34.2. Sogni corporei e vittorie ingannevoli

9.4K 167 219
                                    

Avrebbe passato il resto della serata esattamente in quella posizione, senza allontanarsi dalla tavola ancora apparecchiata, senza abbandonare la sedia sulla quale erano entrambi. Avrebbe voluto che quell'abbraccio fosse eterno, che quella tenera cesura potesse prolungarsi per ore, e giorni, inglobasse tutta la loro routine, e non fosse solo un granello nel mare di impegni che li sopraffacevano.

Marzia avrebbe voluto per sempre vivere in quella sensazione di caduta, con lo stomaco stretto e il cuore ricolmo. Dušan avrebbe voluto dimenticarsi di chi fosse e quanto fosse cruciale quella stagione per lui, avrebbe voluto che la mente si sgomberasse dalle ansie, dalle aspettative. Avrebbe voluto che in Marzia bruciasse, nel fuoco amico, che non scotta mai, ma che accende e basta.

Invece non realizzarono neanche chi fu il primo a discostarsi, se Marzia, guardandosi alle spalle per ritrovare i piatti vuoti; se Dušan, che si lasciò andare a un leggero sospiro, quando lei gli abbandonò le spalle con le dita. Quella finestra di dolcezza si era chiusa, ma lo spiraglio dell'amore si rifletteva dal vetro della quotidianità, dei gesti fatti di gentilezza disinteressata che Marzia stava compiendo, dello sguardo attento e pacato con cui Dušan la seguiva.

Sentì freddo, però, quando lei si alzò dalle sue gambe. Aveva già i piatti in mano, le posate a tintinnare contro la ceramica quando fece un passo all'indietro, verso la cucina. Dušan si perse un'altra volta sul suo corpo, una naturale calamita per i suoi occhi, senza che nulla gli impedisse di guardarla. Men che meno Marzia, che in quegli sguardi ci affogava sempre, non riusciva a risalire la corrente, ma amava sentirsi completamente inglobata dall'oceano di cioccolato che diventavano le iridi di Dušan su di lei. Strinse le cosce, intercettò solo per un attimo quegli occhi scuri, la miccia della sfida ancora ad accenderli, mai sazi. E un tono che Marzia ricordava così bene, nei meandri della sua mente, mentre le soffiava addosso i più roventi degli inviti, in quel momento con una lamentosa richiesta a scappargli dalle labbra: "Mi fai lavare i piatti per una volta?"

Indietreggiò verso il lavello, prima ancora di rispondergli. Di fatto lo fece soltanto quando raggiunse con il bacino il piano, e appoggiò i piatti sul marmo, accanto alla pentola. Dušan non era di certo rimasto fermo e, mentre i loro occhi si rincorrevano, l'aveva raggiunta in una manciata di passi. Così sostava davanti al bancone, così Marzia si schiarì la gola, prima di rispondergli a tono, e animare di nuovo l'aria con la graffiante ribattuta della sfida: "Non ci vuole niente, tu ci metti troppo. Se proprio vuoi fare qualcosa asciugali."

Gli diede le spalle, con un gesto repentino aprì anche l'acqua. Iniziò a scrosciare fredda sulle sue dita, a placare quel calore che continuava a sentire addosso. Complici quelle carezze che percepiva ancora sulla schiena, complice quella presenza che Marzia non poteva ignorare in nessun modo, men che meno quando Dušan si affiancò a lei, proprio di fronte al lavello.

Aprì l'anta del mobile posto sopra al lavandino, Marzia neanche ci arrivava con la testa. Gli lanciò un'occhiata, mentre versava il detersivo sulla spugnetta, e lo ritrovò addossato con il fianco al marmo. Lo guardò dal basso verso l'alto, aspettando una risposta affermativa. Quello che di certo Marzia non si aspettava fu il cenno di Dušan per lo sportello che aveva appena aperto, un semplice sguardo verso l'alto, prima che le parole arrivassero ad accompagnarlo, secche e schiaccianti: "C'è lo scolapiatti per quello, non faccio cose inutili."

Sembrava stessero parlando di tutt'altro. Sembrava che lavare i piatti non c'entrasse nulla, che quella conversazione avrebbe potuto girare intorno a qualsiasi argomento, tanto avrebbero trovato comunque il modo per alzare l'asticella. Entrambi sapevano di essersi scoperti irrimediabilmente su quella sedia; entrambi riconoscevano quanto fosse potente il sentimento che li legava, tanto da lasciarli con le lacrime agli occhi e il petto colmo di gratitudine. Eppure costava così tanto abbassarsi all'altro, non poteva che durare lo spazio di qualche minuto. Eppure erano così caparbi, così competitivi, così incredibilmente vivi che, nonostante anelassero la calma, era nella guerra che splendevano. Era nella guerra che si amavano davvero.

Neighbourhood Romance | Dušan VlahovićDove le storie prendono vita. Scoprilo ora