Capitolo ventidue

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Appena fuori dalla taverna che doveva essere quella di Diluc, su un muretto che affacciava su uno spiazzo molto sottostante, sedeva un tipino strano e mezzo ubriaco. Teneva una lira fra le mani, una cecilia fra i capelli intrecciati e cantava allegramente una melodia che non avevo mai sentito. Più che un canto vero e proprio si trattava di una parlata cantata, molto piacevole, ed una piccola folla si era riunita ad ascoltarlo.
Non avendo nulla di meglio da fare e con ancora troppo poco appetito per sedermi davanti ad un piatto di qualcosa, mi avvicinai anche io ad ascoltare e scacciare la malinconia.
Due ragazze, una più adulta e l'altra nella sua tarda adolescenza, si misero a ballare e ridacchiare in mezzo alla piazza. Dovevano essere buone amiche; una, quella adulta, con un grande capello da strega e due codini scuri che le ricadevano lungo tutta la schiena; l'altra bionda, vestita di viola, con un occhio bendato.
Innegabilmente, resero la già piacevole atmosfera molto più gradevole.

Alla fine della canzone, una di queste mancò la mano dell'altra e quasi mi cadde addosso; riuscii ad afferrarla al volo ed evitare che cadesse, e lei mi rivolse un veloce ringraziamento, ma pronunciò parole talmente strane e complesse che non riuscii a trattenere un "Eh?" confusissimo. Credetti fosse una specie di dialetto, o se no lei doveva proprio essere eccentrica.
Fu l'altra, quella più grande, a tradurre il suo discorso per me. <<Ti ringrazia per non averla fatta cadere>> spiegò.
<<Ah, di niente>> dissi. <<Mi sarebbe arrivata addosso lo stesso>>
<<Non è impossibile tuttavia obiettare questa tua riflessione, viandante>> fece quella bionda, interrompendomi teatralmente; non ne fui certo, ma credo se la prese. <<È inconoscibile oramai il caso nel quale io stessa, tramite miei di certo inconsueti ma non inapplicabili sforzi e gesta, avrei potuto riacquistare il bilanciamento perduto nel corso della danza. Non nego di porgere alla vostra persona comunque i miei rispetti e ringraziamenti per l'aiuto da te offertomi, ma che tu non creda fossero strettamente richiesti>>
Mi sporsi un avanti come un vecchio sordo che cerca di udire qualcuno parlare a bassa voce. <<Cosa?!>>
<<Dice che forse si sarebbe rimessa in piedi da sola>> tradusse l'amica. <<Ma grazie comunque>>

Mi voltai verso la ragazza, sconvolto e quasi spiazzato dalla banalità del messaggio che il suo elaboratissimo discorso voleva comunicare. <<E c'era bisogno di così tante parole?>>
<<Deduco dalla tua questione una grave tua mancanza di comprensione del valore che i vocaboli raccolgono in sé stessi e una mancanza di apprezzamento del senso intrinseco delle cose; qualora tu invece potessi capire tale sottile differenza fra un discorso ben composto ed uno mal amalgamato, semplificato, inattendibile nel suo profondo, allora forse tale questione non sarebbe neanche stata posta. In breve sì, io, in quanto principessa, ho l'obbligo morale di dar senso ai miei discorsi, tali che questi sempre portino un apprezzamento specifico alla firma e alla maniera in cui essi sono posti>>
<<EH?!>>
<<Ha detto sì>> tradusse l'altra.
<<...>> dichiarai, esterrefatto. <<Ma qui parlate tutti in modo così altisonante?>>
Non voleva essere un insulto, ma lo sembrò. Mi dispiace.
<<Maleducato!>> esclamò la biondina, per poi tirarmi un veloce ceffone sulla guancia. Fu l'unica cosa detta da lei che compresi.
<<Fischl!>> esclamò la ragazza che era con lei, afferrandole la mano. <<Ma sei impazzita?!>>
<<Ma come ti permetti?!>> feci io, ora offeso nel profondo dall'atteggiamento di quella ragazzina pazza. Ci guardammo malissimo a vicenda, il suo occhio un po' strabico a guardare entrambi i miei; forse ci saremmo presi a colpi, se non fosse intervenuto qualcun altro a separarci.
Il bardo dietro di noi si avvicinò per allontanarmi dalla ragazza, mettendomi una mano sulla spalla e tirandomi dietro di sé.

