco meno di una settimana, Tristan si ripresentò a Villa Fletcher. Attraversò silenziosamente il giardino frontale seguendo il sentiero di ciottoli. Era ben vestito e portava con sé una valigetta in pelle contenente alcuni libri. I cani corsero immediatamente per ricevere carezze che, tuttavia, non arrivarono. 

Sentendoli abbaiare, Astrid si avvicinò alla finestra e scostò la tenda abbastanza per scorgere l'uomo. Sembrava più rigido della prima volta e forse anche più preoccupato. 

Magda aprì la porta a Tristan e lo fece accomodare, in quell'esatto istante la ragazza si precipitò al piano inferiore. 

-Buongiorno professor Vos- disse sorridente. 

L'uomo accennò un sorriso e chiese ad Astrid di portarlo in una stanza tranquilla dove poter studiare. Andarono insieme nello studio di Ernest. 

-Questi terreni sono tutti vostri?- chiese Tristan; Astrid si voltò verso l'immensa vetrata. Era tanto abituata alla visione di quel paesaggio che, ormai, aveva smesso di darci importanza. 

-Sì. Mio nonno ha faticato molto per ottenerli e ha deciso che dovessi averli io dopo la sua morte- rispose con nostalgia dei tempi felici.

-Quindi sei tu l'erede- disse Tristan più a se stesso che alla ragazza accanto a lui. 

Astrid annuì con la testa. 

Subito dopo, come per cancellare quella conversazione, Tristan estrasse dalla valigetta un libro segnato dal tempo e si accomodò in una delle poltrone. 

Astrid si sedette davanti a lui e prese la sua edizione. 

-Iniziamo dall'Apologia di Socrate.-

-Ho sempre pensato che l'avesse scritta Socrate, insomma, credevo che il titolo fosse soltanto Apologia.- 

Tristan rise ripensando a quando anche lui era caduto in questo tranello. 

-Apologia...cosa ti porta in mente questa parola?-

-Qualcosa che inizia- disse Astrid dubbiosa.

-E invece, per Socrate, è un discorso che segna la fine, la fine della sua vita.- 

L'uomo inizia a scorrere le pagine in greco antico con annotazioni in altre lingue. 

-Veniamo al succo del discorso e forse anche alla parte più celebre. Socrate sa di non sapere: non pretende di conoscere tutte le cose, perché sa che non è possibile.- 

La ragazza lo ascoltava attentamente, facendo sua ogni parola del maestro. Dopo una lunga e attenta lettura contornata da spiegazioni e domande giunsero alla fine del libro. 

-Perché accettare di morire?- domandò Astrid confusa.

-Socrate ama la sua città e rispetta le sue leggi, ma non è solo questo: sa che dopo la morte c'è una nuova vita, come descriverà Platone con i miti. Socrate è così calmo nella morte perché sa che tornerà a vivere, forse in un altro corpo, ma è pur sempre vita.- 

La ragazza fece un profondo respiro come per metabolizzare una serie di concetti così intricati. 

-Ti vedo abbastanza stanca. Perché non usciamo a fare una passeggiata?- 

André era seduto sulla ringhiera marmorea della scalinata. Aveva le gambe a penzoloni, con le piante dei piedi puntate al laghetto. Il ghiaccio si era sciolto ma la fontana era ancora priva dei suoi animali caratteristici. 

-André scendi giù da lì, ti farai male- lo rimproverò Nadine. 

Lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare. 

In quell'esatto momento arrivarono Astrid e Tristan. 

La ragazza fu sorpresa di vedere la coppia lì, in quel momento. Loro due, gli eterni tormentati. 

Sulla pelle di Nadine spiccavano sempre più evidenti i solchi del dolore e della vecchiaia, mentre André sembrava un uomo vissuto, un marinaio sopravvissuto dal più terribile dei naufragi. 

L'anziana scese le scale con difficoltà, tanto che il professore si offrì di aiutarla. Non appena la sfiorò, Nadine alzò lo sguardo scontrandosi con quegli occhi neri. Percepì il legame antico, ma solo per un brevissimo istante. Distolse immediatamente lo sguardo dall'uomo e si appoggiò alla ringhiera. 

