27. Quando il nostalgico autunno arriva a giugno

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Si affrettò a scendere le scale con il vento già tra i capelli, caldo come caldo era quel primo pomeriggio di giugno. La prima cosa che fece, una volta arrivata alla base della rampa di scale, fu prendere un grosso respiro e tentare di distendere le labbra in un sorriso. Ce l'aveva fatta, aveva risposto a tutte le domande di quell'esame; ce l'aveva fatta, Marzia era riuscita a ricordare anche la più piccola differenza delle coniugazioni che si era ritrovata davanti due ore prima, quando aveva girato il foglio dell'esame, e la professoressa aveva fatto partire il cronometro. Due ore, che l'avevano distratta. In parte.

In parte perché in mezzo a quelle tante lingue, tra una traduzione e una comparazione, Marzia si era trovata davanti quella che non avrebbe mai voluto vedere. E appena l'aveva capito, che quel cirillico non era stato impiegato per il russo, o per l'ucraino, aveva stretto le labbra, e si era imposta di passare oltre, di non pensarci. Ma il serbo ce l'aveva avuto davanti agli occhi più di una volta, e il serbo ce l'aveva in testa continuamente. L'ebbe in testa anche in quel momento, quando si mise a trafficare all'interno dello zaino per tirare fuori il porta-tabacco. Il vento caldo continuava a portarle i capelli sul viso, e Marzia si spazientì facilmente, quando mollò lo zaino sul muretto e si sistemò il tutto in una coda bassa. Aveva iniziato ad odiarli, anche i suoi capelli. Come tutta sé stessa.

Si odiava perché avrebbe soltanto dovuto voltare pagina e non trovare ogni dannato e più insignificante particolare che la portasse immediatamente a pensare a lui. I colori per strada, che avrebbe volentieri voluto vedere tutto in tinte meno sature, perché ogni colore sgargiante gli ricordava lui; quella lingua avuta di fronte all'esame, e che aveva iniziato ad approfondire soltanto per compiacerlo, soltanto per notare i suoi occhi illuminarsi quando si rendeva conto lo capisse; e quel viso, che sembrava essere stato disegnato e poi scolpito, che aveva rivisto quella mattina in copertina, in edicola. Quando si era ritrovata a stringere i pugni e passare avanti, per ignorare la fitta al petto.

Tutto il mondo che la circondava sembrava ricordarle che Dušan non ci fosse più, che lei lo avesse cacciato dalla sua vita all'improvviso, in quella straziante notte di inizio giugno. E una settimana dopo Marzia si ritrovava a pensarci, sempre. Una settimana dopo Marzia si ritrovava sola, perché di Dušan non c'era mai stata traccia, perché gli aveva impedito ogni tipo di contatto. Lo aveva bloccato ovunque, che fosse la loro chat, Instagram, e persino le sue telefonate.

Si era detta che per lui si fosse dimostrata solo un peso, nonostante avesse fatto di tutto per andargli incontro, per compiacerlo. Si era detta che fosse meglio per entrambi, così ne sarebbe uscita prima; si era detta che non si sarebbe mai potuta fidare di qualcuno a cui aveva aperto il suo cuore, a cui aveva mostrato le sue debolezze, ed era stato soltanto in grado di raccontarle bugie, e continuare, imperterrito, a deluderla. La verità era che si sentiva come un giocattolo, con cui lui si era divertito in tutti quei mesi, finché non si era stufato. E glielo aveva dimostrato in quella festa, quando non aveva avuto neanche voglia di parlarle. Glielo aveva dimostrato sul pianerottolo, quando non aveva fatto che continuare a riproporre la sua solita sequela di stronzate.

Marzia sbuffò quando, dopo aver preso una cartina, questa le volò dalle dita mentre era intenta a pescare un filtro dalla bustina con l'altra mano. Sbuffò, di nuovo, perché niente sembrava andare per il verso giusto negli ultimi tempi. Sette giorni erano passati in cui Marzia si era ritrovata ad addormentarsi ogni notte con le lacrime agli occhi e il petto in fiamme, con le parole che gli aveva urlato che le vorticavano in testa, e che non ricevevano mai una risposta. Con la colpa, l'imbarazzante e vergognoso peccato, di avergli confessato di amarlo. E di averlo fatto nella maniera meno opportuna.

Pensò che fosse quello il motivo di gran lunga più importante per cui non riuscisse a dormire se non con gli occhi annacquati, con i singhiozzi che animavano la sua stanza. Lo pensò, mentre si girò quel drum tenendo lo zaino mezzo aperto con una bretella sulla spalla e l'altra penzoloni. Ma Marzia, immediatamente, realizzò che sì, era ancora sconvolta per aver maturato quella rivelazione in quel momento, in cui la sua istintività aveva preso possesso della gola, della bocca, delle corde vocali, eppure lo era anche per qualcosa di più profondo, che solo in seguito aveva pensato, quando non era stata più presa dal panico, quando si era costretta ad allungarsi a letto, e a togliere quel vestito verde foresta di dosso.

Neighbourhood Romance | Dušan VlahovićDove le storie prendono vita. Scoprilo ora