Capitolo quattro

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Passò il primo giorno. Passò il secondo.
Di Xiao ancora nessuna traccia.
Alla sera del terzo iniziai a perdere le speranze. Uscii poco in quelle giornate, temendo che se mi fossi allontanato troppo o troppo a lungo avrei perso la sua visita, e pur quando non potevo farne a meno cercavo di tornare il prima possibile.
La sera del terzo giorno, ormai sconfortato e stanco di stare in casa, mi infilai un paio di pantaloni, il primo paio di scarpe che trovai all'ingresso e diedi una sistemata veloce ai capelli. Sarei andato a fare due passi e magari bere una birretta per rilassarmi un po'; ne avevo proprio necessità.
Uscii in giardino e mi chiusi la porta alle spalle, girai quattro volte la chiave nella serratura e percorsi il vialetto fino al cancelletto della proprietà. Lo scavalcai -tanto era talmente basso da essere inutile, un piccolo decoro che non riusciva a bloccare nemmeno un neonato- e mi avviai giù per la strada in direzione della città.
Feci letteralmente un paio di passi, tre, quattro volendo esagerare, quando una voce chiamò il mio nome per farmi voltare.

Prim'ancora di vederlo, gli rivolsi uno dei sorrisi più raggianti che credo d'aver mai prodotto in tanti anni. In quell'istante, il mio cervello fece un pensiero strano. Mi disse di abbracciarlo, o almeno credo fosse quella la sua intenzione. Non l'avrei fatto, naturalmente; non era da me, e certo a lui non avrebbe fatto piacere. Forse sareimorto se ci avessi anche solo provato.
<<Ciao Xiao>> risposi, al settimo cielo, trattenendo a stento quello strano istinto suggerito dal fondo della mia testa. Mi limitai a stringergli la mano con entrambe le mie, nel gesto più amichevole e confortevole che potessi; già solo questo lo stranì e di fatti ritrasse la mano in fretta, lasciandola però fra le mie per almeno qualche secondo senza lamentarsi.
<<Come stai?>> gli chiesi, e lui in risposta alzò solo le spalle.
<<Solita vita>> dichiarò. <<Tu? Stavi uscendo?>> aggiunse, e me ne stupii. Non ne ero certo al cento per cento, ma ebbi come l'impressione che quella fosse stata la prima domanda che lui mi avesse rivolto fino a quel momento, tolta la necessità di chiedermi delle mandorle.
La prima vera volta che di sua sponte abbia voluto mandare avanti una conversazione assieme a me.
Ne fui onorato.

<<Solo per fare quattro passi>> dissi, <<e magari prendere un birra. Non ho impegni>>
Xiao rimase in silenzio, annuendo lievemente. Credetti fosse un suo modo per dire che se ne stava per andare e mi avrebbe lasciato in pace, e ciò era esattamente ciò che non volevo.
<<Vuoi venire con me?>> proposi allora, non volendolo lasciare andare via così facilmente dopo appena un saluto. L'avevo atteso troppo per vederlo scappare davanti così.
Mi guardò senza battere ciglio e senza lasciar trasparire emozioni. <<Non voglio disturbare>>
<<Non mi disturbi>> risposi all'istante e con assoluta sincerità, prima ancora che lui potesse richiudere un labbro sopra l'altro. <<Potresti piombare a casa mia nel nel mezzo della notte e non sarebbe comunque un disturbo>>
Forse parlai un po' troppo o in maniera troppo affrettata, pronunciando ogni lettera così come la pensavo. A Xiao, però, contrariamente a quanto si potrebbe di solito pensare, non parve dispiacere molto; arrossì, un po' a disagio, questo sì, ma per la seconda volta vidi gli angoli delle sue labbra spostati di un millimetro o due al massimo verso il lato superiore del viso.
<<Okay>> si limitò quindi a rispondere. <<Accetto l'invito>>
<<Grazie mille>> feci io allora, rallegrato. <<Avevo proprio bisogno di compagnia, e poi ci tenevo a parlare con te>>