André rimase fermo nel punto in cui si trovava, analizzando attentamente Tristan: lo aveva già visto da qualche parte, ma non riusciva a capire dove. 

-Che ci fate qui?- chiese Astrid rompendo il silenzio. 

Il ragazzo si limitò a fissarla insistentemente; la soggezione che provava in quel momento la costrinse ad abbassare lo sguardo. 

-Volevamo sapere come stavi, non abbiamo tue notizie da un po'- rispose Nadine. 

-Va tutto bene, sono solo impegnata con le lezioni del professore Vos.-

-Immaginavo- disse la donna con un sorriso per poi salutare entrambi e andarsene accompagnata da André. 

Risalirono la scala in silenzio. 

-André- lo chiamò la donna arrestandosi a metà strada. 

Il ragazzo si voltò senza proferire parola, ancora turbato dalla visione della ragazza. 

Vedendolo così preso dai suoi pensieri, decise di non parlare con lui dei propri turbamenti. 

-Tranquillo, non è nulla di importante.- 

Il ragazzo non insistette e si voltò per riprendere il cammino. A Nadine sembrò un comportamento strano, forse dettato dalla situazione che si era venuta a creare tra i due innamorati. 

Durante il tragitto André non fece altro che pensare a quanto avesse sbagliato con Astrid: in quel momento riteneva assolutamente sbagliata la scelta di allontanarsi da lei, tuttavia sapeva che non avrebbe potuto fare in altro modo. Aveva deciso di non rinnegare la sua natura di uomo eternamente solo e turbato da ogni tipo di emozione pulsionale. 

Non si accorse che Nadine si era affiancata a lui e gli aveva poggiato una mano sulla spalla. 

-André, sei sicuro di stare bene?- disse apprensivamente. 

Lui annuì, incapace di proferire parola. Poi si ritirò nella sua stanza e ci rimase per tutto il giorno. 

Astrid, invece, si stava godendo il sole malaticcio dell'inverno. Tristan si trovava accanto a lei e osservava la città di Saint Helen. 

-Da piccola pensavo che sarei partita per qualche paese esotico. Volevo lasciare questa città che mi stava sempre più stretta: ero una bambina curiosa, innamorata del mondo e di tutte le culture. Crebbi nella famiglia sbagliata e ben presto mi fu imposto di restare qui. Passai le mie giornate all'interno dei cancelli di Villa Fletcher con genitori intenti a tarpare le mie ali, un fratello pronto a fuggire e abitanti pettegoli capaci solo di diffondere odio. L'unica persona che mi permetteva di vivere davvero era mio nonno, Ernest. Abbiamo viaggiato insieme leggendo libri, ascoltando musica; io amo lo studio proprio perché mi porta a quei momenti- disse mentre lacrime di nostalgia si facevano strada sul suo volto. Le asciugò velocemente e si ricompose, come le era stato insegnato da sua madre. 

-Penso che nella vita ci siano ostacoli insormontabili, uno di questi è perdere chi ti rende davvero vivo. Io non so chi tu sia, non ti conosco bene, ma so per esperienza che hai fatto qualche danno nel cercare di elaborare questa perdita. Io ho tentato di compensarla in ogni modo e alla fine sono rimasto vuoto, una cavità senz'anima. Devi imparare a conviverci, Astrid e a non farti mangiare dalla nostalgia. La vita non è fatta per spenderla nel passato.-

La ragazza meditò sulle parole che le erano appena state rivolte e pensò che probabilmente Tristan aveva ragione. 

In quel momento le parole di Elia assumevano un senso: lei aveva davvero tentato di colmare un vuoto in modo sbagliato. Non aveva fatto altro che seminare zizzania e creare situazioni irrisolvibili, eppure tutti le stavano ancora accanto. 

Pensò che infondo la Grex fosse proprio questo: unità. 

𝐆𝐑𝐄𝐗Where stories live. Discover now