Capitolo ventitré

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Fissai in obliquo quel bardo squattrinato per tutto il corso della nostra cena. Bennett prese gli ordini e ce li consegnò dopo un pezzo ma corretti, e noi potremmo iniziare a gustarci il pasto in pace quando i primi clienti già stavano sloggiando. <<Venti,>> dissi al mio commensale mentre agitavo un aria un pezzettino di patata al forno, <<mi sento molestato>>
<<Oh no, da chi?! Se lo becco se la vedrà con me, questo bastardo>> esclamò lui in ritorno, inorridito e quasi spaventato dalla mia dichiarazione, come se non potesse credere che qualcuno lì nei dintorni potesse mettere tanto a disagio qualcun'altro.
<<Da te, testa di minchia>> risposi, una mano sulla fronte. Lui stupito per il mio malessere, io per la sua stupidità; uno strano modo di bilanciarsi reciprocamente, ma a quanto pareva a quel ragazzo i conti non tornarono.
<<Non è vero!>> protestò, battendo il suo boccale di birra sul tavolo. <<Non sto facendo niente di strano>>
<<E allora>> ripresi, con la mia giusta pacatezza nei confronti suoi e del suo modo di avere a che fare con gli altri, <<togli quella mano callosa da sopra la mia coscia prima che te la mozzi>>
<<Non ho secondi fini, era lì in amicizia>> si difese.
<<Non siamo nemmeno conoscenti!>>
<<Ah no?>>
<<No!>> esclamai, al limite fra il mettermi a ridere e l'esasperazione. <<Ti ho conosciuto un'ora fa!>> gli feci notare. <<Al mio Paese, dopo un'ora, non sei amico di qualcuno>>
<<Allora mi sa che è solo una questione di differenze culturali, non mi fraintendere>> disse convintissimo, come avesse senso. <<Secondo me invece noi siamo già in ottimi rapporti>>
Mi tirai uno schiaffo sulla fronte. <<Dei miei, entro domani ti denuncio>>
<<Lo vedo che ti stai divertendo, non lo farai>> commentò, e mi strizzò l'occhio. Io forse potevo dirmi intrattenuto, ma lui non poteva sapere fino a che punto io stessi scherzando.
<<Non mi sfidare>> lo minacciai.
Lui si sporse verso di me con uno strano sorrisetto alticcio sulle labbra, <<Se no che succede?>> domandò, provocandomi.

Gli rivolsi un sorrisetto e gli tirai uno schiaffo di gran lunga peggiore di quello ricevuto dalla principessa di 'sto gran cazzo un paio d'ore prima. Il rumore di quel colpo risuonò nel locale ma nessuno, a causa della gran confusione che c'era, ci fece caso.
<<Ti ho già detto che sono impegnato>> ripetei, lentamente, sperando che questa volta il messaggio gli restasse appiccicato ad entrambi i timpani. <<Se vuoi scherzarci sopra fallo, ma se sei serio piantala>>
Da bravo, Venti si ritrasse e si portò una mano sulla guancia colpita. Gli era rimasta l'impronta delle mie dita in bella vista, cosa di cui non mi preoccupai assolutamente.
<<Ho capito>> disse, facendo intendere di essere sinceramente dispiaciuto. <<Scusami>>
<<È tutto a posto>> lo rassicurai.
Lui, in risposta, storse le labbra. <<Okay>> mormorò, e riprese a mangiare con molto meno gusto di prima.
<<Non dirmi che ci sei rimasto così tanto male>> gli dissi, notando il suo fin troppo radicale cambio di atteggiamento. Okay che l'avevo rifiutato e tirato uno schiaffo, ma quella sua depressione era veramente troppo.
<<No, hai ragione>> rispose. <<Ho sbagliato io. Me l'avevo detto e ci avrei dovuto credere. Me la sono cercata>>
<<Perché avrei dovuto mentirti?>>
Alzò le spalle. <<É la risposta tipo di tutta quella gente che mi vuole evitare e basta>> spiegò. <<Non mi era mai capitato che fosse vero, però. Chiedo scusa a te e alla tua ragazza o ragazzo, davvero>>
<<Non è il mio ragazzo>> specificai, imbarazzato. <<Non ancora>>
<<Stessa cosa>> sospirò. <<Se me l'hai tirata così forte allora è come se lo fosse>>
<<Va be', ma anche se...>> mormorai, <<...in caso sarei io a dovermi sentire in colpa. Non farne un dramma>>
<<No?>>
<<No>> risposi. <<Ti ho fatto troppo male?>>
<<Me lo meritavo>> ammise, e mi tese la mano in cerca di pace. <<Restiamo amici però, vero?>>
<<Non siamo amici>> gli rammentai.
<<Lo diventiamo?>> propose allora.
Sospirai. <<So già che me ne pentirò>> accettai, e ricambiai la stretta.
<<Vuoi diventare qualcos'altro?>> disse, ci scambiammo uno sguardo e scoppiammo a ridere entrambi.
Calmate un minimo le risate, ma sempre senza smettere di ridacchiare, gli dissi: <<Credo di odiarti>> e lui mandò allegramente un bacio verso la mia direzione.

