1. Confessioni

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Padre e figlia erano reduci da un lungo silenzio che pareva essere assordante. Dacché ne aveva memoria, Margot non era mai stata tutto quel tempo senza parlare con lui, o senza avere suo notizie, e ciò che risultava essere più assurdo era il fatto che i due Duvall non avessero nemmeno discusso tra loro. Aristotle si era come isolato dopo quella fulminea e inaspettata proposta di matrimonio alla sua unica figlia, lui che William  non lo aveva mai visto di buon occhio.

❝ È troppo grande per te! ❞

Aveva ripetuto per anni alla figlia, che con insistenza continuava a sbattere la testa contro lo stesso muro, un elegante muro frastornato di pietre preziose e dal suadente profumo caldo di chi conosceva il mondo intero. Eppure, a quei tempi, Margot delle pietre preziose incastonate in quell'elegante muro ancora non ne sapeva nulla. Si era dovuta munire del più resistente degli scalpelli per scavare a fondo, nelle profondità più remote dell'uomo, per poter scoprire la parte più celata e recondita di quest'ultimo, che facendo della dissimulazione un'arte appieno sviluppata non aveva concesso a nessuno di scoprire e godere di quelle pietre preziose che da sempre erano state parte di lui, sebbene ben sigillate, lontane dalla flebile vista di un occhio nudo: le sue origini nobili.

Aristotle Duvall non era ancora a conoscenza di quelle pietre preziose, troppo concentrato a evitare sua figlia, a evitare sua moglie, a evitare quel matrimonio che non aveva mai desiderato per la sua Margot: come poteva, un fiore raro e speciale come lei, stare con chi di fiori ne aveva colti così tanti da perderne il conto? Non si era opposto alle nozze, sapeva che sua figlia non glielo avrebbe mai perdonato considerando che, in fin dei conti, William non aveva mai fatto alcun passo falso nei suoi confronti, ma si era rifiutato di farci i conti sin dal momento della proposta stessa, quando si era ritirato nella veranda della casa dei suoi genitori negli Hamptons pur di non assistere ad un qualcosa che mai avrebbe approvato.
Eppure, ancora una volta, non aveva motivo di lamentarsi: William Baldwin aveva fatto le cose per bene, alla vecchia maniera, domandando il permesso ai coniugi Duvall e la loro benedizione prima di spingersi a tanto la sera del compleanno di Margot... come poteva Aristotle, ancora una volta, opporsi dinnanzi chi aveva avuto la premura di concedere un simile gesto di rispetto?

❝ Sei quasi stata espulsa per colpa sua, sei venuta piangendo da me a chiedere un avvocato per salvarti gli studi, te lo sei dimenticato? ❞

Era un'altra delle accuse che il signor Duvall non si era mai stancato di rinfacciare alla figlia, che col tempo si era amaramente pentita di esser capitolata al cospetto dei genitori in cerca di protezione durante quel periodo plumbeo che non avrebbe mai dimenticato.
Nemmeno Aristotle se lo era mai dimenticato, poiché era lì che lo ritirava in ballo ogni qual volta si nominasse il nome di William, non mancando di farlo anche davanti all'uomo stesso: 

❝ È colpa tua, eri tu la persona matura, eri tu che avevi la responsabilità di mantenerla in un ambiente protetto, e invece hai fatto il cascamorto davanti a tutti, l'hai resa vulnerabile e attaccabile quando il compito di proteggerla era innanzitutto tuo. Il tuo licenziamento è stata una conseguenza delle 𝘁𝘂𝗲 azioni, mia figlia invece si è ritrovata nell'occhio del ciclone senza aver fatto nulla! ❞

Glielo aveva ripetuto persino il 21 marzo, mentre un William taciturno, per amore di quella ragazza protagonista del discorso, incassava in silenzio pur essendo senza colpe, pur avendo subito le ripercussioni peggiori. Aristotle Duvall era sempre stato un uomo tutto d'un pezzo, il classico leader cresciuto sin da bambino per governarne un impero, impero che poi si era costruito nelle Duvall's Technologies, una delle aziende più importanti nel mondo dei multimedia, e di conseguenza non accettava l'eventualità di sbagliarsi, non accettava di doversi ricredere su qualcuno: se per lui William Baldwin era uno scapolo quarantenne che usava le donne solo per il proprio piacere al punto da renderlo totalmente inaffidabile, William Baldwin sarebbe rimasto quel tipo di uomo per sempre. E poco importava che Margot non l'avesse mai usata, poco importava che, durante quegli anni, l'impugnatura del pugnale fosse stata brandita proprio dalla ragazza contro il petto dell'uomo, che aveva sopportato con pazienza tutte le sue fobie, tutti i suoi traumi, tutte le sue reticenze, unicamente per amore di quegli occhi che, crescendo, erano diventati da curiosi e ingenui a maliziosi e sicuri di sé.
Aristotle Duvall non poteva sapere tutto questo, da un lato perché non aveva mai assistito alla trasformazione dello sguardo di sua figlia nei confronti di quell'uomo, sguardo che da infantile era diventato quello di una donna a tutti gli effetti, e dall'altro perché non si era nemmeno mai premurato di sapere, di conoscere, di informarsi circa il reale atteggiamento che William Baldwin aveva con sua figlia: è troppo grande, ha una pessima reputazione da edonista, ti ha quasi rovinato la carriera universitaria; tanto bastava per lui.