<<Scusate>> ci disse, <<non so che problemi abbiate, ma in ogni caso non è così che si risolvono>>
<<Questo pellegrino spara malevole sentenze implicite sulle mie regali capacità comunicative!>> spiegò la ragazza.
<<Dice che lui le ha detto che parla in modo strano>> tradusse l'altra donna.
<<Beh, ha ragione>> ammise il bardo con le treccine, rivolto a questa Fischl. Come risultato, la ragazza tirò uno schiaffo anche a lui e se ne andò offesa a passo sostenuto.
<<Mona, la nostra presenza in è più qui richiesta o ben accetta. Spostiamoci!>> ordinò all'altra, senza voltarsi indietro.
Mona, questo il nome della nostra traduttrice, parve morire dall'imbarazzo davanti ai nostri occhi. Si portò una mano al petto. <<Scusatela, ha avuto una brutta giornata>> ci pregò, per poi precipitarsi al seguito dell'amica.

Io e quel bardo ci scambiammo uno sguardo e poi lui scoppiò a ridere. <<Che tipe strane>> commentò, divertito. Si sistemò meglio il proprio cappello in testa, spostato dal colpo della ragazza.
<<Mamma mia>> concordai, la guancia ancora dolorante. Osservai le schiene delle due ragazze sparire dietro le mura di una casa là vicina, sperando che nei prossimi giorni non le avrei riviste.
<<Va be'>> dissi poi a lui, per cambiare discorso. <<Hai fatto un bellissimo spettacolo, prima. Complimenti>>
<<Grazie!>> esclamò lui con un sorriso. <<Ma mi sa che sei l'unico ad averlo pensato, oggi>>
<<Perché?>>
<<Non ho guadagnato un solo mora pidocchioso>> ammise, imbarazzato ma allegro, quasi ridendoci su; aveva le guance un po' rosse, ma credo dipendesse dall'alcol che si era bevuto prima e di cui, fra l'altro, ancora odorava. <<E va be'. È andata così>>
<<Aspetta>> gli dissi; mi frugai fra le tasche e dopo una veloce ricerca tirai fuori qualche soldo e glielo porsi. <<Tieni>>

<<Aw, grazie mille>> fece, commosso, e se li infilò in tasca senza aspettare un secondo. Che fosse al verde doveva essere vero; le monete caddero in tasca senza fare rumore, facendomi capire che non ne avesse altre nascoste in nessun posto. <<Non si vede spesso tanta gente gentile come te>>
Alzai un sopracciglio, annusando in fretta la puzza di una imminente catena di cazzate. <<Tu dici?>> gli diedi corda, curioso di scoprire dove volesse andare a parare.
<<Assolutamente!>> rispose con vivacità. <<Soprattutto quando si parla di gente sfortunata come me, sai, è difficile ottenere anche un solo pezzetto di pane... la gente ti guarda, ti passa davanti, si scorda che tu sei come loro...>>
<<Stai cercando una scusa per farti offrire la cena?>> intuii.
<<Si nota così tanto?>>
<<Sì>> dissi. <<Canti bene, ma come attore non sei un granché>>
<<Ah>> rispose, sfiduciato. <<Allora sì. Ti prego, ho fame. Mi basta un panino, davvero, anche uno vecchio e brutto>>
Scossi la testa e sospirai.<<Vieni>> gli dissi, e lo invitai a seguirmi all'interno della taverna di Diluc. <<Mangiamo qualcosa assieme, ma non farmi spendere troppo. Intesi?>>
<<Credo di amarti, sappilo>>
<<Vacci piano>> lo minacciai. <<Sono impegnato>>
<<Scusa>> rispose poco convinto; non credo gli interessasse molto, e o lui o l'alcol nel suo sangue non voleva darsi per vinto. <<Ci ho sperato però, sai, sei carino. E non lo dico perché voglio fregarti qualcosa, non potrei mai, sono un povero bardo onesto, io-...>>
<<Cammina, va'>> lo interruppi, poco voglioso di ascoltare finte lusinghe, e gli tenni aperta la porta per farlo entrare nella taverna prima di me.

Il Sapore Di Un SognoWo Geschichten leben. Entdecke jetzt