*****

Conclusa la cena, Venti mi restituì tutti gli spiccioli che gli avevo dato e forse anche qualche mora in più. <<Mi hai pagato la cena>> si giustificò quando me li porse. <<Non posso più accertarli>>
<<Prendili come risarcimento per lo schiaffo>> risposi, iniziando ad avviarci piano verso il mio hotel. Il bardo insistette nell'accompagnarmi, sostenendo che fra una scalinata e l'altra io forse mi sarei perso. E poi, a quanto pareva, non aveva alcuna fretta di tornare "a casa sua". Solo più tardi, infatti, scoprii che lui una casa non ce l'avesse affatto.
<<Come vuoi>> si arrese in fretta, forse seguendo la consapevolezza di averne molto più bisogno di me. Sperai solo che non se li sarebbe bevuti la sera seguente e li avesse sfruttati per qualcosa di più utile.
Tornando, scambiammo quattro chiacchiere; il ragazzo camminava strimpellando allegramente, e in poco tempo gli ultimi residui dell'alcol nel suo corpo vennero consumati e sparirono. Mi invitò ad andare al suo spettacolo anche le sere successive fino a che fossi rimasto a Mondstadt, sempre tenuto allo stesso muretto e che, se avessi voluto o avuto bisogno, lui per me era disponibile e che l'avrei trovato in giro.

Ci salutammo davanti al portone dell'hotel poco prima dell'una di notte. Lui se ne andò ancora strimpellando, mentre io venni accolto da un ragazzo alla reception. Mi consegnò le chiavi ed io salii su in camera, con l'unico intento di buttarmi a letto e prendere sonno il prima possibile.
Ciò non accadde.
Mi buttai a letto con tutta l'intenzione di prendere sonno, ma mi rigirai nelle coperte a vuoto per oltre un quarto d'ora. Non era che non avessi sonno, tutt'altro; stavo morendo dalla stanchezza. Qualcosa però mi dava fastidio, impedendomi di rilassarmi e chiudere gli occhi.
Mi sdraiai sulla schiena e sospirai, fissando il soffitto alla ricerca di una soluzione.
Ciò che sentivo non andasse, per quanto sia diabetico e scontato, era la mancanza di Xiao al mio fianco. Invece che quel morbido cuscino in più a farmi compagnia avrei voluto avere lui, un braccio schiacciato sotto la sua schiena ed i suoi capelli verdini a solleticarmi il naso.

Mi alzai a sedere, dandomi un'occhiata intorno alla ricerca di una soluzione, e le sue parole mi sovvennero alla mente. Potevo chiamarlo quando avessi voluto e lui, aveva detto, sarebbe arrivato sempre. 
Era tanto una pessima idea chiamarlo per dirgli "Ehi, sai, senza di te non riesco a dormire"?
Mi morsi un labbro.
Non credevo gli sarebbe dispiaciuto. Non troppo almeno; magari l'avrei svegliato, ma questo non potevo saperlo.
Decisi di provarci una volta; se fosse venuto bene, se no mi sarei sdraiato di nuovo e costretto ad addormentarmi comunque.
<<Xiao?>> domandai all'aria, <<potresti venire qui?>>
<<Sissignore>> rispose la sua voce, al mio fianco, prim'ancora che le mie labbra potessero richiudersi l'una sull'altra.
Era apparso senza fare rumore e senza il minimo preavviso, seduto seduto sul materasso accanto a me.
Come me lo vidi di lato, lo abbracciai; lui, appena sentì le mie braccia attorno ai suoi fianchi, mi strinse a sé.
<<É successo qualcosa?>> chiese.
Scossi la testa. <<Non riesco a dormire, tutto qua>>
<<Ti porto una camomilla?>>
<<Non mi piacciono>> mormorai.
<<Okay>> rispose. <<Cosa posso fare per te, allora?>>
Lo guardai fino in fondo ai suoi bellissimi occhioni dorati. <<Dormiresti con me di nuovo? Se non hai di meglio da fare?>>
Tirò di poco in su le labbra. <<Certo>> annuì. <<Tutto quello che vuoi>>
E prima che potessi elaborare un pensiero complesso, lui si alzò dal letto. <<Posso rimettere i vestiti che mi hai prestato ieri notte? Questi che ho addosso sono troppo sporchi per dormirci con te>>
Mi sentii un po' stranito; stava parlando in modo normale, senza sforzarsi troppo e senza sintetizzare il concetto fino all'osso come suo solito. Quel suo modo percepibilmente rilassato, mostrato a me per non so quale ragione, mi fece sentire bene.
<<Prendili pure>> gli accordai il permesso. <<O anche altro, se dovessi preferirlo. Fa come se quello zaino fosse tuo>>
In circa venti secondi, quel piccolo yaksha si cambiò e infilò sotto le coperte e sotto le mie braccia.
Non me lo disse direttamente, girandoci un po' attorno prima di augurarmi la buonanotte, ma mi fece intendere che avesse sperato e atteso la mia chiamata per tutto il giorno da quando ci eravamo separati.

Il Sapore Di Un SognoWhere stories live. Discover now