Margot soffriva di questa condizione, era frustrante il fatto di non riuscire a fare accettare una delle persone più importanti della sua vita ad un'altra delle persone più importanti della sua vita, e ciò che era peggio era la distanza che si era creata tra padre e figlia, il rifiuto che il genitore aveva di essere incluso in qualsivoglia vicenda che riguardasse quel matrimonio. La ragazza sapeva che Aristotle credeva di fare il suo bene così, sapeva che quell'atteggiamento era dovuto ad un distorto senso di affetto del genitore nei suoi confronti, ma ciò non toglieva amarezza al suo stato d'animo, ciò non le toglieva quel senso di oppressione nel vivere la cosa più bella che le fosse capitata da anni e che avrebbe invece dovuto vivere con senso di leggerezza.
Margot sapeva che probabilmente non sarebbe giunta a nessuna conclusione, tuttavia quel pomeriggio decise di armarsi di coraggio e raggiungere suo padre nel suo ufficio così da affrontarlo. Quanto tempo era che non si vedevano? Almeno un mese.

" Signor Duvall, c'è sua figlia qui che vorrebbe vederla, la faccio entrare? „

Aveva annunciato la segretaria al telefono dell'ufficio, ricevendo risposta affermativa subito dopo e facendo accomodare la ragazza.

« Ciao papà! »

Lo salutò allora Margot, una volta rimasta sola con lui, accomodandosi sulla poltrona al di qua della scrivania e sfoderando il suo classico sorriso raggiante come se nulla fosse mai accaduto. Aristotle fu in effetti sorpreso da quella visita inaspettata.

❝ Margot, come mai qui? ❞

Domandò col suo solito tono calmo, cercando di restare indifferente ma tradendo tuttavia l'ombra di un sorriso di sollievo nel vedere la figlia dopo tutto quel tempo. Forse era assurdo che in una situazione del genere dovesse essere proprio sua figlia a fare il primo passo, ma conoscendo il pessimo carattere – terribilmente autoritario e austero – dell'uomo, Margot sapeva che se quella barriera non l'avesse infranta lei allora non sarebbe mai andata via. Era davvero questo quello che voleva? Un rapporto di circostanza cinto da un'invisibile membrana che attutiva ogni pensiero e azione? No, lei voleva tornare come un tempo, e voleva farlo il prima possibile considerando che sapeva bene che, dopo il ventiquattro giugno, i Duvall avrebbero fatto ritorno a Parigi.

« Mi mancavi. »

Lo colpì allora, senza inutili giri di parole, con quella pungente sincerità e acuminata schiettezza che da sempre l'avevano caratterizzata, e che le avevano sempre permesso di ottenere la stragrande maggioranza di ciò che desiderava dalle persone. Il signor Duvall restò spiazzato: per quanto conoscesse sua figlia, quegli sprizzi di spontaneità in un primo momento lo frastornavano sempre.

« Io non ti mancavo? »

Continuò allora la ragazza mantenendo lo sguardo fisso su quello dell'uomo, con un'espressione a metà tra il serio e il dolce. Aristotle sospirò sommessamente.

❝ Certo che mi mancavi... Ma ultimamente sono stato così impegnato col— ❞

« ... Lavoro? »

Terminò Margot al posto suo, che ormai le sue scuse le conosceva bene.

❝ Lavoro. ❞

« Lo sai che non è vero. »

❝ Come sarebbe a dire che non è vero? ❞

« Mi stai evitando da quando Will mi ha chiesto di sposarlo. »

Ancora un altro sospiro da parte di Aristotle, ma stavolta seccato.

❝ Sei venuta qui per parlarmi di 𝙦𝙪𝙚𝙡𝙡𝙤? ❞

« 𝙌𝙪𝙚𝙡𝙡𝙤 ha un nome, e no, sono venuta qui perché mio padre mi evita da più di un mese. »

❝ Che sciocchezze vai dicendo? Io non ti sto evitando! Te l'ho detto, ho molto lavoro da sbrigare se fra venti giorni voglio tornare in Francia e starmene in santa pace. ❞

« Non è la prima volta che devi sbrigare tutto questo lavoro qui, papà. Ma non era mai successo che non ti facessi vivo con tua figlia per tutto questo tempo. »

❝ Perché prima mia figlia viveva con me e potevo vederla ogni sera! ❞

Touché.

