14. La scala infinita

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𝑇𝑜𝑢𝑗𝑜𝑢𝑟𝑠 𝑑𝑖𝑚𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒, 𝑐𝑖𝑛𝑞 𝑠𝑒𝑝𝑡𝑒𝑚𝑏𝑟𝑒.

( ... )

William fu sorpreso di scoprire, una volta aperta la porta della camera di Margot, come questa singhiozzasse in maniera contenuta e per certi versi elegante persino quando si trovava in solitudine, persino quando non vi era nessuno a guardarla, o peggio, a giudicarla. Forse era ai giudizi di se stessa in primis che la fanciulla voleva fuggire, forse era anzitutto ai propri occhi che si vergognava di piangere: 𝑟𝑜𝑏𝑎 𝑑𝑎 𝑑𝑒𝑏𝑜𝑙𝑖, questo aveva sempre pensato.

« Lasciami sola, per favore. »

Pronunciò sbrigativamente voltandosi dall'altro lato per non farsi vedere in lacrime ulteriormente, con vergogna, chinando il volto; ma se Will aveva sempre avuto tendenza a rispettare il suo volere, stavolta si sottrasse alla sua volontà. Non riusciva a rimanere indifferente davanti una scena del genere.
Le si avvicinò in silenzio allora e, sempre senza dire nulla, si sedette accanto a lei sul letto, iniziando ad accarezzarle con dolcezza un po' i capelli e un po' la schiena nel tentativo di tranquillizzarla.
Lei si portò una mano sul volto nello strampalato tentativo di asciugarsi le guance rigate dalle lacrime, cercando di regolarizzare il respiro così da poter parlare senza singhiozzare.

❝ Nessuno pensa che tu sia un fallimento. Lo sai, vero? ❞

Fu Will tuttavia a infrangere il silenzio, pronunciando quella frase che gli premeva tanto sottolineare. Ai suoi occhi non lo era mai stata di certo, ma era sicuro che non lo fosse mai stata neppure a quelli dei suoi genitori, per quanto esigenti. Margot rise in maniera amaramente sarcastica a quelle parole.

« Tu, forse. »

Lo corresse, perché coi suoi genitori aveva convissuto anche per troppo tempo, tanto da sapere bene quali fossero i canoni da raggiungere ai loro occhi.
Si voltò e lo guardò dritto in volto, affrontando il suo sguardo in una maniera tanto rapida da non dargli nemmeno il tempo di risponderle.

« Capisci, adesso, perché sono così? »

Sembrava una domanda banale, ma la francese sapeva bene che il marito avrebbe capito subito che cosa intendesse dire: perché sono così esigente con me stessa, perché sono tanto fissata col dover essere sempre perfetta e a posto, in ordine, impeccabile.
In effetti, in cinque anni di relazione, quello era stato il primo pasto di famiglia che aveva rivelato gran parte degli altarini della famiglia Duvall in ciò che concerneva le pressioni alle quali Margot era costantemente esposta. William non aveva idea di quelle pretese, la fanciulla non ne aveva mai fatto parola, come al suo solito.
L'uomo non poté che guardarla con aria sinceramente preoccupata e apprensiva, capendo tutto d'un tratto perché tutti quei continui attacchi di ansia spesso cogliessero Margot impreparata alla vigilia di un avvenimento importante: non erano dovuti unicamente alle sue manie di perfezione, ma anche a tutta la pressione che reggeva da anni sulle proprie spalle.

« Non credo di aver mai sinceramente soddisfatto i miei genitori... ogni volta che ho raggiunto un traguardo mi è stato detto che avrei potuto fare di meglio. Quando ho scelto di restare qui a Parigi per l'università, papà era contrariato. Quando ho scelto di cogliere l'opportunità della Columbia invece era mamma ad essere contrariata. Ho scelto un percorso umanistico perché è questo quello che so fare, ma papà non ha gradito perché si era sempre immaginato che un giorno avrebbe lasciato l'azienda a me, ha provato fino all'ultimo a cercare di convincermi a prendere economia e marketing, materie sul business, o eventualmente ingegneria informatica visto il tema dell'azienda... ma io non ci capisco niente di numeri e calcoli! Che posso farci? »

Si fermò, perché quella non era una domanda retorica, bensì una domanda vera: che poteva farci? Aveva sbagliato?
Aveva bisogno di sentirsi dire qualcosa, possibilmente la verità. William assunse un'espressione corrucciata e la strinse a sé, sempre con la speranza di calmarla o quantomeno di farla sentire protetta, supportata da qualcuno.

The Royal TragedyWhere stories live. Discover now