Capitolo trentadue

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Andammo a salutare Diluc e Bennett prima di attraversare il cancello, ma trovammo solo il ragazzo insieme ad un altro suo coetaneo dai capelli grigi e lunghi. Promise che avrebbe salutato il suo padrino da parte nostra, e ci disse di tornare per raccontargli del nostro nuovo viaggio; in tutti questo, l'altro ragazzo rimase nascosto, silenzioso, dietro le sue spalle. Lo salutammo allegramente prima di riprendere il cammino.
Giunti a Liyue, ci restammo a lungo: quasi un mese intero, in visita fra un luogo e l'altro, in mezzo a montagne dalle forme estremamente allungate, laghi, isole, villaggi abbandonati e, solo alla fine, la viva e colorata capitale.
Ma ben prima di arrivare, a poco più di metà strada, Xiao mi presentò il luogo che, secondo lui, era il più bello in assoluto in tutto il proprio Paese.
<<Queste sono le Piscine di Luhua>> disse quel giorno, indicandomele dalla battigia, dall'altra parte del lago, appena arrivati.
Restai letteralmente a bocca aperta. <<Wow>> esclamai, ammirato. <<Ma sono vere? Nel senso, naturali?>>
Le piscinette avevano una forma molto insolita: tante piccole vasche, basse, scavate nella pietra più candida che potessi vedere nel raggio di chilometri, piene di limpida acqua e fiori di loto. Sembrava un piccolo paradiso in scala ridotta, molto più vicina agli esseri umani che alle divinità.
Con una puntina di orgoglio nella voce, Xiao confermò fossero assolutamente naturali, sempre state così da che lui avesse memoria. Anche se, a dirla tutta, ammise che forse Morax le avesse un po' ritoccate.

Mi portò nella zona un po' più alta; mi cucinò degli ottimi spiedini di zucchine grigliati e, dopo pranzo, restammo là, rilassati, un po' a chiacchierare ed un po' a guardare le nuvole. Faceva troppo freddo per pensare di potersi fare un bagno, e la giornata non era nemmeno molto soleggiata.
<<Quella lì è a forma di quei coccodrilli strani che ci sono a Sumeru, guarda!>> esclamai, e gli indicai un ammasso di vapore sopra le nostre teste. Era davvero davvero simile a quegli animali esotici, ma presto scoprii che Xiao non avesse idea di come fossero davvero fatti.
<<Non li ho mai visti>> ammise. <<Non dal vivo; illustrati, nei libri, quelli qualche volta sì. Ma in effetti a Sumeru non sono mai stato>>
<<Io sì, e ci sono rimasto tanto tempo>> raccontai. <<È pienissimo di animali che, credimi, io nemmeno credevo esistessero. Come i cinghiali con i funghi sulla schiena, per esempio>>
<<Cosa?>>
<<Ti giuro che esistono: sono stranissimi>> dissi, non sapendo come fare a descrivere realisticamente quegli esseri; in qualunque maniera l'avessi spiegata, non sarei comunque risultato credibile fino a che non li avesse visti con i propri occhi.

<<Non metto in dubbio esistano>> rispose, <<Ci sono esseri molto più incredibili in giro per il mondo>>
<<Tipo?>> chiesi, curioso.
<<Io>> scherzò.
<<Tu non hai niente di incredibile>> obiettai, tirandogli un colpetto affettuoso. <<Forse gli occhi, ma solo quelli... gialli in quel modo un umano non potrebbe mai averli>>
<<Io infatti non sono umano>>
<<Lo so, sei uno yaksha, non me lo sono scordato>> risposi.
Lui strinse le labbra, pensieroso. <<Lo sai che non è quello che intendevo?>>
Inclinai il capo; non mi aspettavo una simile risposta, ed infatti non trattenni un verso di stupore. <<E cosa, invece?>>
Si guardò un po' attorno, indeciso fra il parlare ed il rimandare a un'altra volta. <<Saresti disposto a sentire l'ennesima storia triste sul mio conto?>>
Sbattei qualche volta le palpebre e presi la mia decisione. Lo strinsi fra le braccia meglio che potessi e gli lasciai un bacino sul viso, pronto a fargli sentire quanto, in caso di bisogno o no, fossi lì per lui. <<Ora sì>>
<<È la posizione della storia triste questa?>> chiese, facendomi credere fosse una domanda seria.
Io annuii con forza.
<<È quasi un peccato averle finite, allora>> scherzò.
<<Dai!>> protestai, ma venni zittito da un bel bacino veloce.