« Il fatto che adesso viva da un'altra parte non significa che non dobbiamo più sentirci, sarebbe dovuto succedere prima o poi. E comunque, ti ricordo che quando tu e mamma siete a Parigi avete l'abitudine di telefonarmi ogni sera! »

❝ Dio solo sa cosa fai la sera da quando vivi con quel 𝙗𝙖𝙘𝙝𝙚𝙡𝙤𝙧, e di certo io non lo voglio sapere. ❞

« Ma per chi mi hai presa, per una ninfomane?! E smettila di chiamarlo bachelor! »

❝ Non lo so per chi ti ho presa, che senso ha vivere con un uomo che non è tuo marito? Potevate aspettare il ventuno giugno per iniziare la convivenza, se avevate tutta questa fretta io non so cosa pensare. ❞

Aristotle Duvall era un uomo terribilmente all'antica, che aveva concesso a sua figlia di vivere "da sola" a migliaia di chilometri dalla famiglia unicamente perché in possesso di una casa nella Grande Mela nella quale poteva recarsi a controllarla almeno una volta al mese, lasciando ai propri genitori negli Hamptons il compito di tenerla d'occhio per il tempo restante. Era anche per questo che Margot era così puritana sotto molti aspetti, a causa della rigida educazione ricevuta sin da bambina.

« È stato per una questione di comodità considerando che Will non poteva praticamente più venire a casa da noi visto che lo aggredivi ogni volta! »

❝ Io non l'ho mai aggredito, ho solo detto le cose come stavano. ❞

« Ma se lo hai chiamato nelle peggiori maniere! Guardati, continui a farlo anche adesso! »

❝ Perché ritengo che uno come lui non sia adatto a te, ma se ci tieni tanto a sposarlo fai pure, fai di testa tua come al solito! ❞

« E cosa intendi per "uno come lui" ? Ma lo vedi? Ne parli come se fosse un avanzo di galera! »

❝ Intendo vecchio, puttaniere e assolutamente inaffidabile. ❞

« Ma se non mi ha mai tradita! »

❝ Che tu sappia. ❞

« Ah beh, grazie! »

❝ Non mi fido di lui. Ha sempre quell'aria da "sono-tutto-io" e non mi piacciono i suoi atteggiamenti in pubblico, è troppo accondiscendente quando parla con le altre donne. ❞

« È solo educato... »

❝ Con quella perenne espressione compiaciuta sul viso, a crogiolarsi degli sguardi che le donne gli rivolgono ignorando il fatto che stia con te. ❞

« Ma non è vero! Stai cercando di farmi venire la fissazione che mi tradisce?! »

❝ Spero per lui di no, o ti giuro che lo faccio pentire di essere nato e di aver posato le sue luride mani su mia figlia. Perché per quel che mi riguarda in tutti questi anni è solo con le mani che ti ha toccata e che continua a toccarti. ❞

« Papà!!! »

❝ Non voglio sapere altri dettagli. ❞

« Non te li voglio dire? »

❝ Hai altro da dirmi? Dovrei lavorare. ❞

« Mi stai cacciando? »

❝ No, ti ho chiesto se hai altro da dirmi che non sia parlarmi del tuo 𝙛𝙪𝙩𝙪𝙧𝙤 𝙢𝙖𝙧𝙞𝙩𝙤, va meglio così? ❞

« Sì, e quando inizierai a chiamarlo genero, o per nome, stapperò una bottiglia di champagne. »

❝ Tienilo in cantina per molto tempo allora. ❞

A quel punto Margot lo guardò rassegnata e poi fu lei a sospirare.

« Sono venuta perché volevo fare pace. »

❝ Ma non abbiamo litigato. ❞

« Ma è come se lo avessimo fatto, non ci parliamo praticamente più! Anche mamma dice che a casa non parli quasi mai. »

❝ È perché sono stanco, e poi tua madre ormai parla solo di questo matrimonio e mi fa venire il mal di testa. ❞

« Senti papà. »

E qui Margot si fece seria, protraendosi in avanti dalla sua poltrona verso la scrivania del padre, ove poggiò entrambe le braccia.