Iniziammo una lenta passeggiatina sotto gli ultimi raggi di sole, diretti al bar più vicino a casa mia. Stando in mezzo alla campagna un po' di strada andava percorsa, donandoci così abbastanza tempo e silenzio da riempire con quante più parole possibili.
<<Com'è andato il tuo pranzo di famiglia alla fine?>> domandai, riferendomi alla ragione per la quale qualche giorno prima era scappato tanto di corsa.
Alzò le spalle. <<Non ci sono state vittime né feriti>> rispose. <<Lo ritengo un buon risultato>>
<<Hai retto Tartaglia senza impazzire?>> dedussi, seppur leggermente dubbioso.
<<Gli ho solo parlato poco>> fu la sua spiegazione, breve, logica e coerente. Non gli aveva dato modo di iniziare a litigare, capii, o per meglio dire credo che suddette ragioni non le avesse fornite a sé stesso per evitare incidenti e complicazioni.
<<Buona tattica, la uso anch'io>> convenni, ed in quell'esatto momento mi resi conto che, però, non la applicavo da un bel po' con nessuno. <<Usavo>> mi corressi infatti poco dopo, ripensandoci per bene.
<<Hai fatto pace con la persona con cui non volevi avere a che fare?>>
Alzai le spalle. <<Ho solo smesso di vederla>> spiegai. <<Ho risolto il problema alla radice>>
<<Okay>> mormorò, e non aggiunse altro in merito.

Camminando lungo quella stradina, ormai vicini alle prime case della città, ci imbattemmo in un piccolo cespuglio pieno di piccoli fiori giallo acceso. L'avevo già visto spesse volte percorrendo quella strada, ma mai o quasi mi ero mai soffermato ad osservarli più di qualche minuto. Eppure, ripassandoci vicino insieme a Xiao per la prima volta mi resi conto di quanto la loro tonalità di giallo fosse intensa e brillante, quasi del colore dell'ambra, e, anzi...
<<...hanno il colore dei tuoi occhi>> dissi ad alta voce, senza nemmeno rendermi conto di ciò che stessi dicendo o pensando.
Credo fossi convinto di aver solo elaborato quella frase nella mia testa, e mi resi effettivamente conto di aver parlato solo quando Xiao mi guardò stranito.
<<Prego?>> chiese, sporgendosi appena appena in avanti per capire a cosa mi riferissi.
La mia pelle assunse immediatamente la colorazione di Marte. Un imbarazzo..! Vi auguro di non sperimentarlo mai, fu tremendamente umiliante: mi volevo andare a seppellire.
Capendo cosa avessi detto, sperai che la terra si aprisse sotto i miei piedi e l'Abisso mi risucchiasse per sempre.

<<Emh, ecco...>> mormorai con non poca vergogna. <<Quei fiori>> mi costrinsi a dire con un cenno sbrigativo, come se non avesse la minima importanza, <<hanno lo stesso colore dei tuoi occhi. Tutto qua, non importa. Non farci neanche caso, anzi...>>
<<Oh>> disse, e si bloccò, spostando lo sguardo alla ricerca di ciò di cui gli avevo appena accennato. <<Veramente?>> domandò, senza mostrare il minimo spiraglio di imbarazzo, disprezzo, disagio o qualunque altra accezione negativa possibile ed immaginabile. Forse non ne era neanche molto aggradato, ma per certo non gli diede alcun fastidio.
<<Beh...>> mormorai, improvvisamente più rilassato grazie a tale realizzazione. <<Sì, abbastanza>> dissi, sentendo che, forse, allora, sarebbe stato un complimento apprezzato.
Senza aggiungere altro, si avvicinò a quel cespuglio ad osservare i fiori.
Posò i suoi occhi sulla pianta senza aspettarmi, osservando la corolla dei singoli fiori.
Intento a compiere quel banale gesto, apparve ai miei occhi come l'essere più bello della storia. Era solo lui, un fiore poco davanti al naso, il ciuffo più lungo di capelli dietro l'orecchio.
Era carino, tenero, affascinante senza malizia. Puramente bello, bello nel suo senso più completo e platonico del termine.
<<Sai cosa sono?>> domandò, riportandomi bruscamente dall'Iperuranio alla nostra terra reale.
Annuii. <<Fiori di topinambur, immagino>> risposi.
<<Tupinar- che?>> ripeté, confuso, incapace di pronunciare quel nome.
<<È un tubero,>> spiegai, <<qualcuno se li mangia, ma a me non piacciono molto>>
<<Sei esperto>> osservò. <<Hai studiato questo genere di cose?>>
Alzai le spalle. <<Mi piacciono i fiori, tutto qua>>

Mi avvicinai alla pianta mentre ancora lui era intento ad osservare quei piccoli regali della natura; mi chinai e ne raccolsi uno fra i più perfetti là presenti. Non particolarmente grande, ma era giallo e splendente, senza un petalo storto o una macchiolina marrone.
Glielo porsi. <<Tieni>> dissi, lo sguardo basso. Non trovai il coraggio di guardarlo negli occhi, nemmeno fossi un ragazzino alle prime armi.
Xiao tese una mano e lo afferrò con incertezza. <<Grazie>> mormorò, e vidi uno dei due angoli alla fine delle sue labbra schizzare vistosamente all'insù per riabbassarsi in seguito, solo poco dopo che lui si rese conto di aver quasi sorriso.

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