<<Allora>> iniziò così a raccontare, <<Tanti tanti anni fa ero molto più piccolo di oggi>>
<<Ci sta che tu sia cresciuto in due millenni>>
<<No, ero circa così>> disse, mostrandomi fra le dita una dimensione talmente piccola che, se Xiao fosse stato davvero di quella taglia, avrebbe potuto tranquillamente vivere all'interno del palmo della mia mano.
<<...quando eri un feto?>> tentai, non potendo ricondurre tale misura a nessun'altra fase vitale.
<<Quasi>> mi sorrise. <<Quando ero un uccello>>
<<Cosa?!>> esclamai. <<Davvero? Ma... uno vero? Un pennuto?>>
Annuì. <<Una vecchia razza di canarino, per la precisione. Cinguetto ancora abbastanza bene, fra l'altro, se non ci credi>>
Lo fissai per fargli capire che desiderassi una dimostrazione pratica, e lui non esitò a fischiettare un po' per me. Era davvero identico al verso di un piccolo volatile: talmente uguale che quasi cercai il canarino nascosto dietro la sua testa. Gli feci un piccolo applauso, ammirato.
Restai un secondo in silenzio, più o meno scioccato. <<Xiao>> realizzai ad un certo punto, <<è per questo che sei piccolo? O è per questo che ti piacciono così tanto i semi?>>
Mi voltai verso di lui in attesa di risposta, ma tutto ciò che ottenni fu una risatina.
<<Sono domande serie!>> protestai. <<E dai!>>
<<Non lo so, ma in effetti avrebbe senso. Facciamo di sì, se ti fa piacere pensarlo>> accettò, per poi tornare subito sul discorso principale. <<E quella del canarino è rimasta anche la mia forma da adeptus, pure ora che ho un corpo umano. Ma non la posso più usare>>
<<Perché no? Secondo me sei carino anche come pennuto, non te ne dovresti vergognare>>
<<Non è per quello>> mi bloccò. <<Se lo facessi, ora forse morirei>>

Rimasi in silenzio a metabolizzare il senso delle sue parole. <<Perché?>> chiesi, stringendomi a lui con particolare forza; ero certo stesse per arrivare il lato triste della storia.
<<Be', se io ho le origini di un uccellino, non credi mi manchi qualcosa?>> domandò, volendo ci arrivassi da solo.
<<Mh>> riflessi, osservandolo per bene. <<Il becco?>>
Mormorò il mio nome, volendo richiamare l'attenzione su qualcosa di molto più evidente. <<Lì c'è un piccone. Guardalo, se ti fa comodo, e riprova>>
Ma, appena un attimo dopo che mi misi seduto ad osservare, l'animale prese il volo.
E, a me, gelò il sangue nelle vene.
<<Le ali...>> mormorai, realizzato con orrore cosa avesse perso.
Mi voltai di nuovo verso di lui, trovando un sorriso triste ad aspettarmi. <<Ti ricordi quel dio antico che mi ha messo nei casini con il karma? Ecco, me le ha strappate lui>>
Persi un paio di respiri, qualche lacrima, e forse anche uno o due battiti. Tornai lì ad abbracciarlo, molto forte, meglio che potessi. Gli passai una mano sulla schiena, come a voler coccolare le spalle, ora vacanti, di quel ragazzo che doveva essere stato bello quanto uno degli angeli di Celestia.
Lui ricambiò l'abbraccio, chiedendomi di non piangere. Era successo troppi anni prima della mia nascita, e ormai, diceva, non faceva più lo stesso male. Inoltre, aggiunse: <<Ed è per questo che negli ultimi due mesi non ti ho mai fatto vedere la schiena>> mormorò. <<Non voglio che tu le veda, quelle cicatrici. Fanno paura>>
Ed era vero. Non mi aveva mai dato le spalle: né quella volta che avevamo fatto il bagno sotto Wangshu Inn, né una volta quando si era cambiato d'abito... nemmeno a letto, o in qualche altra situazione. E non ci avevo fatto caso.
<<Non mi faranno paura>> ribattei. <<Non c'è verso per cui una parte di te possa spaventarmi>>
<<Ti dico che non è una bella vista>> mi avvisò.
Gli diedi un bacio per fargli forza. <<Infatti tu sei la vista migliore a cui io possa aspirare>> risposi.
Xiao arrossì ancora, ma non protestò più. Si alzò la maglietta, dicendomi che se volevo potevo andare a vedere.

Girai dietro di lui, curioso; aveva ragione lui.
C'erano due striscioline di pelle più bianca, la forma di strappo ancora perfettamente distinguibile, anche se ormai ben guarita e scolorita. Lo spazio interessato era quasi metà della superficie della schiena, ma tolte le dimensioni, era l'idea di come erano state recate a farmi davvero paura.
Il dolore doveva essere stato atroce, considerando che oltre duemila anni dopo erano ancora perfettamente riconoscibili.
Dovetti osservarle un po' più di quanto Xiao avesse sperato. <<Fatto?>> mi chiese, impaziente.
In risposta, lo abbracciai da lì dietro, lasciando anche un paio di baci più dolci lì dove sembrava avesse fatto più male. <<Non mi fanno paura>> ripetei. <<Me ne fa di più la storia che c'è dietro>>
<<Scusa>> disse, e si rivestì. <<È che, dopo questi mesi, ho pensato fosse giusto dirtelo>>
<<Hai fatto bene>> risposi, e gli scompigliai i capelli con un sorriso. Lui, in risposta, mi diede uno di quei teneri bacini sul naso che tanto mi piacevano. Detto questo, finalmente, non avevamo più nulla da nasconderci.

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