« Non dico che William ti debba piacere per forza, ma ti chiedo almeno di non basarti su una falsa premessa nel giudizio che hai di lui. E soprattutto, ti prego, togli quel broncio perenne... non puoi essere solo felice per me? »

❝ Ma io sono felice se tu sei felice! ❞

« Beh, bisogna crederti sulla parola perché il tuo atteggiamento dice il contrario... »

❝ Perché io sono più grande e ho più esperienza di te, dunque vado oltre e mi chiedo: ma sarai davvero felice, con lui? ❞

Un altro sospiro da parte di Margot, che iniziò a pensare che forse era il caso di rassegnarsi e raccontargli tutto, sin dal principio.

« Sono io che non volevo stare con lui, lo sai? All'inizio avevamo paura tutti e due, ma poi lui ha iniziato a volere di più, e io sono scappata. Sono scappata per due anni, due anni che lui ha trascorso a corrermi dietro. Sai cosa significa prendersi un "no" per 𝗱𝘂𝗲 𝗮𝗻𝗻𝗶? Credendo di non essere voluto? Eppure non ha mai lasciato la presa. »

❝ Ah, quindi pure stalker, benissimo. ❞

« Sono seria. »

❝ Anche io! Dici di no ad uno per due anni e lui non molla, al mio paese è persecuzione. ❞

« Non ha mai mollato perché io non gli ho mai detto di non volerlo, lui sapeva che io provavo dei sentimenti per lui e che era solo la paura che potesse ripetersi ciò che già era avvenuto alla Columbia a bloccarmi. Quindi no, nessuno stalking, ora fammi finire.
( ... )
Quando finalmente mi sono decisa ad affidarmi a lui, sapevi che lui voleva dirlo a tutti sin da subito? Soprattutto a quegli stronzi della Columbia, voleva sbatterglielo in faccia con fierezza che tra di noi non c'era mai stato nulla di sordido e sporco, ma solo un sentimento puro. Sono stata io a bloccarlo! L'ho costretto a nascondersi per altri tre anni solo perché avevo paura.
( ... )
Sapevi che ha accettato l'umiliazione di tornare in quello stesso ateneo che lo aveva licenziato come se fosse un delinquente, solo per amor mio? Solo per potermi stare finalmente vicino e non dover più vivere a 200 chilometri di distanza? Chi altri l'avrebbe fatto? »

Aristotle Duvall in effetti non sapeva come commentare, messo finalmente davanti al fatto compiuto. Margot si maledì per non aver raccontato prima tutta la verità, ma il pensiero che suo padre avesse potuto vederla per la stronza che era effettivamente stata l'aveva sempre bloccata. Eppure, poteva lei permettere che Will passasse tutto quell'inferno con suo suocero solo a causa del suo ennesimo atto di egoismo? Finalmente poté fare un gesto importante per dimostrare quanto lo amasse: ammettere, confessando la verità, che il membro tossico di quella relazione era stata proprio lei.

« Che avresti detto tu, se qualcuno avesse fatto a me tutto quello che io ho fatto a lui? »

Aristotle sospirò nuovamente, messo in difficoltà dal fatto di dover ammettere la verità, che tuttavia rivelò, seppur a fatica.

❝ Ti avrei detto di lasciarlo perdere perché nessuno ha il diritto di trattarti così. ❞

« ... Capisci? E io me lo sono arrogato il diritto di trattarlo così, un diritto che non avevo. »

❝ Eri spaventa— ❞

« Non mi giustificare: sono stata una persona di merda con lui, e nonostante questo lui è ancora qui a sopportarmi. Chi altri sopporterebbe una persona che si è comportata come me? »

Altro sospiro.

❝ Mi costa dirlo ma... una persona davvero innamorata, suppongo? ❞

« L'hai capito, adesso? Sono io quella difettosa. »

❝ Tu non sei difettosa, piantala. ❞

Ci fu una breve pausa in cui Margot cercò di riprendersi un po', prima di formulare la fatidica richiesta per la quale prese un respiro profondo.

« Papà, te lo chiedo per favore: potrà anche non piacerti, ma ti prego smettila di trattarlo male... ora sai anche tu che non se lo merita. »

Aristotle Duvall si sentì in effetti con le spalle al muro, poiché di tutti quei fatti non era mai stato a conoscenza. Era stato un colpo non indifferente per lui scoprire tutto d'un tratto che, tra i due, la "cattiva" era stata proprio sua figlia.
Non cambiò improvvisamente idea su William, ma iniziò tuttavia a provare un nuovo sentimento nei suoi confronti: 𝗿𝗶𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗼.
Sospirò, ancora.

❝ Magari potreste venire a cena, domani sera. ❞

Il viso di Margot si illuminò raggiante, ma Aristotle non le diede nemmeno il tempo di replicare.

❝ MA NON TI ASPETTARE CHE LO ABBRACCI! Piuttosto mi taglio le braccia. ❞

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